ALL’OSPITALE
- Francois! Che sorpresa! E già da un po’ che non ci si vede.
- Sentivate la mia mancanza? Eccomi qui!
- Sempre a giro chissà dove con le dee. Beato te!
- Via, via, non sono mica una mia esclusiva.
- Per ora, veramente le becchi solo te. Ma qual buon vento ti porta qui?
- Sono qui per Bill, il nostro newyorkese, s’è ripreso bene, vero?
- Alla grande e pensiamo di dimetterlo tra qualche giorno, fisicamente ha avuto un recupero pieno, e pensare che quando l’hanno portato qui era più morto che vivo.
- E questo Bill ha anche un cognome?
- Forse ce l’aveva, anzi sicuramente, ma non se lo ricorda. I nomi sui biglietti da visita e sulle carte di credito che aveva in tasca a lui non dicono nulla, poi non c’è neppure un Bill e lui invece è proprio sicuro che quello sia il suo nome. Lo strizzacervelli ha provato a rimetterlo in sesto, ma non c’è riuscito, la sua memoria è zeppa di buchi.
- Ah, il nostro strizzacervelli conosce l’inglese? O è Bill che parla italiano?
- Veramente è Bill che ha imparato l’italiano, gliel’ha insegnato lo strizza.
- E c’è riuscito? Come ha fatto?
- Col neuroinduttore.
- Andiamo bene, uno è già pieno di buchi e quello usa i ricordi indotti.
- Dillo allo strizza.
- Non gli dico proprio nulla, quelli son più di fuori dei matti, la strizzacervellologia li trasforma in balconi. Via portami a conoscere questo Bill e fammi vedere come l’avete ridotto.
- Come l’abbiamo rimesso in sesto, vorrai dire. Ah, dimenticavo, le biomute gli fanno una strana impressione.
- Non sarà certo la mia, forse quelle delle infermiere!
- Beh, sì proprio quelle, quando ne vede una con la biomuta sembra paralizzato del tutto.
- Vuoi una confidenza?
- Dilla.
- Quando vidi per la prima volta le dee con le biomute, ti giuro che rischiai l’infarto! Va bene, passami un camice bianco e facciamola finita.
- Ah! ah! Ma eccolo là in giardino: Bill!
- Ciao Bill, io sono Francois.
- Bill, piacere.
- So che sei guarito e che tra un giorno o due ti dimetteranno, vorrei scambiare due parole con te.
- Volentieri, sediamoci qui e dimmi.
- Dunque, t’abbiamo raccolto ben addentro all’Opificio, poi t’abbiamo portato qui e ti abbiamo curato. Vorremmo conoscere la tua storia, da dove vieni, da quando vieni e come sei arrivato fin qui.
- Ho dei problemi con la memoria, ma mi chiamo Bill e ne sono certo. Ho una moglie e due figli e sono molto legato a loro. Non ricordo né il nome di mia moglie né quello dei miei figli, ma i loro volti sono proprio qui davanti ai miei occhi. Vivo a New York ad una ventina di chilometri dal centro, parlo inglese e la mia famiglia è di discendenza irlandese. Lavoro come amministrativo in una grande azienda di import export, della quale non ricordo il nome, il mio ufficio è proprio in centro e vado al lavoro con la metropolitana. Ho un’auto Ford, ma non ricordo il modello, so che mi piace molto guidare. E poi non so come mi sono ritrovato a Hurruh, un posto che ha due lune, come qui, ma mi hanno spiegato che non siamo ad Hurruh. Hurruh è una città, ma là tutto è fuso, tutto è menzogna, tu hai tutto quello che chiedi, ma niente è reale. Vi sono donne bellissime che sovrintendono a tutto, seguono ogni cosa, ti accontentano sempre. Ma da lì non si comunica fuori, non si esce è come essere in un circolo chiuso o in una città carcere. La città è unica e chiusa in se stessa, con strade che riportano sempre al punto di partenza. Non ho fatto altro che lamentarmi e mandare proteste, volevo tornare a casa, mi sentivo sequestrato. Infine mi hanno indicato la strada, o forse m’hanno aperto una strada. Evidentemente m’hanno levato di torno, forse rompevo troppo. Ed ho seguito il sentiero indicato, ho camminato a lungo, ho attraversato l’arco in pietra vibrante e sono arrivato qua, ma neppure questo è il mio posto.
- Credo d’aver capito abbastanza. Tu vieni dalla New York del XXI secolo della terra originale, ci sono stato anch’io e proprio in quel periodo. Sei passato e non ricordi come a quest’altra realtà che è Hurruh e da questa attraverso l’arco vibrante sei giunto da noi, qui nella terra dell’Opificio. Il portale c’è ancora, ma non vibra per niente e non porta da nessuna parte. Comunque all’Università hanno inviato una equipe per studiarlo attentamente: tutti hanno visto il vecchio film Stargate e sono tutti eccitati.
- Stargate? Sì l’ho visto anch’io.
- Non perdere la speranza di tornare alla tua casa, se è possibile ti ci faremo tornare, ne parlerò con le dee.
- Le dee?
- Sì, noi le chiamiamo così, sono avatar d’entità molto potenti.
- Non capisco.
- Capirai, non preoccuparti.
- Tra qualche giorno verrai dimesso e ti sarà dato un alloggio, ed anche un lavoro se lo vorrai, poi di tutte queste cose ne riparleremo. Adesso Bill pensa solo a rimetterti del tutto.
E Francois se n’andò salutandolo cordialmente e dopo qualche giorno raccontò la storia di Bill a Flavia. Lei rispose che bisognava conoscere il motivo per cui era flippato ad Hurruh, poi si sarebbe anche potuto vedere se fosse possibile rimandarlo a casa. Flavia disse anche che il tecno-nucleo conosceva l’esistenza di Hurruh ma che questo era un posto paradosso e non avevano alcuna possibilità d’interferire con esso.
AREA MANUTENZIONE
Caro Carlos, visto che Francois è nuovamente a spasso con le dee ti invio questa lunga e-mail per metterti al corrente di una scoperta, penso molto importante che abbiamo fatto nel settore 803/R che come sai è un quadrante che noi dobbiamo esplorare e bonificare. Appena giunti in zona, e ci siamo arrivati velocemente e senza alcun problema poiché avevamo solo da controllare una piccola fascia di terreno che è risultata completamente pulita… appena giunti, dicevo, ci siamo trovati davanti un cartello ancora leggibile con la scritta DEPOSITO MANUTENZIONE, sotto stampigliato in piccolo AZULH® ed ancora più in basso con la solita vernice rossa, c’era in piccolo un numero tracciato dagli Archivisti. Per tutta l’area vi erano delle costruzioni cubiche messe anch’esse a quadrato: duecento per lato. Accanto al quadrato vi erano degli hangar, e tutto era in perfetto stato.
Mentre ci rendevamo conto che le costruzioni a cubo erano alloggi, quattro cuballoggi per ogni costruzione di due piani, ci siamo pure resi conto che erano occupate. E gli occupanti sono gli eredi degli addetti alla manutenzione. Androidi, robot? Niente di tutto questo, ma cloni, cloni umani modificati. Alcuni con quattro braccia, altri con un solo braccio lunghissimo che termina con una serie di pinze che all’occorrenza si trasformano in chiavi inglesi o cacciaviti pure a stella, e so' un cazzo io cosa. Altri hanno lunghi tentacoli e che possono assottigliarsi a dismisura e che arrivano molto lontano e sono muniti all’estremità anche d’organi visivi. Uno spettacolo, gli abitanti, non bello a vedere. Tu mi dirai, ma sono cloni vecchissimi, infatti, i cloni avrebbero dovuto esser sterili ed asessuati, ed invece eccoli qui, i discendenti si sono evoluti e sono bisessuati, come abbiano fatto ad iniziare a riprodursi, questo è un mistero, ma la vita, si sa cerca sempre vie per non estinguersi e moltiplicarsi. A parte gli arti-utensili che sono molto specializzati e raffinati, il resto del corpo di questi chiamiamoli ex-cloni o discendenti dagli addetti alla manutenzione, è per la verità molto rozzo, quasi abbozzato. Ci siamo fermati ai bordi della loro area ed abbiamo tentato di comunicare con loro. Si sono dimostrati solo curiosi della nostra presenza e completamente non ostili, ma nessuno di loro parla, riescono però a farsi comprendere sia coi gesti che “pensando forte”, hanno cioè una leggerissima, ma utile forma di telepatia. Saranno circa ottocento e si sono ben organizzati nei loro cuballoggi, non hanno problemi di cibo, perché c’è un macchinario che fornisce loro una specie di pappa nutriente, inoltre loro allevano anche per scopi alimentari un tipo d’uccello che non vola, simile ai nostri polli ed un lucertolone grasso, con un muso tra l’altro simpatico e che se lo accarezzi fa le fusa, che mangia e sonnecchia per quasi tutta la sua esistenza, cioè finchè non finisce arrosto con le patatine. Insomma da un punto di vista alimentare, considerando che hanno pure molti orti, non ci sono per loro problemi, forse si sono stancati di avere sempre la solita pappa ed hanno cercato vie alternative, oppure potrebbero aver pensato che l’erogazione di pappa non sarebbe durata in eterno si sono a loro modo attrezzati.
