- vittorio baccelli - i racconti - daemon - pixel ed altri deliri -

                                                    

 

L’altro giorno

 

Non cercare finché non sei cercato,

perché quando trovi quello che cerchi

esso somiglia a te.

 

L'altro giorno, come tutte le mattine, mi sono alzato presto. Doccia, frammenti del sogno, un freddo cane: poi giù al bar, cornetto e caffè. Tutto in ordine. Dopo due chiacchere convenevoli, mi sono recato in ufficio. E sono iniziati i guai. - Desidera? mi ha apostrofato l'usciere. - Eh? ho fatto io.       -Desidera?- Un buongiorno come tutti i giorni andrebbe bene, sorrisi io. - Ah, un po’ imbarazzato - Ha un appuntamento? serio. - Ma che appuntamento? - E' dell'assicurazione? divenendo pedante. - Siamo di buon umore, oggi, ho detto io, e mi sono avviato verso il mio ufficio.Ma ero a disagio.Nessuno sembrava conoscermi. Da lontano, quella voce continuava a chiedermi se avevo un appuntamento. A un certo punto ho capito che non scherzava. Nessuno mi degnava di attenzione. Ma era impossibile. Una sensazione sgradevolissima da provare di prima mattina, mi sono allora girato sorridendo e, rivolto alla voce che insistentemente voleva sapere se avessi o no un appuntamento, ho esclamato: -Sì, col capo. L’ho detto sempre sorridendo e sono andato avanti bello spedito, con sicurezza lungo il corridoio, ho poi svoltato a destra….silenzio, la voce s’è chetata, mi sono allora appoggiato alla parete per riprendere fiato, ho tirato un lungo sospiro, poi ho fatto altri passi in avanti fino a giungere alla porta a vetri del mio ufficio.

Di quello che avrebbe dovuto essere il mio ufficio….pian piano ho scostato la porta e mi sono trovato davanti  Lola, la mia segretaria, che mi guarda con aria interrogativa.

-          Ciao. Le dico timidamente.

-          Ci conosciamo?

-          Sì, sono stato qui altre volte.

-          Mi scusi, ma passa un sacco di gente da qui ed io non sono fisionomista.

-          Non importa, e il capo?

-          La capa vorrà dire. No, non è ancora arrivata, ma lei ha un appuntamento?

-          Senti Lola, avrei qualche problema.

-          Mi sa che mi sono persa una puntata, lei conosce anche il mio nome.

-          Non ha importanza, le puntate l’ho perse io.

-          Oggi la capa forse non viene, anzi so di sicuro che non verrà per niente, se posso esserle utile…

-          Puoi darmi del tu?

-          Non è mia abitudine dar del tu ai clienti, ma lei mi è simpatico, anzi, mi sei simpatico, anche se mi   sembri alquanto spaurito. A proposito, visto che ti do del tu e che già conosci il mio nome, come ti chiami?

-          Donato, sono Donato.

-          Allora, ciao Donato, come posso esserti utile?

-          Ne parliamo a pranzo, vai da Evaristo alle tredici?

-          Sì, ma come fai a saperlo?

-          Ti offro il pranzo e poi ti racconterò un sacco di cose strane, e chissà forse potrai darmi una mano a venirne a capo.

-          Amo le sorprese, e tu mi sembri una sorpresa dietro l’altra. Ed amo anche chi mi offre il pranzo.

-          A più tardi allora, ti aspetto al ristorante.

-          Ok! A dopo.

E me ne sono andato da quello che è sempre stato il mio ufficio in quella azienda nella quale lavoro da oltre dieci anni e adesso al posto mio c’è una capa, cazzo, una donna, ma cosa sta succedendo?

Sono uscito in strada ed ho cominciato a guardarmi intorno alla ricerca di nuove stranezze: il negozio d’angolo era un fioraio, almeno fino ad ieri, ma oggi c’è un’edicola di giornali.

E questa è l’unica cosa diversa dal solito che ho visto in strada.