I cloni in ogni modo avrebbero dovuto avere un’intelligenza molto limitata e relativa alle loro funzioni, questi invece hanno sviluppato un embrione di cultura pur essendo da centinaia d’anni staccati dalle loro funzioni, o forse l’hanno sviluppata proprio per questo, e tra l’altro riescono a far vita di tribù in maniera egregia. Si saranno accoppiati forse anche con qualche umano rimasto intrappolato dalla chiusura dell’Opificio.
Ho visto molti bambini che giocano, ma il loro aspetto nella maggior parte dei casi è tremendo. Fuori del villaggio c’è una vera e propria fattoria collettiva con numerosi campi a frutta ed ortaggi: da manutentori a contadini!
Uno degli hangar che ti ho detto è zeppo di macchinari ad alta tecnologia da riparare, c’è scritto, infatti, all’entrata OFFICINA RIPARAZIONI RAPIDE. Vi sono accatastati computer, mezzi da trasporto, lavastoviglie, macchine per il caffè e molti altri oggetti complessi dei quali non si capisce la funzione. Tutto ciò che non funziona e che si trova nell’area dei manutentori, viene da loro portato in quest’officina in attesa dei Riparatori che come avrai ben capito, da centinaia d’anni non si fanno vedere, e loro che non l’hanno mica capito, accumulano e quest’hangar gigantesco scoppia letteralmente di roba. Penso comunque che adesso ci penserà l’Università a sgombrarlo ed a studiarne il contenuto.
In uno degli altri hangar c’è una vera e propria “sala giochi” con induttori delta, alcuni ancora funzionanti, giochi elettronici, ed anche attività più tradizionali, quali bocce, tavoli con carte, scacchiere per dama ed un gioco simile agli scacchi, ma che si svolge su più piani ed è molto complesso, poi c’è anche il gioco delle freccette e dei flipper che sembrano d’epoca.
I manutentori costruiscono da loro molti oggetti d’uso corrente e li ottengono modellandoli dai fogli ribattuti di antichi circuiti stampati, sono superfici rigide dall’aspetto fragile, strati di tessuto intrappolati in resine fenoliche di color verde. Ogni foglio originario è caratterizzato da una monotona mappatura metallica che ricorda la topografia urbana. Li prendono guarniti dei componenti che vengono poi facilmente eliminati coi saldatori che lasciano strinature sui fogli con su la lamina la mappa intarsiata da città immaginarie, residuo di molteplici generazioni elettroniche. Sono fogli immortali, inerti come pietre capaci di resistere all’umidità, agli ultravioletti ed a qualsiasi altra forma di decadimento, destinati ad inquinare il pianeta, e qui meglio utilizzati e rilavorati per costruire qualsiasi oggetto d’uso corrente.
Ma la vera sorpresa non sono stati i fogli immortali, ma siamo rimasti tutti colti alla sprovvista quando nel bel mezzo del villaggio di cuballoggi abbiamo trovato un edificio, stesse misure e stesse dimensioni degli altri, ridipinto di recente di un leggero azzurro e con la scritta su una delle quattro facciate: LAVANDERIA.
Lavanderia? Ci siamo chiesti e siamo entrati, c’erano due studenti con me e con stupore abbiamo visto un vecchio banco di formica con dietro i cilindri cromati delle grandi lavatrici. Dietro al bancone c’era un anziano cinese, sì proprio un cinese, giallo, piccolino ed anche bruttino, come quelli delle vecchie foto dei primi anni del 1900. Lì per lì abbiamo pensato ad un ologramma o ad una proiezione tridimensionale, ma poi ci siamo resi conto che la lavanderia era reale, così come il cinese, bruttino sì, ma con due gambe, due braccia, una testa e tutto normale.
- Desidelate? Ci ha chiesto mentre noi eravamo rimasti a bocca aperta guardandoci intorno e le strumentazioni che ci dicevano che non stavamo sognando. E questo è l’unico che qui parla, mentre noi siamo rimasti muti ed il cinese ci ha guardato a lungo, poi ha detto: - Niente scontlino, niente loba. Tolnale veneldì.
A quel punto siamo tutti scoppiati a ridere, poi l’abbiamo tempestato di domande, ed alla fine qualcosa abbiamo capito, non tutto, ma un po’ della sua presenza. La lavanderia non è altro che uno spaccio di droga, i cinesi, non abbiamo capito quanti sono, ma abbiamo visto due donne e tre bambini, i cinesi dicevo coltivano la canapa ed il papavero, li trasformano e li vendono ai manutentori, questo da sempre fin da quando l’opificio funzionava. Gira pure una moneta, me l’hanno fatta vedere, sono dischetti d’oro e d’argento con disegni e numeri stampati. Come puoi ben capire qui c’è molto da fare e da studiare, per questo ti chiedo di venire quanto prima per un sopraluogo. Dimenticavo: non venire con la biomuta, so che te ne sei messa una anche te, perché ai manutentori fa un effetto strano, ti ho detto che hanno sviluppato una loro cultura, anche se rozza, cultura sempre è. C’era una studentessa tra noi in biomuta, quando l’hanno vista si sono tutti rinchiusi nei loro cuballoggi e c’è voluto del buono e del bello per ritirarli fuori. Allora lei ha indossato una tunica e porta degli stivaletti, così tutto è tornato normale. Ti aspetto presto. Alex
PS. Abbiamo cercato di sapere se Tabitha l’avessero portata loro, ma non ci è riuscito di scoprirlo.
*
Caro Alex, come vedi ti rispondo con lo stesso mezzo, ho letto con crescente interesse quello che mi hai scritto e ciò che avete trovato è d’estremo interesse per tutti. Innanzi tutto, non preoccuparti, verrò sì con la biomuta, ma anch’io porto una tunica con la cinta di pelle in vita e degli stivaletti, non mi andava d’andare in giro conciato come un eroe mitologico, lo fa già Francois, ma lui è fisso con le dee. Tutto ciò che avete trovato è veramente interessante ed andrà accuratamente studiato. Così come andrà accuratamente studiata la biologia dei manutentori e risolto il mistero della loro riproduzione, occorrerà poi valutare le possibilità di far tornare i loro figli “normali”. Tutta l’area manutenzione dovrà esser preservata ed interdetta ai non addetti ai lavori, sono sempre uomini e non fenomeni da baraccone. Verrò pertanto quanto prima ed anche Tabitha verrà con me. Sono veramente curioso di vedere di persona il luogo, così come vari dipartimenti dell’Università scalpiteranno per mettere le mani su quell’officina piena di macchinario guasto: riusciranno a riparare qualcosa? A presto, Carlos.
PS. Dimenticavo, se si sparge la voce della “lavanderia” vedrai movimento di giovani da Teoro, da Farvel, ma anche da Lionelle!! E allora acqua in bocca, per ora.
ULTIMISSIMA: appena ho fatto leggere la tua e-mail al Professore, lui s’è attaccato al telefono ed al PC e in mezzora ha trovato un capannone vuoto per far portare lì tutto il materiale “da riparare” ed ha già precettato una ventina di studenti per il trasporto.
BILL E KARIN
Karin se ne sta da solo in una villetta che lui stesso s’è costruito alla periferia di Teoro, non ha mai voluto impegnarsi con una relazione fissa con l’altro sesso e si ritrova molto bene così, la vita da single offre infatti anche qui, molte distrazioni pure da un punto di vista sentimentale. Bill è stato dimesso dall’Ospitale e gli è stato chiesto se vuole abitare con altri o da solo. Ha scelto d’essere ospitato d’altre persone, almeno in un primo tempo, per meglio ambientarsi. E’ stata fatta una telefonata a Karin che si è subito detto disponibile ad ospitarlo. Bill allora è salito su una bolla a ruote dell’Ospitale ed è stato accompagnato fin davanti alla villetta di Karin.
E’ sceso dalla bolla, ha salutato l’infermiere che gli ha fatto d’autista, ha preso la sacca di tela con i vestiti che l’Ospitale gli ha fornito e stava ammirando la graziosa villetta ed il giardino così ben curato quando vede il padrone di casa uscire e venirgli incontro.
Bill resta sorpreso per un attimo, Karin è di colore, e questo non se lo aspettava, nessuno glielo aveva detto. Cerca di non farsi vedere sorpreso, sfodera un sorriso americano e – Così tu saresti Karin.
- Ciao Bill, ti stavo aspettando.
Karin lo conduce dentro casa, gli mostra la sua stanza e gli spiega che non deve sentirsi ospite, ma si deve considerare a casa sua, gli ricorda anche che se vuole, e quando vuole può anche scegliersi un lavoro.
- E tu di cosa ti occupi?
- Di urbanistica, sovrintendo alle nuove costruzioni ed ai rifacimenti, ma è un lavoro di routine, ci sono anche altri che progettano e solo se si verifica una qualche urgenza vengo chiamato. Poi ci sono anche le bonifiche e le demolizioni, ma a questi due servizi siamo veramente in tanti.
- Ed io che lavoro potrei fare?
- Per ora guardati attorno con calma, non hai cani dietro che ti rincorrono: poi deciderai.
- Farò come mi dici.
- Sai, da noi c’è tutto un discorso un po’ collettivo, la zona è di frontiera, la moneta c’è ma non viene quasi mai adoperata ed anche la proprietà qui si è molto autolimitata. Non è una comune, ma siano tutti proiettati a scoprire o a ritrovare cose nuove o dimenticate, inoltre vogliamo bonificare l’Opificio, forse l’intero pianeta: e questo è un lavoro che ci vorranno generazioni per finirlo.
- Credo d’aver capito, intanto me ne starò un po’ a curiosare ed a osservare, poi deciderò.
- Senti, domani con due belle ragazze che provengono dritte dall’Università, parto per due giorni. Andiamo assai all’interno nell’Opificio per verificare un quadrante che deve essere bonificato. Sei dei nostri?
- Domani, hai detto?
- Sì.
- Non credo d’aver preso impegni fino ad ora. Sarò dei vostri.
- Perfetto, allora ti preparo io l’equipaggiamento, intanto puoi andartene un po’ in giro a distrarti, tanto ti ricordi dov’è la casa, no? Anche la stanza, spero, il frigo poi, se ti viene fame, è pieno di roba. Prima d’uscire prendi sul tavolo d’ingresso un rotolo di monete per le tue prime spese, te l’ha fornito l’Ospitale. Hai anche una bolla a ruote tutta tua, è quella gialla parcheggiata lì fuori, è un regalo personale di Francois.
- Caspita! È lui vero il capo? Ma non so come fare a guidarla.
- Non è il capo, ma è rispettato da tutti. In quanto a guidarla è semplicissimo, metti le dita della mano destra nei fori sul cruscotto, ed il mezzo farà tutto quello che tu vorrai. Ora devo proprio andare, considerati a casa tua e nella tua città. Domattina partiamo presto, penso io all’attrezzatura, tu pensa ad ambientarti.
- Farò come dici, ma ho delle probabilità di tornare a casa mia?
- Forse sì, ho sentito dire che le dee ci stanno studiando sopra. Quando saranno pronte ti avvertiranno.
- Grazie a voi tutti.
- Ma figurati, non pensarci e preparati per un bel campeggio in buona compagnia.
SUL FUNGO PENSANTE
Tilde chiamò tutti a raccolta, era il momento di comunicare, forse di giocare. Le esperienze del mondo vegetale erano state piene ed appaganti, era giunto il momento di condividerle, così come era il momento di condividere la sapienza che il fungo pensante che ospitava la cupola aveva elargito.
Tutta la vegetazione era qui immersa in una meditazione profonda e come se fosse un unico essere senziente il pianeta esplorava i pensieri che provenivano anche dai più reconditi settori della galassia ed anche quelli provenienti dai mondi di mezzo.
Tilde era entrata a far parte di questa armonia ed era stata benevolmente accettata. Nella cupola sul fungo abitava con Barbi e saltuariamente arrivava lo stalliere, ma aveva i cavalli da accudire nelle stalle su un altroquando e non poteva portarli qui, il pianeta vegetale non era molto adatto alla loro natura. Flavia era capitata solo un paio di volte, ma era subito tornata all’Opificio, lontana da Francois non riusciva a stare.
Ed al richiamo tutti giunsero ed assieme si ritrovarono Flavia, Tilde, Barbi ed anche Francois, lo stalliere giunse per ultimo, lui era rimasto molto più semplice, aveva una scarsa cognizione del tecno-nucleo ed a quell’unità sembrava appartenere solo in parte.
Furono contenti di ritrovarsi tutti assieme e non appena entrarono nella grande stanza della cupola le loro percezioni iniziarono a fluttuare ed ad intrecciarsi. La fusione era iniziata così, all’inizio dell’incontro, questa volta non c’era stato bisogno di passare dai convenevoli, dal chiacchiericcio normale, forse il bisogno di confrontare le ultime esperienze era davvero forte ed aveva contribuito a farli subito risuonare tutti assieme. Lo scambio di comunicazioni e d’esperienze si prolungò a lungo mentre i loro corpi distratti si abbracciavano, si accarezzavano, si penetravano, si servivano tè, ambrosia, droghe e spezie.
Al termine dell’agape ogni pensiero ed ogni esperienza erano stati condivisi e confrontati, poi fu Francois che rivolgendosi allo stalliere iniziò a parlare.
- Così vorresti trasferirti all’Opificio?
- Sì, con le stalle ed i cavalli, penso che lì ci troveremo tutti bene. Ma è possibile?
- Naturalmente.
- Io direi di trasferire pure la villa, sarebbe un peccato lasciarla lì inutilizzata.
- Mi sembra una buona idea
- Guardiamo allora dove possiamo trasferire il tutto.
Nuovamente i pensieri si fusero e l’habitat di Teoro e l’Opificio si materializzarono davanti ai loro occhi. Individuarono una zona assai brulla a pochi chilometri da Teoro, prima c’erano costruzioni diroccate e vegetazione degenerata, era stato poi tutto polverizzato, ma l’area era rimasta brulla e senza vegetazione: l’aspetto era proprio squallido. Quello era il posto ideale!
Sì, tutti concordarono ed in un attimo quella landa desolata divenne verde di pascoli con i cavalli che lentamente si spostavano alla ricerca dell’erba migliore, a fianco le belle stalle modello inglese e la villa settecentesca con alle sue spalle il fitto boschetto.
- Adesso mio caro stalliere sei anche tu un cittadino di Teoro, hai la tua professione e potrai collaborare con quelli del maneggio, che mi sa hanno sicuramente meno esperienza di te. Però da noi ti occorrerà un nome.
- Ciò che si definisce subito muore.
- Che c’entra lo zen in questo caso? Il nome ci distingue, non ci definisce.
- Facevo solo un po’ di filosofia spicciola, ma la tua risposta è la dimostrazione che lo zen c’entra: c’entra sempre.
- Forza rifondiamoci un attimo e fuori un nome.
- Harpo!
- Harpo?
- Chi l’ha tirato fuori questo nome?
- Io, disse lo stalliere, sento che questo nome mi s’addice, non c’è bisogno di fare la ricerca, me lo sono sempre sentito addosso.
- Come uno dei fratelli Marx.
- I fratelli Marx?
- O voi non sapete tutto?
- Quasi tutto.