Prendo dalla tasca della giacca il telefonino e chiamo casa: il telefono è muto.

Faccio un altro numero….silenzio, sembra che non sia in rete.

Proseguo la passeggiata e molte auto sono come sempre parcheggiate sul lato destro della strada che porta ai giardini pubblici, in fondo però ci sono un paio di macchine arrugginite con appoggiati dei carrelli ossidati di supermarket, cosa questa assurda in pieno centro.

Guardo le auto con più attenzione e scopro un modello comunissimo, ce ne sono almeno quattro parcheggiate una accanto all’altra, ma è un modello che non ricordo d’aver mai visto, ne osservo bene una avvicinandomi, è nuova fiammante di color giallo, accanto alla targa c'è il nome del modello “ROSE” non ho mai saputo di un’auto di media cilindrata che si chiamasse ROSE.

Cerco allora la marca e trovo la scritta NAKAMURI, sul cofano, sui coprimozzi e sul volante.

NAKAMURI? Mai sentita. Ed ora che ci faccio caso ci sono anche tante altre auto lasciate ad arrugginire ai lati delle strade, in terra disegnati col gesso o con pezzi di mattone c’è pieno di disegni di “campana”, quel gioco che una volta i ragazzi facevano sui marciapiedi, ma non era passato di moda? E a proposito di moda c’è un manifesto strano appiccicato ai muri, è sicuramente un manifesto pubblicitario, ma non capisco a cosa stia facendo la pubblicità, dice: - DI MODA E’ QUELLO CHE INDOSSIAMO NOI, FUORI MODA QUELLO CHE PORTANO GLI ALTRI -

Anche scheletri di aquiloni abbandonati sui fili della luce: troppi fili della luce (e anche del telefono?) in aria, e questi morti aquiloni li trovo inquietanti.

Decido di recarmi ai vicini giardini pubblici, per passare il tempo fino alle tredici ed osservo i negozi che mi sembrano quelli di sempre, ma sono i nomi ad incuriosirmi: Bii’i, Deriiu’u, Aaroinii’i.

Chissà da che cazzo di nazionalità provengono cognomi di questo genere, e mentre me lo sto domandando incrocio un bancomat, tiro fuori la VISA e digito il mio numero, e la macchinetta sputa senza esitare cinquecentomila. Prendo allora l’AMEX e riprovo con la stessa cifra, ma questa volta la macchinetta comincia a sibilare e s’accende una luce lampeggiante rossa.

Con fare indifferente mi rimetto in tasca il portafogli, lascio l’Amex dentro la macchinetta e proseguo verso i giardini girando attorno a due carcasse d’auto abbandonate.

Un’altra edicola e mi fermo.

-          La Nazione.

-          Che giornale è?

-          Il quotidiano.

-          Da noi non arriva, mi spiace.

-          Mi dia allora un quotidiano locale

-          Vuole Il Lettore o Notizia Ora?

-          Me li dia tutti e due

Pago la solita cifra, li metto arrotolati sotto il braccio e cerco una panchina di mio gradimento.

Sono sicuro che leggerò una stranezza dietro l’altra.

Arrivo ai giardini, mi siedo su una panchina di ferro battuto, è la mia preferita e questa è come sempre, apro uno dei due giornali.

Sto sfogliandolo e trovo solo notizie locali senza alcun interesse: incidenti stradali, furtarelli, fermo di giovani ubriachi e senza patente, un concerto, l’inaugurazione di un nuovo parcheggio in periferia, una nuova mostra di pittura….

Mi sento osservato ed alzo gli occhi: davanti a me c’è un individuo in divisa, sembra dell’esercito, ma non ho mai visto una divisa così strana, alla bocca porta una maschera, sembra un respiratore e forse lo è.

E’ alto quasi due metri, ha due mani guantate e con una di esse mi porge un rettangolo di plastica d’un bianco abbagliante.

Gli sorrido sorpreso ed afferro il biglietto che mi porge, leggo cosa c’è scritto:”Migrante, lei ha 12 ore di tempo per presentarsi al comando Immigrazione, sito in centro nel quartiere 3 al numero civico 34/p – trascorse le 12 ore se non avrà ottemperato all’invito, lei verrà terminato – scusandoci per il disturbo che Le arrechiamo la preghiamo di non disattendere all’invito – SERVIZIO IMMIGRAZIONE”

- Migrante?

Quando ho terminato la lettura rialzo gli occhi, ma il militare lunghissimo è sparito, s’è volatilizzato senza aver detto niente, riapro allora il giornale dopo aver gettato l’ordinanza in un cestino per la spazzatura, e nelle pagine centrali trovo degli articoli scritti in un alfabeto stranissimo che sembra sanscrito, ma non lo è, perché un po’ lo studiai all’università , e non è neppure tibetano, è qualcosa di simile ma nel contempo di completamente diverso.

Le domande me le riservo tutte per Lola e m’immergo nuovamente nella lettura per vedere se riesco a capirci qualcosa.

O forse sono io che ho subito un qualche shock, che non ricordo perché ho rimosso, e credo di vedere cose strane mentre tutto è normale.

Ho trovato un solo articolo insolito dal titolo  I VISITATORI TERMINANO 200 RETINENTI

Ed ecco il testo: “Come prevedono le recenti leggi, sono stati sorteggiati nella nostra contea 200 retinenti sui 1725 accertati. Alla presenza dei Garanti il computer ha casualmente estratto i nominativi alle ore 18 – Alle ore 21 i sorteggiati sono stati terminati a norma di legge”.

Mi chiedo perplesso cosa significhi tutto questo, chi sono i visitatori e chi i retinenti, ma soprattutto, retinenti a cosa? Alla leva? C’è una guerra in corso? Dal resto delle notizie non sembrerebbe proprio. E spero proprio che terminati non significhi quello che penso.

E poi alle tredici sono da  Evaristo ed il locale è quello di sempre, ed anche i camerieri, ma nessuno mi riconosce. Mi siedo ad un tavolo e chiedo d’apparecchiare per due, aspetto un ospite.

Ed alle tredici e qualche minuto la bussola d’Evaristo s’apre ed entra Lola, mi vede solo al tavolo apparecchiato per due ed avanza sorridente. Si mette accanto a me, incrocia le braccia, mi guarda negli occhi e: - Sono curiosa di sapere cos’hai da dirmi .

-          In un altro mondo, in un altro tempo….no, forse il termine giusto è in un altroquando, io sono il tuo capo, l’ufficio ove lavori è il mio da oltre dieci anni, tu sei la mia segretaria da due anni e sempre da due anni noi andiamo a letto insieme. Ed in questi ultimo tempi, tua madre mi tempesta di telefonate perché vuole che ti sposi.

Lei mi guarda a bocca aperta e non dice assolutamente niente, speravo quasi contestasse le mie follie….ed invece niente, se ne sta lì muta a riflettere.

La bussola gira nuovamente, io l’ho proprio davanti e non posso far a meno di vederla: entra un militare, con la maschera alla bocca, si dirige deciso verso di me, ha in mano un biglietto bianco (il solito?) , lo posa delicatamente sul tavolo accanto al mio tovagliolo.

-          Lei ha perso questo.

-          Dovrei ringraziarla?

-          …………..

Afferro il biglietto, lo metto in tasca, guardo il militare stupefatto, è altissimo, sarà più di due metri…ha degli occhi simili a lenti….a lenti a contatto? Mi scuoto, lo ringrazio nuovamente, con un cenno militaresco ricambia il saluto e se ne va.

Lola è visibilmente sbiancata.

-          Sei un migrante? Allora è vero quello che dicono.

-          Per favore racconta anche a me, ciò che dicono.

-          Che arrivate da altri mondi, e quando giungete dovete esser registrati e vaccinati altrimenti potreste nuocere alla popolazione.

-          Questa poi! Secondo te io sarei un alieno? Ed infetto per giunta?