- Allora consultate i banchi memoria e coi fratelli Marx vi divertirete sicuramente.
Ed Harpo, appena battezzato fu il primo a partire e giunse a Teoro ove non era mai stato e qui ritrovò la villa, le stalle ed i suoi amati cavalli che appena lo videro gli vennero incontro al galoppo e poi iniziarono a corrergli attorno in cerchio. Era sicuro che l’attendeva una nuova vita.
Gli altri rimasero ancora qualche giorno sul pianeta vegetale, Francois in particolare era ansioso di visitare, e se possibile d’entrare in contatto con l’anima di questo mondo.
- E’ tutta una foresta incantata, sussurrò la prima volta che fece una passeggiata all’esterno della cupola.
Alcuni giorni dopo quando Francois tornò all’Opificio l’attendeva uno sciame di e-mail volanti e di messaggi: erano tutti dello stesso tenore, dal nulla era apparso nel brullo settore 345/M un parco con tanto di villa, stalle, boschetto ed anche cavalli ed almeno un umano. La zona era stata subito isolata con linee energetiche ed il Professore stava aspettando proprio lui per decidere il da farsi.
LA PIAZZA DEI
CESPUGLI
All’alba Karin svegliò Bill: - E’ l’ora, forza che partiamo!
Bill si alzò veloce, un salto nel bagno, la colazione era già pronta sul tavolo di cucina, si rivestì e dopo dieci minuti o poco più era pronto per uscire.
Karin era già sulla bolla, una bolla sperimentale di forma strana, molto allungata: una familiare pensò sorridendo Bill. All’interno c’erano pacchi e strumentazioni, nel poco spazio rimasto libero c’erano anche le due studentesse: caspita che gnocche! Erano veramente giovani e belle, entrambi bionde coi capelli lunghi leggermente ricci, sembravano sorelle. E che belle gambe, lasciate in mostra dai pantaloncini cachi.
- Ti presento Marta e Abigail, questo è Bill fresco fresco dalla Terra originale, forse dal XXI secolo!
- Piacere!
Esclamò Bill e strinse contemporaneamente le due affusolate mani tese.
- Il piacere è nostro Bill, noi facciamo archeologia spaziale e tu rientri appieno nel nostro campo di studi.
- Chiaro, rientro appieno nella vostra specializzazione, e sono pure disponibile, mi fa piacere, studiatemi quanto volete!
- Se avete finito coi convenevoli, mettetevi seduti che si parte, siamo già in ritardo.
La bolla, ma forse sarebbe più giusto chiamarla modulo, s’alzò e veloce sfrecciò sollevata di qualche metro da terra.
- Vi piace questo modello?
- Sì, almeno va veloce.
- E’ sperimentale, l’Università la collauda col nostro viaggio.
- Bella veloce, spaziosa e silenziosa.
- Però non è mica tanto comoda.
- Per forza siamo strizzati da tutto il materiale.
- Sempre a lamentarvi, invece d’approfittarvene, la dietro.
- Bill fa il possibile, non fa che strusciarci le gambe.
- Non lo faccio apposta, è che non so dove mettere le braccia.
- Prova a mettere le mani qui sui nostri seni, forse starai più comodo.
- E’ un’idea…
- Non c’è che dire, a parte la strippatura, è un modello ben riuscito.
- Ma dove siamo diretti?
- Quadrante 436/L.
- Ora ho capito tutto, anche voi, vero?
- …………………….
- Stiamo andando in un quadrante ove sono state rilevate delle costruzioni, forse abitative. Dobbiamo fare un sopraluogo per valutare se sia possibile la loro ristrutturazione. Potremo forse lì creare un nuovo habitat. Tutto chiaro?
- Sì capo!
La musica invase la bolla con un impianto stereo, forse quadrifonico che riempì tutto l’abitacolo, una musica che Bill non riconobbe, era un rock molto psichedelico ma nello stesso tempo dark. Dopo un paio d’ore giunsero a destinazione, mentre Bill intanto si mangiava con gli occhi sia Marta che Abigail che erano poco vestite con i loro pantaloncini ultracorti e le camicette sbottonate. C’erano delle giacche a vento in jeans per tutto l’equipaggio, piegate su alcuni scatoloni di cartone. La bolla scese su un prato nel bel mezzo del quadrante a loro assegnato, poco più avanti sorgevano delle costruzioni fatte a parallelepipedi, intonacate e con finestre rettangolari che s’aprivano a distanze regolari su più piani.
- Sembrano casolari di campagna!
Disse Bill e gli altri annuirono. Cominciarono con lo scaricare le attrezzature e notarono numerose farfalle di quelle belle, mutanti che stavano svolazzando attorno a loro. C’erano anche dei cespugli rotolanti che lentamente s’avvicinarono e poi iniziarono a girare attorno. Ma tutto sembrava tranquillo e specie mutanti pericolose non si scorgevano. Scannerizzarono per bene l’area e non risultarono pericoli: niente radiazioni o gas, né grossi animali. Qui sorprese non avrebbero dovuto esserci. Pertanto crearono un cammino sicuro dall’area della loro sosta fino alle costruzioni, poi s’infilarono in mezzo ad esse e trovarono un piazzale circolare, molto ampio, tutto lastricato in un pietra che sembrava arenaria.
Attorno al piazzale c’erano le costruzioni i cui piani variavano da tre a sette e quattro aperture messe a croce davano sulla piazza. I cespugli e le farfalle li seguirono a poca distanza finchè non giunsero nella piazza, poi le farfalle sparirono ed i cespugli sembravano danzare in quello spazio. Dopo aver a lungo danzato se n’andavano e ne arrivavano di nuovi, e così in continuazione.
- Che belli!
- Sapevamo della danza dei cespugli, ma non che avessero un posto fisso per farla.
- E’ vero da noi ogni tanto trovano uno spazio e si mettono a danzare, poi se ne vanno, ma qui sembra che sia un luogo abituale di ritrovo.
- E’ vero ed hanno un che di magico, mi ricordano le danze dei dervisci.
Intanto tutta l’area era stata attentamente controllata e di pericoli non ne saltarono fuori. Giunse la notte ed attorno al modulo preparano l’accampamento. Cibi pronti che divenivano subito caldi non appena aperti, luci che fungevano da fuoco, circuiti energetici in funzione attorno al campo per la sorveglianza, qui non si sa mai. Musica a buon volume da un riproduttore, sigarette speziate, un po’ di birra uscita dalla fattoria dell’Università.
- Domani esploreremo tutte le abitazioni!
Nessuno di loro portava la biomuta ma in breve si ritrovarono tutti nudi avvinghiati assieme a sperimentare le penetrazioni più azzardate con Marta ed Abigail che ridevano contente, forse non si aspettavano uno stage sul campo così divertente, con le facce bagnate di sperma e se le leccavano a vicenda mentre Bill e Karin dal dietro le possedevano.
Tutti e quattro persero il conto delle volte che avevano goduto quella notte e neppure s’accorsero degli strani rumori notturni, c’era la musica, e dei versi gutturali che erano stati lanciati.
Al mattino controllando i sensori videro che quattro o cinque esseri, forse ominidi, s’erano avvicinati al loro campo, ma poi erano ritornati sui loro passi. I cespugli invece avevano incessantemente proseguito le loro danze senza alcuna interruzione.
Le abitazioni, o ciò che erano, si dimostrarono inutilizzabili poiché all’interno erano interamente rivestite di una pietra spugnosa. Blocchi di pietra che trasudavano umidità, e tutto era costruito con lo stesso materiale che all’esterno sembrava intonacato, ma intonaco non era, era invece una sottile guaina siliconica. Le finestre non erano tali, ma fori per l’aerazione, i pavimenti poi, tra quelli che ad una prima occhiata sembravano piani, non c’erano. Il tetto serviva invece a condensare l’umidità invece di fermarla, e poi la convogliava lungo le pareti spugnose. Il liquido che si condensava nelle costruzioni e presumibilmente poi finiva nell’arenaria con la quale era lastricata la piazza, era composto d’acqua, sali minerali e catene chimiche, forse organiche che sarebbero state meglio analizzate successivamente. Dunque le costruzioni che sembravano case erano tutto fuor che quello e la piazza, grande come un vasto spiazzo cittadino era un luogo deputato alla danza dei cespugli.
- Grosso modo abbiamo capito cosa abbiamo di fronte: le costruzioni servono a preparare un liquido che poi trasuda nelle pietre in piazza e viene assorbito dai cespugli nella loro danza. I perché li lasciamo a chi verrà dopo di noi.
- Qui comunque potrà sorgere un bel centro turistico, messo in modo da non disturbare i nostri amici cespugli.
Intanto venivano completati i rilievi ed individuati i più probabili punti d’atterraggio, di parcheggio, d’accoglienza, ed il tutto veniva virtualmente preparato e messo in memoria dai PC.
La notte sopraggiunse all’improvviso mentre stavano ultimando i loro lavori e decisero che sarebbero rientrati l’indomani. I compiti li avevano assorbiti durante tutta la giornata e così all’improvviso s’accorsero di morire di fame. Le provviste non mancavano ed il pranzo fu velocemente allestito, mentre nuovamente i sensori di guardia erano attivati e la zona del loro accampamento rifulgeva di luce. Karin pensò quanto bene si fosse comportato Bill che sembrava anche lui uno preparato dall’Università, poi si ricordò che gli avevano detto che Bill aveva due lauree, ma non sapeva in cosa, anche se sulla sua terra faceva un lavoro impiegatizio.
Cibo, beveraggi e spezie, poi nuovamente si spogliarono tutti ed il sesso collettivo regnò sovrano nel campo fino a notte inoltrata.
Al mattino, il sole era già alto, il campo fu smontato e tutto impacchettato nuovamente e ricaricato sulla bolla. Partirono felici non prima d’essersi fermati una buona mezzora ad ammirare i balli dei cespugli che proseguirono ininterrottamente. Quel posto sarebbe stato un buon centro d’osservazione e la maniera di far arrivare la gente senza minimamente disturbare i cespugli, c’era.
Mentre il modulo, sollevato d’alcuni metri dal suolo filava in direzione Teoro, i nostri quattro intonarono una canzone alla moda, l’unica di quelle che aveva ascoltato che piacesse pure a Bill.
Per la prima volta, dopo parecchio tempo, Bill non stava pensando al ritorno e ad intervalli di qualche minuto baciava affettuosamente la studentessa Marta che con entusiasmo ricambiava.
Abigail li guardava e sorrideva ad entrambi.
ANCORA CLONI
- Ci sono brutte notizie in arrivo.
- Cos’è successo?
- Un incidente, ci sono stati due morti ed uno dei ragazzi viene da Lionnelle.
- Cazzo!
- E’ successo in un quadrante di tutto riposo, almeno così sembrava e tutti pensavano ad una operazione di routine, invece è andato tutto a puttana.
- Spiegami i fatti per filo e per segno, poi anche tu vai a riposarti e non preoccuparti per il rapporto, ci penserò io.
- Siamo partiti ieri per il quadrante 627/N, una zona che è già stata fotografata attentamente dall’alto e della quale esiste già una cartografia accurata fin nei minimi dettagli. Tutto il bacino è occupato da cisterne in metallo di varie altezze, alcune piene, altre no, sono riempite con sostanze chimiche differenziate. Vi sono poi delle vasche circolari che poggiano sul terreno, anche queste di varie dimensioni. Le vasche sono a cielo aperto, pertanto qualsiasi sostanza fosse passata da lì, oggi è tutto decantato. Discorso diverso invece per le cisterne, e quello doveva essere il nostro lavoro, una per una dovevamo segnalare la quantità di liquidi presenti e la loro composizione. Eravamo pertanto attrezzati per ogni evenienza per l’identificazione sicura delle sostanze: erano state segnalate anche delle perdite, ma queste risultavano marginali. Ovviamente le sostanze all’interno delle cisterne potrebbero anche essere mutate o degenerate considerando gli anni che sono trascorsi dal loro riempimento. La squadra tra inviati dell’Università ed operai era composta di 129 persone. I morti sono lo studente di Lionnelle ed un operaio specializzato di Farvel. Ma ecco come sono andati i fatti. Con le bolle siamo giunti al limitare dell’area, abbiamo scaricato tutto il materiale e montato il campo. Mentre stavamo proprio per terminare il montaggio del campo abbiamo sentito dei sibili, delle urla e dei colpi d’arma da fuoco. Era accaduto che il primo gruppo s’era avvicinato alle cisterne, era ad un centinaio di metri da quelle più vicine quando alcuni cloni sono apparsi dal nulla ed hanno iniziato a sparare con armi a raggio che avevano incorporate nelle braccia. Il gruppo colto di sorpresa, dopo un attimo di smarrimento ha risposto al fuoco con le armi automatiche e tutti si sono messi al riparo, ma per i due che t’ho detto non c’era più nulla da fare, entrambi sono stati colpito proprio tra gli occhi, nel bel mezzo della fronte.
- I feriti quanti sono?
- Nessun ferito, si sono messi tutti al riparo.
- Siete proprio sicuri che fossero cloni?
- Siamo sicuri, sì, ne abbiamo colpito uno ora è all’Ospitale e i medici ci stanno lavorando sopra, pensa, ha le armi all’interno del corpo: i raggi gli uscivano dai palmi delle mani.
- Che roba!
- Sicuramente abbiamo incappato in un gruppo di guardiani ancora attivo che sono stati incaricati, chissà da chi e chissà quando, di proteggere quelle cisterne. Infatti successivamente abbiamo notato una riga gialla segnata in terra, non l’avevamo vista subito perché era ricoperta da detriti e foglie secche. Appena siamo ritornati dietro la linea i cloni se ne sono andati, come l’abbiamo oltrepassata li abbiamo rivisti apparire.
- Se l’area è così ben sorvegliata, forse all’interno troveremo qualcosa d’interessante. Ma dimmi del clone ucciso: era sessuato?
- No, ed è un mistero come possa esistere.
- Infatti i cloni hanno vita breve, gli altri che abbiamo trovato nell’area Manutenzione avevano sviluppato il sesso per riprodursi, ma questi?
- Lasciamolo scoprire agli scienziati. Ma noi ora cosa dobbiamo fare?
- Godervi un meritato riposo per lo scampato pericolo. Siete tutti liberi fino a nuovo ordine. Adesso io penserò al rapporto, andrò a dare un’occhiata all’area e parlerò con i medici dell’Ospitale. Poi chiuderemo la zona. Ci penseranno gli scienziati a fare il resto.
- Certo i nostri antenati erano proprio degli stronzi, costruire dei cloni per questi scopi, ma non pensavano che anche loro erano, almeno in embrione, esseri umani?
- Forse è proprio per queste ragioni che l’Opificio è stato abbandonato, perché è stata abbandonata un via tecnologica di sviluppo.
- Ma noi stiamo rifacendo la stessa strada?
- No, dopo un periodo di pausa e di riflessione, durato più di cinquecento anni, stiamo riprendendo il cammino interrotto facendo tesoro degli errori passati.
- E dobbiamo anche rimediare i danni.
- E’ quello che stiamo facendo.
IN VILLA
- Perché hai voluto vedermi in Villa?
- Ti ricordi? Tilde e Flavia, noi due sole, come madre e figlia.
- Erano tempi felici, ti chiamavo mamma Flavia e giocavamo sempre quando te lo chiedevo.
- Lo ricordo perfettamente.
- Non sapevo nulla del tecno-nucleo, sapevo d’esistere e che dovevo a te la mia esistenza.
- Ed è vero, almeno in parte, ma tu forse sei cresciuta troppo in fretta, hai avuto la frenesia di conoscere le cose.
- Sì, forse ho voluto correre troppo, ma altro che dea, mi sento sempre in fin dei conti, una bambina.
- La mia bambina.
- E come mi piaceva giocare a Tutto, con tutti quei quiz sulla civiltà umana, e lo sai? Spesso baravo.
- Sì che me n’accorgevo, ma facevo finta di nulla, non sempre, ma quasi sempre.
- Poi il Tutto diveniva una Storia, ricordi? E non una storia cattiva come l’ultima che abbiamo vissuto, quella delle torri, ma erano storie felici.
- Pensi che abbiamo smesso di giocare? Guarda che la Storia, quella che abbiamo iniziato quando eri una bambina, continua.