-          E che ne so? Queste sono cose che ho sentito dire, non ho mai visto un migrante e prima d’oggi non credevo neppure esistessero.

-          E quel militare, i visitatori, chi sono? Da quanto tempo sono qui?

-          Ma no, quello è solo un mestiere, tengono l’ordine e la disciplina, fanno rispettare le leggi: ci sono sempre stati.

-          Da dove vengo io ci sono i militari, i poliziotti, i vigili urbani, i vigili del fuoco, ed altri corpi a proteggerci e a tenere l’ordine, ma non sono così strani ed alti, sono come noi. E secondo me quelli sono alieni, non hai visto che respirano da una maschera? E gli occhi, ti sembrano umani? L’altezza poi….sono tutti sui due metri.

-          Alieni? Che significa?

-          Lasciamo perdere per ora e pensiamo al pranzo, ho una fame da lupi, non ricordo quando è stata l’ultima volta che ho mangiato.

Fortunatamente il pranzo non riserva  sorprese, il locale è sempre all’altezza della sua fama, economico ed eccellente come nella mia realtà: perché questa, ormai ne sono sicuro, è una realtà diversa.

Spiego a Lola un po’ del mio mondo, m’interrompo solo quando entra un altro visitatore, gira un po’ tra tavoli e poi esce.

Le dico che lei era la mia ragazza e le racconto per filo e per segno tutto il nostro rapporto, da come era iniziato a dove stava approdando (il matrimonio?).

Troppi erano i particolari che le sottoponevo, ed adesso, ne ero sicuro, lei mi credeva.

-          E i “terminati” che ho letto sul giornale? Cosa significa qui terminare qualcuno? Ucciderlo forse?

-          Sei matto! Qui non si uccide nessuno, la pena di morte è abrogata in tutto il mondo da centinaia d’anni. Terminare è la punizione con la quale si colpiscono gli antisociali più irriducibili: l’identità civile viene cancellata ed il terminato è costretto ad assumerne una nuova. Praticamente è come se rinascesse: cambia nome, città – non ha più titoli di studio, patente, lavoro, famiglia…..perde tutto insomma è come se fosse arrivato ora. E deve ricominciare tutto da capo.

- Qui c’è scritto che se non mi presento, mi termineranno, che senso ha farmi questo? praticamente sono già un terminato.

-          Senti, perché quando usciamo non ci rechiamo all’immigrazione? ti accompagno così sistemiamo ogni cosa.

-          Sistemiamo? Mi sembra un po’ improbabile. Come torno nella mia realtà?

-          Non lo so, ma forse gli addetti all’immigrazione lo sapranno.

Usciamo da Evaristo e ci rechiamo a piedi verso il palazzo dell’immigrazione, non è lontano e lo raggiungiamo in pochi minuti. Entriamo:una stanza quadrata con poltroncine modello sala d’attesa del dentista, ad una parete laterale c’è uno sportello ed una giovane distratta è dietro di esso.

Ci avviciniamo, le mostro il rettangolo di plastica bianco, lei lo prende e lo guarda con attenzione. Mi sorride e mi dice d’accomodarmi, tra non molto sarò chiamato.

-          E la signora?

-          Sta con me, mi sta accompagnando.

-          Se vuole potrà assisterlo ed entrare con lei.

-          Grazie era quello che volevamo.

Ci sediamo su due poltroncine in attesa, su un tavolinetto qualche rivista, ne prendo una e sto appena cominciando a sfogliarla, quando una porta che non avevo notato si apre e ne esce un signore molto elegante sulla cinquantina con un abito in tre pezzi camicia bianca e cravatta azzurra.

Mi tende la mano, la stringe e c’invita ad accomodarci nel suo ufficio. Entriamo e c’è un corridoio, più avanti ci fermiamo in un ampio ufficio con scrivania in mogano, poltrone imbottite di pelle, quadri (fiamminghi?) alle pareti, posacenere di cristallo, su un tavolinetto alcuni strani oggetti in acciaio cromato dei quali non comprendo la funzione, per terra un folto tappeto di foggia orientale, ad un angolo delle pareti sono accatastati una diecina di cellulari, mi pare spenti, di varie forme, colori e dimensioni.