- Storia talvolta è spiacevole, giochiamo a Tutto? Almeno un’ultima volta, senza barare e senza punteggi.
- Sì figlia mia, giochiamo a Tutto, anche se ormai sei troppo cresciuta, sei sempre una bambina, la mia bambina. Comincia tu, ricorda le regole: solo sulla civiltà degli uomini.
- Come abbiamo sempre fatto, però una volta giocheremo sul resto. Va bene?
- Sì
- Dai, sono pronta!
- Amore è dare qualcosa che non si ha a qualcuno che non lo vuole.
- E’ di Jacques Lacan, ma perché cominci con una stronzata? Allora dimmi “Ogni fenomeno terrestre è un simbolo, ed ogni simbolo una porta aperta attraverso cui l’anima, se pronta può entrare nel cuore del mondo”.
- L’anima, che palle!
- Intende la parte più intima del sé, non l’anima dei religiosi.
- Lo so, ed è Hermann Hesse. E allora “-Come scopano i ricci? – Con molta cautela –“
- Questa però è una barzelletta, aspetta, la riporta Stephen King da qualche parte.
- Sì su un suo libro, hai indovinato, ma non chiedermi quale perché non me lo ricordo. Tocca a te.
- Ne sono sicura la riporta su “l’Acchiappasogni”, ma dimmi da dove spararono a Kennedy?
- A Dallas.
- Sbagliato: ho detto da dove. Era da un magazzino di libri al sesto piano.
- Le parole possiedono quel prodigioso potere di accertare confrontare ciò che, senza di esse, resterebbe sparso nel tempo degli orologi e nello spazio misurabile.
- E’ Claude Simon, però preferisco “ciò che si definisce subito muore”
- Questo è zen radicale, ma dimmi “Il poeta precorre i tempi, per questo è considerato vate, annuncia all’uomo quello che lui può vedere in anticipo e l’uomo riesce a vederlo solo quando il fatto si è verificato”
- Nietzsche, elementare Holsen!
- Sir Conald Doyle, senti questo “Set da barbecue sibilano attraverso l’aria, infilzano allo spiedo gli spettatori”.
- Come hai detto? Vuoi ripetere?
- Set da barbecue sibilano attraverso l’aria, infilzano allo spiedo gli spettatori.
- Favoloso! Però non lo so.
- Burroughs! Ignorante tocca a te.
- Cos’è Yiggdrasil?
- L’albero della vita nelle leggende nordiche, le cui radici affondano nel mondo degli umani, l’esistenza dei quali è all’albero strettamente legata. E le Norne sai chi sono?
- Sono l’equivalente delle tre Parche e vivono nella grande radice d’Yiggdrasil, ma tu lo sai il loro nome?
- Certamente: Verdandi, Urda e Skuld. Cambiamo argomento “L’arte è per noi inseparabile dalla vita: diventa arte-azione e come tale è la sola capace di forza poetica e divinatrice”.
- E’ F.T. Marinetti e allora “L’artista si trova nella stessa posizione del pensatore rivoluzionario che s’oppone all’opinione dei contemporanei ed annuncia nuove verità”
- A parte che non è vero, ma l’ha scritto un certo K.Fiedler che non so chi sia però so che il rivoluzionario a furia di guardare l’abisso lo introietta dentro di sé, ed i rivoluzionari preparano sempre cattive copie dei regimi che hanno abbattuto perché quell’abisso che volevano combattere è invece entrato in loro e questo è ancora una volta Nietzsche. Ma dimmi “Non c’è nessuna realtà vera o reale, la realtà è semplicemente uno schema di scansione più o meno costante”
- E’ Burroughs e “Abbiamo intenzione di arrestare questo criminale e di consegnarlo al Dipartimento Biologico per le modifiche del caso”.
- Sempre lui, il grande Burroughs, e questo “La vita è qualcosa che ti succede mentre stai facendo altri progetti”.
- Questa è una verità assoluta e viene da John Lennon. Ma ora basta, chiudiamo Tutto.
- Passiamo a Storia.
- Non possiamo, stiamo già vivendo una Storia.
- La storia dell’Opificio?
- Sì.
- Allora brindiamo con l’ambrosia ai coloni.
- Chiamiamone un paio.
- Solo due?
- Via, oggi esageriamo, ne convochiamo tre o quattro, ma non i soliti, qualcun altro.
- Ogni tanto è giusto cambiare.
- Giusto e doveroso.
UN’AGAPE PER LA
MODIFICA DELLA STORIA
Erano in villa Flavia, Tilde, Barbi e chiamarono Francois, Carlo, Rezia ed il Professore. S’aggiunsero a loro Tabitha e Karin. Fu Flavia a prendere la parola e disse che si sentiva la necessità a procedere nei mutamenti, la Storia stava per avere una svolta, per questo erano stati convocati gli amici, perché la svolta fosse di beneficio un po’ a tutti e soprattutto alle collettività che vivevano nei villaggi, città ormai sarebbe giusto chiamarle.
La riunione proseguì come un party, ma tutti erano
in attesa che PC in contatto col tecno-nucleo attivasse la vera e propria
agape.
Oggi le biomute dei presenti erano tutte
parzialmente coperte, infatti, il Professore dall’Università aveva portato un
nuovo tessuto sintetico, simile alla seta, ma ancor più morbido e confortevole.
Questo tessuto era stato ottenuto ricopiando la composizione e la trama della
tela un innocuo ragnetto mutante che girava per l’Opificio: il risultato per
chi indossava le biomuta era stato stupefacente, questo tessuto ben s’adattava
ad esse. Così tutti cominciarono a sfoggiare tute multicolori fermate in vita
con cinture dello stesso materiale e calzari abbinati.
Anche le dee si resero conto d’esser ancora più
belle leggermente vestite. Il party intanto iniziò a prendere un aspetto
diverso, molte delle frasi dei presenti rimasero a metà, poiché l’interlocutore
conosceva già il finale e neppure si udivano le risposte, perché già esse
galleggiavano nell’aria.
Si formò pian piano un’immagine nel bel mezzo della
sala: una donna bellissima vestita in vario modo, ed il volto di cambiò almeno
tre volte. La donna era la solita, ma poteva mutare faccia. A questa figura se
ne sovrappose un’altra, solo in parte umana, terribile, esprimeva cattiveria da
ogni poro: le due immagini poi si sovrapposero e tremolanti indicarono che erano
tutte la stessa entità.
Definire con esattezza l’entità manifesta non fu per
alcuno dei presenti di facile comprensione, poiché essa era un essere composito
formato dal sommarsi di antichi programmi, di parti di tecno-nucleo e d’entità
esoteriche. In parole povere era la sinergia tra informatica ed un elementale o
forse qualcosa di più, sicuramente qualcosa di meno di un dio. Ma se di dei
bisognava parlare, questi dei erano inferi, diavoli insomma.
Quando ebbero almeno in parte assimilato l’essenza
di questo essere, seppero il nome, o meglio come si faceva chiamare: “Nostra
Signora dei dolori”. A nessuno questo nome diceva niente, ma seppero anche che
questa entità malvagia era in arrivo e doveva essere scacciata, poiché questa
era una realtà che vedeva la presenza del tecno-nucleo, ed ove questo fosse
presente, la Signora era da tempo bandita.
Stavolta l’agape assomigliava proprio ad una lezione
di scuola, ma i presenti non sapevano che il bello doveva ancora venire. Mentre
l’immagine di Nostra signora dei dolori svaniva e con essa se ne andava un’aura
d’oppressione, una nuova forma, anch’essa femminile iniziò ad apparire e
pensieri sicuramente estranei e di altri s’introdussero nella mente collettiva
che partecipava all’agape.