Siamo seduti di fronte a lui che guarda con attenzione entro lo schermo d’un computer, non vedo cosa sta guardando perché è a lato della scrivania in una angolazione che me lo nasconde.

Batte qualche tasto, poi estrae da un cassetto dei fogli di carta bianchi e con una penna biro comincia a scriverci sopra qualcosa.

Infine si rivolge a me e mi chiede le generalità, nome cognome, data di nascita, nome dei genitori, residenza, stato civile, titolo di studio, professione svolta…..

Quando ha terminato con le formalità passa a domande più personali, tipo: il colore preferito, il film che più mi è piaciuto, il mio partito politico,  se sono iscritto al sindacato…. E poi: lei è eterosessuale? In vacanza preferisce andare al mare o ai monti? Cosa preferisce come primo? Qual è la sua religione? Ma ci crede veramente? Quale auto possiede?….ed ancora prosegue con mille altre domande.

Alla fine mi chiede di raccontare la mia storia, ed io inizio dal mattino, quando nessuno mi riconosceva, e termino con l’incontro con lui nella sala d’aspetto.

-         Cercheremo di farla tornare da dove è venuto, intanto l’affidiamo alla signora qui presente, quando poi avremo la soluzione  le faremo sapere.

E detto questo ci congeda velocemente stringendoci la mano, senza darci neppure il tempo di chiedergli una qualche spiegazione.

-         Perplessi ci ritroviamo nella sala d’aspetto, stiamo per uscire quando l’impiegata allo sportello esclama: - Signore, la sua identità!

E mi porge un altro rettangolo di plastica bianca con su scritte le mie generalità ed il disegno molto piccolo con l’immagine del mio volto, in basso a destra noto un complicatissimo codice a barre. Prendo il rettangolo di plastica, lo infilo nel portafogli e ringrazio.

-         E ora? Chiedo a Lola.

-         Andiamo a casa mia, fa lei, poi vedremo.

Fermiamo un taxi per strada e velocemente giungiamo alla casa di Lola: è il quartiere che conosco, le abitazioni sembrano un po’ più ben tenute, ma accanto ai marciapiedi vi sono auto abbandonate ed arrugginite e carrelli di supermercato ossidati, in alto un autentico casino di fili della luce e del telefono che s’intrecciano, due aquiloni in pezzi ciondolano dal groviglio dei fili. Noto poi sul marciapiede disegni del gioco “campana”. Su una staccionata è affissa una serie di manifesti tutti uguali su fondo azzurro con una citazione scritta in rosso: “Se un’idea è buona, il prezzo non ha importanza. (André Citroen). Onestamente non mi sembra una frase pubblicitaria troppo adatta per vendere auto Citroen, ma è lo stesso. Penso che le abitazioni saranno anche ben tenute, ma l’esterno da’ un’aria di forte degrado. Lei sembra tranquilla, come se tutto fosse normale, io invece mi sento estremamente confuso ed anche mi sembra di star abbastanza male, il nervoso m’ha bloccato la digestione e distonie neurovegetative mi stanno aggredendo. In casa apro gli armadietti della cucina e trovo delle bustine di tè, col microonde scaldo l’acqua in una tazza, mi faccio il tè e lo bevo appena zuccherato. Le chiedo dove posso sdraiarmi, ho bisogno di rilassarmi, di dormire, devo rifasare le idee, questo viaggio non voluto, altro che il jet-lag. Lei mi indica una stanza più piccola con un divano letto e le pareti occupate per intero da una libreria zeppa di volumi: nella mia realtà questa stanza non c’è proprio…

-         Per stanotte questa è la tua stanza, poi domani vedremo, ah, il bagno è lì, ma forse lo sai già.

-          Grazie di cuore, domani parleremo con calma.

-         Ma figurati, buonanotte.

-         Buona.

E mi butto vestito sul divano non appena lei ha chiuso la porta, chiudo gli occhi e cerco di riflettere, ma immediatamente mi addormento. Mi risveglio più tardi all’improvviso, una musichetta di quelle elettroniche risuona già da un po’ nell’aria, sembra un carillon e ripete il motivo ossessivamente. Mi alzo e cerco la fonte dell’insistente musichetta, dopo vari tentativi la trovo, la musica proviene da un cassetto del comò:lo apro.

Dentro vi sono indumenti, mutandine, fazzoletti, t-shirt, reggiseno, calze spaiate, ed ecco mescolati a tutto ciò, sul fondo del cassetto c’ è una diecina di cellulari di varie forme e dimensioni. Individuo quello che sta suonando, cerco il tasto ON e lo premo.

-         Pronto?

-         Ciao migrante.

-         Con chi parlo?

-         Non ha importanza.

-         E allora?

-         T’ho chiamato per salvarti il culo. Vuoi che ti salvi il culo?

-         Come….

-         La carta bianca, quella che t’hanno dato come documento.

-         Il rettangolo di plastica?

-         Sì, proprio quello, piazzalo il più lontano possibile da te, tra non molto s’attiverà e genererà un’implosione. Distruggerà tutto  nel raggio d’una ventina di metri.

-         Perché mi dici questo?

-         Fidati e mettiti in tasca il cellulare, ti daremo altre istruzioni.

-         Vorrei tornare nel mio quando.

-         Ogni cosa a suo tempo.

CLICK

Poso il telefono sul comò e pensieroso mi reco in bagno, con calma mi rimetto tutto in ordine e faccio anche una bella doccia con tanta schiuma sulla pelle. Poi mi vesto utilizzando dei vestiti puliti che trovo in camera nell’armadio (biancheria intima ed abiti da uomo, ma questa Lola sarà accompagnata a qualcun altro?), prendo il cellulare, il rettangolo di plastica ed esco.

Lei dorme, sono fuori che albeggia, un mezzo della nettezza urbana transita lentamente, sul retro ha un cassone scoperto pieno di cartoni: getto la tessera bianca trai cartoni ed osservo il mezzo giungere fino in fondo al viale sferragliando e poi sparirmi dalla vista voltando a destra. Più avanti ci sono le insegne a neon di un computer-bar, entro, mangio un paio di ciambelle ripiene di crema chantilly, ordino un bicchiere d’acqua gasata ed un caffè.

Mi piazzo ad una consolle libera (sono quasi tutte libere a quest’ora) e navigo un po’ a casaccio, ovviamente il mio sito qui non c’è.

All’improvviso la terra trema e s’ode un forte, ma cupo colpo. Mi guardo attorno allarmato, ma vedo che nessuno da’ importanza al fenomeno, allora mi rilasso e seguito a navigare tra le ultimissime notizie cittadine. E tra le ultimissime ce ne è una che mi sconcerta: GRANO D’ANTMATERIA S’ATTIVA IN PIENO CENTRO . Ci clicco sopra ed ho i dettagli con vista in tempo reale d’una buca nel bel mezzo della strada e testimoni oculari che raccontano che l’implosione ha colpito un mezzo della nettezza urbana con all’interno un autista di colore non ancora identificato.

Alla faccia del documento d’identità, qui mi sa che è tutto un casino, e sclero sul termine terminato che vuol dire terminato davvero…in quel momento il cellulare squilla di nuovo.

-         Sentite le ultime notizie?

-         Cazzo se l’ho sentite! Ero collegato in rete.

-         Sul fondo del cellulare c’è una presa.

-         La vedo.

-         E sulla destra della consolle ce ne è un’altra: inserisci le due spine.

-         OK, ma che succede dopo.

-         Si apre una falla antientropica e tu con ogni probabilità sarai sbalzato nella tua realtà.

-         Ma ne siete proprio sicuri?