E l’entità collettiva che si era formata e stava guardando la nuova immagine femminile che si faceva sempre più distinta iniziò a provare pensieri non suoi ma muniti di una forte individualità. Se “lui” l’aveva in qualche maniera immaginata, era stata come una specie di sintesi industriale delle ultime tre dozzine di facce femminili più famose sui media giapponesi. Era il sistema normale ad Hollywood. Ma lei, l’Aidoru non era per niente così. I capelli neri tagliati in maniera regolare e lucidi sfioravano le pallide spalle nude mentre voltava la testa. Non aveva sopracciglia, e palpebre e ciglia sembravano spolverate con qualcosa di bianco, che metteva in risalto le pupille scure. Poi i loro sguardi s’incrociarono. Gli sembrò di superare un confine. Nella struttura della sua faccia, nelle geometrie delle ossa sottostanti, erano inscritte in codice storie di lotte dinastiche, privazioni, migrazioni terribili: vide tombe di pietra su ripidi prati montani, gli architravi coperti di neve. Una fila d’assurdi cavalli da soma, il loro fiato bianco per il freddo, seguiva un sentiero sul pendio di un canyon. Le curve del fiume sottostante erano lontane pennellate d’argento. Le campanule di ferro sulle finiture tintinnavano nel crepuscolo azzurro. Ebbe un brivido, un sapore in bocca di metallo arrugginito. Cadeva entro gli occhi dell’Aidoru. Si trovò a guardare un’altissima parete di roccia che sembrava consistere interamente di piccoli balconi rettangolari, nessuno disposto esattamente sul livello o alla stessa profondità degli altri. Il sole arancione del tramonto che si rifletteva da una finestra inclinata, con il telaio di ferro: colori simili a chiazze di benzina sull’acqua che strisciavano nel cielo. Chiuse gli occhi, guardò in basso, li riaprì.
L’Aidoru era lì davanti a lui, troppo umana perché totalmente sintetica, e mentre lei si dissolveva per lasciar posto a nuovi concetti, pensò: Adesso l’Aidoru viene qua, ombra tra le altre ombre, ma distinguibile. Ed io la raggiungerò.
A quel punto l’individualità ferrea in cui s’era trasformato il gruppo dell’agape, in parte si dissolse e fu come si trovassero nell’emiciclo d’una aula universitaria ottocentesca. In basso il professore di turno stava tendo a loro lezione e con alcuni colpi di bacchetta battuta con forza sulla cattedra richiamò la loro attenzione.
Come stavo dicendo il termine “nanotecnologia” fu coniato nel 1976 da Eric Drexler, il quale definì la sua scienza come un tecnologia a livello molecolare che ci permetterà di porre ogni atomo ove vogliamo che esso stia, questa capacità la chiamiamo nanotecnologia perché funziona sulla scala del manometro, ovvero del milionesimo di metro.
Il prefisso nano indica infatti una grandezza matematica pari a 10 alla meno 9, si tratta dunque di una tecnologia a livello atomico, una scala che vede confondersi le applicazioni della chimica con quelle della fisica, l’ingegneria genetica con la quantistica.
Nel campo dell’ingegneria genetica possiamo trovare nanomacchine già esistenti in natura: il ribosoma ad esempio, è una vera e propria macchina programmabile per costruire molecole che agisce montando amminoacidi per assemblare proteine secondo le istruzioni contenute sui nastri di acido ribonucleico. Altre nanomacchine in grado di catalizzare reazioni chimiche, fino ad un milione di reazioni al secondo, sono gli enzimi. Macchine particolarmente a “buon mercato” sono invece i batteri, capolavori di nanotecnologia che si muovono per mezzo di veri e propri propulsori sospinti da un motore rotante, il turbine a protoni.
La nanotecnologia agisce sulla natura delle connessioni fra gli atomi, dalla quale risulta la proprietà della materia. Gli strumenti di questa tecnologia consistono in “macchine” microscopiche in grado di agire sui singoli atomi. Eric Drexler vide nell’applicazione industriale della nanotecnologia due diverse fasi: innanzitutto il piano di costruzione finale dell’oggetto, sia esso un motore d’astronave o una terapia per il cancro o una ricetta di cucina, sarà registrato in una prima macchina, “il seme”.
Il seme conterrà un nanocomputer, vale a dire un processore in possesso d’un meccanismo logico su scala atomica, della capacità di un miliardo di bytes stivato in un micron cubico, pari ad un millesimo del volume di una cellula umana. La prima generazione di assemblatori, delle dimensioni di un submicron, si moltiplicherà esponenzialmente copiando se stessa. La nanomacchina seme sarà iniettata in un fluido viscoso contenente migliaia di miliardi di nanomacchine assemblatrici generate da quella prima singola copia, ciascuna munita del proprio nanocomputer, che agiranno secondo le istruzioni del piano.
Questa seconda generazione di macchine costruirà il prodotto finito vero e proprio, movendosi agevolmente in un liquido che trasporterà anche le materie prime e fungerà da raffreddamento. L’energia sarà fornita dal sole, come dimostra quella straordinaria forma di nanotecnologia che è la sintesi clorofilliana.
La rivoluzione nanotech avvenne alla metà del XXI secolo, fra le conquiste della nanotecnologia, associate all’ingegneria genetica, c’è stata la trasformazione della materia a livello atomico, la sua duplicazione, computer della dimensione di un centesimo di micron cubo, la conquista dello spazio, la definitiva demolizione dei rifiuti, la messa a punto di nuovi materiali resistenti come il diamante, una medicina che agisce selettivamente sulle molecole, la ricostruzione di tessuti organici, un’anestesia estremamente efficace, un prolungamento della vita molto vicino all’immortalità, infine e purtroppo anche sconvolgenti novità nelle armi di distruzione di massa.
“La gente ha paura della nanotecnologia! Per questo
l’ha gettata! Ha paura che quando è al cesso, delle stringhe gli s’infilino su
per il buco del culo e la trasformino in alien!”
Chi è stato? Chi ha parlato? Fate silenzio! La lezione prosegue.
Flavia, Tilde, Barbi Francois, Carlo, Rezia, il Professore, Tabitha e Karin all’interruzione per un attimo si riscossero e solo allora si resero conto che si trovavano tutti assieme seduti in questa grande aula universitaria, e non erano soli, molte altre persone stavano assistendo alla lezione e si guardavano attorno alla ricerca del disturbatore.
L’AIDORU
L’Aidoru si ritrovò in una stanza quadrata piena di misteriose apparecchiature che sembravano inutilizzate da secoli, ma possedevano ancora qualche scintilla di funzionalità. Infatti da quello che sembrava un ammasso di rifiuti informatici alcuni led lampeggiavano con regolarità ed alle pareti altri circuiti a loro addossati avevano led tremolanti ed ammiccanti.
L’Aidoru aspirò l’intenso odore di ozono che permeava la stanza, cercò pi di far mente locale e con fatica riuscì a mettere a fuoco alcuni brandelli di memoria, ma tutto rimaneva confuso ed avvolto nell’oblio. Era riuscita a farsi trasferire in ogni filiale della multinazionale gestita dalla yakuza, oppure era stata gettata nell’ingranaggio nanotech contro la sua volontà? C’era stata l’inaugurazione del servizio di teletrasporto per il trasferimento istantaneo a distanza delle merci. Ma in effetti era un sistema di nanotecnologia per la ricostruzione a distanza degli oggetti, ma la gente ha paura della nanotecnologia. Dunque lei era stata duplicata, o costretta di sua volontà la cosa ora era ininfluente. Comunque il posto ove adesso si trovava non era per niente né un’agenzia della multinazionale, né una filiale della yakuza: questo era un posto sperduto chissà dove. Forse il trasferimento attuato aveva attivato questi antichi circuiti che erano in attesa chissà da quanto tempo.
Dopo aver a lungo osservato gli incomprensibili marchingegni che riempivano la sala, l’Aidoru trovò quella che poteva essere una porta. Ci armeggiò un po’ intorno, infine riuscì ad aprirla. La vista che le si parò davanti era di totale desolazione in un tramonto rossastro tra padiglioni industriali abbattuti e tralicci metallici sbilenchi. In lontananza alcune ciminiere che non sembravano per niente in buona salute, s’alternavano ad alberi contorti totalmente spogli, e si scorgevano alcune montagnole che sembravano di macerie.
L’Aidoru rientrò nella sala quadrata trattenendo un brivido che la percorreva. Il contrasto tra il suo corpo splendido e nudo e le apparecchiature disastrate coperte da polvere e ragnatele, era a dir poco, surreale e stridente.