-         Senti bello, il tempo non c’è . La sicurezza è sul 70 per cento, abbiamo eseguito calcoli e controlli più in fretta che potevamo, questo è il massimo che la casa ti offre, prendere o lasciare. Ma sbrigati con l’inserimento, guarda che ti stanno cercando.

-         Per terminarmi?

-         Sì e appena ti trovano t’inceneriranno per bene.

-         Ma terminare non vuol dire uccidere.

-         Bello non hai capito un cazzo, alza le chiappe finchè ce l’hai.

-         ……………..

-         La vita degli uomini per i visitatori vale meno di zero, questo per te è terreno bruciato, tu gli hai già rotto i coglioni, gli hai già fatto perdere troppo tempo. sparisci alla svelta, coglione!

Con la coda dell’occhio, dallo specchio sopra il bancone del bar, vedo entrare due visitatori, dietro ce ne sono degli altri, sbircio dalla porta a vetri e vedo che fuori si sono fermati dei mezzi che sembrano militari…attorno ci sono altri visitatori….

Unisco allora le due prese con la mano tremante: PC e cellulare sono adesso interfacciati, ma cazzo! non sta succedendo niente, un visitatore mi ha scorto e si sta avvicinando….resto immobile e ne fisso un altro che sta chiedendo i documenti ad un ragazzo che è seduto un ad una consolle a qualche metro da me. Il visitatore adesso mi è quasi accanto….e seguita a non succedere nulla…sta per toccarmi la spalla, mentre io immobile fisso senza vederlo lo schermo del PC. Sento la sua mano guantata afferrarmi la spalla….sto per girarmi …ed ecco all’improvviso scocca un lampo bluastro, una luce abbagliante e sono al centro d’una sfera…mi ritrovo in un campo con l’erba alta ed un sole perpendicolare che picchia alla grande come se fosse piena estate. Sono caduto seduto per terra, un casino d’insetti mi stanno girando attorno, li scaccio e scorgo anche delle bellissime farfalle.

Mi alzo in piedi e vedo solo verde, sono letteralmente circondato dal verde, prati in tutte le direzioni. Prendo il cellulare e provo a richiamare l’ultimo numero che mi ha contattato . Non c’è traccia di rete. Mi avvio in linea retta per questa campagna, a sud, orientandomi col sole, è una direzione presa a caso, può anche funzionare. Dopo un’ora circa di cammino incrocio una strada, molto piccola ma ben asfaltata, la seguo, le strade portano sempre da qualche parte. E’ già notte quando arrivo ad un cartello, da quando ho imboccato la strada non ho incrociato nessuno, non ho visto alcuna costruzione, nessun veicolo ed anche nessuna altra strada o viottolo ha incrociato con questa. Il cartello è la prima cosa interessante che trovo, è molto buio e c’è solo la luce delle stelle, così mi avvicino quasi a toccarlo e leggo HURRUH à Km.3

Faccio i salti dalla gioia, la freccia indica la direzione nella quale sto andando, che posto sarà? Me ne frego, sono vivo e niente affatto terminato, è un posto e tanto mi basta e spero che sia nella mia realtà.

Mi sdraio sull’erba e mi rilasso felice, in una tasca interna della giacca sento qualcosa, non ci avevo fatto caso prima, l’estraggo, è una piccola scatola metallica schiacciata, la apro all’interno vi sono delle piccole sigarette. Penso che sarebbe stato fantastico se ci fosse da accendere, ma nelle tasche non trovo né accendini né fiammiferi. Peccato! Ed estraggo una piccola sigaretta per metterla in bocca, sentirne almeno l’odore, ed incredibile, quando la tolgo dalla scatola un’estremità s’accende. Non credo ai miei occhi dalla felicità, aspiro con voluttà ed il sapore è di tabacco mescolato ad erba, c’è anche un sottofondo leggermente dolciastro….non c’è niente da dire è veramente buona ed era proprio quello che mi ci voleva. Finita la sigaretta, felice passo lentamente al sonno col pensiero “domattina arriverò in città!”

Città?