I led all’improvviso sembrarono animati da nuova energia ed all’unisono iniziarono a lampeggiare con intervalli sempre più ravvicinati, finchè una piattaforma che un attimo prima era invisibile, s’attivò. L’Aidoru sempre più interessata stava osservando il lavorio delle macchine, sicuramente l’impianto nanotech era nuovamente in azione, si formò sopra la piattaforma un cono di luce che si trasformò in nebbia, poi qualcosa di concreto nacque ed emerse.
LEZIONE NANOTECH
Dopo l’interruzione il professore, o chi cavolo fosse riprese la sua lezione e recuperò immediatamente l’attenzione di tutti i presenti.
Se prendiamo un frammento di carbonio, modifichiamo la posizione delle singole molecole e le disponiamo in modo appropriato, otteniamo un diamante, è dunque possibile manipolare gli atomi per trasformare la materia a nostro piacimento. Dal momento che gli atomi di carbonio sono i più leggeri ed i più resistenti in assoluto, essi hanno costituito la materia prima dei primi nanoutensili, le molecole che si basano sull’elemento carbonio vengono definite “diamantoidi”. I nanotubi di carbonio sono dei sottilissimi cavi che, raggruppati in cinquantamila unità, hanno un diametro pari ad un capello e sono cento volte più resistenti d’un cavo d’acciaio. Già nel 2000 fu realizzato un transistor che misurava solo 60 nanometri e gli ingegneri della NASA ottennero un ingranaggio il cui rotismo è composto da un solo atomo. Anche da tutto ciò è derivato che l’inchiostro è formato da minuscole sfere con un verso bianco ed uno nero. Una semplice pressione sulla copertina farà apparire a scelta “Pinocchio” piuttosto che “La Bibbia” oppure le diverse altre migliaia di opere presenti nella memoria. Un solo libro è al contempo un’intera biblioteca. Tre sono state le ipotesi di partenza per questa tecnologia: 1. qualsiasi struttura chimicamente stabile e modellabile può esser creata, ovvero ciascuna molecola può esser scomposta ed i suoi componenti possono esser riuniti in un’altra molecola. 2. E’ possibile assemblare delle molecole per fabbricare dei motori in grado di funzionare per un dato periodo di tempo con una quantità d’energia infinitesimale. 3. E’ possibile aggregare delle molecole in un dispositivo in grado di captare delle informazioni e trasmetterle in modo pressoché invisibile.
Le cellule che compongono il nostro corpo sono microscopiche, un bisturi al confronto è uno strumento sproporzionato: un dispositivo di pochi manometri può introdursi nel corpo senza arrecare lesioni e se munito di sensori facilita le diagnosi. Nanorobot iniettabili nel corpo umano curano o distribuiscono farmaci nella zona direttamente interessata: i nanorobot identificano internamente e distruggono le cellule cancerogene. Nelle ultime guerre sono stati impiegati robot-spia in grado di volare per ore raggiungendo alte velocità e di trasmettere tutte le immagini richieste. Sono stati anche utilizzati dispositivi delle dimensioni e sembianze di una mosca che oltre ad essere in grado di spiare, hanno in sciame materialmente attaccato e sabotato armi e materiali bellici e diffuso malattie nei ranghi nemici. Nanorobot capaci anche di autoreplicarsi. Lo smaltimento rifiuti ha poi conosciuto un salto di qualità, infatti un esercito di nanorobot disgrega atomo per atomo la nostra immondizia e la trasforma in nuove materie prime ed anche in materie finite. I beni di natura primaria per la sussistenza sono cos’ divenuti praticamente gratuiti. Ovviamente sono nate le nere IA e se i termini età della pietra, età del bronzo ed età del ferro derivano dagli strumenti che gli esseri umani hanno fabbricato, allora questa nuova era tecnologica può a ragione esser definita come “l’età del diamante”
NOSTRA SIGNORA DEI
DOLORI
Era affaccendata ad infierire con un paio di forbici rugginose sui resti di un povero corpo martoriato di un giovane saldamente legato ad un tavolo in legno con delle robuste cinghie di cuoio, quando si sentì come strappar via da quel luogo e si accorse che i suoi recettori neurali s’erano improvvisamente attivati, senza un suo comando, e stavano armonicamente risuonando con un altro apparato sito a non molta distanza.
L’Aidoru piombata nelle stanza all’interno dell’Opificio, stava intanto con interesse osservando le varie fasi della materializzazione che sotto ai suoi occhi stava avvenendo. Il cilindro di luce era poi divenuto di nebbia luminescente, ed ora che qualcosa di solido si era formato al suo interno, la nebbia diradava. Quando fu dissolta del tutto apparve una donna vestita con una tunica di seta azzurra e cintura e sandali in oro.
La pelle nuda dell’Aidoru tremolò per un attimo, poi addosso a lei apparve un’identica tunica azzurra e cintura e scarpe in oro.
La nuova venuta si guardò intorno meravigliata mentre tutti i led dei circuiti nella stanza, ad uno ad uno si spegnevano. L’Aidoru fu la prima a parlare.
- Ben arrivata!
- Arrivata dove?
- Speravo fossi tu a dirlo.
- Perché sono qui? Tu mi hai chiamata?
- Figuriamoci! Anch’io mi sono trovata sbattuta qui, ma qualcosa posso dirti: sono l’Aidoru e mi sono fatta spedire in ogni sede della yakuza con un trasmettitore di materia nanotech. O forse mi hanno spedito, ma la cosa non cambia. Una copia di me, comunque è arrivata qui, ma non credo proprio che questo fosse il posto giusto. Forse la rete dei trasmettitori ha attivato questo impianto che mi sa è fermo da un bel po’ e non ho la più pallida idea di dove cazzo si trovi. Perciò non so proprio dove siamo capitate, fuori di qui c’è una fabbrica mezzo diroccata che mi sembra proprio enorme, immensa. Ma tu come sei arrivata? Chi sei?
- Mi chiamano Nostra Signora dei Dolori, e generalmente chi mi incontra non sopravvive a lungo. Tu donna dovresti tremare e riconoscermi: uccido sempre tutti coloro che osano attraversare la mia strada.
- Divertente..
- Tra poco il tuo divertimento avrà fine, poiché comincerà il mio.
- Cara Signora, non ti ho mai sentito nominare, da quale manicomio arrivi?
- Ero su un rifugio nell’avamposto lunare e stavo giocando e riflettendo sulla stupidità umana. Ti basta donna?
- Forse sarebbe meglio uscire e vedere dove ci troviamo. Questa graziosa conversazione la rimandiamo a dopo.
- Adesso voglio fare un lavoro. Prima sono stata interrotta ed a me le interruzioni non piacciono.
Un raggio paralizzante uscì fuori da un dito della mano di Nostra Signora dei Dolori e colpì l’Aidoru. Ma il raggio attraversò il suo corpo senza recar danno alcuno, per un attimo lei si fece trasparente.
- Che bello! Abbiamo pure gli impianti, ed anche diversificati, vedo che adesso il tuo ditino, che prima era una pistola a raggi adesso s’è trasformato in una lama! Ma dimmi, prima che me lo dimentichi, quel nome carino che hai, te lo sei dato o te l’hanno appioppato gli strizzacervelli?
- Cagna! Ti farò cessare quel sorrisino angelico, vedo che alcuni giochetti pure tu li conosci, ma non ti serviranno a molto. Perché hai una veste uguale alla mia?
- Se preferisci me la tolgo. Non sapevo che fosse un abito in esclusiva.
L’ETA’ DEL
DIAMANTE
Ricapitoliamo: la nanotecnologia si riferisce al controllo della struttura della materia al di sotto del micron, l’uso più comune comunque, si riferisce al controllo della struttura della materia su scale del manometro, il che vuol dire la capacità di controllare la disposizione degli atomi, questa disposizione richiede lo sviluppo di strumenti chiamati assemblatori.
Un assemblatore è uno strumento con un braccio robotico sub-microscopico sotto il controllo d’un computer. Funziona applicando attrezzi molecolari reattivi ad un pezzo di lavoro, costruendo gli oggetti molecola per molecola. Gli assemblatori piazzano gli atomi con precisione totale, permettendo loro di costruire virtualmente qualsiasi cosa che risponda ad una legge naturale. Con una programmazione appropriata e coi materiali a disposizione gli assemblatori sono anche capaci di costruire copie di se stessi, cioè di replicarsi.
L’esistenza di macchine molecolari in natura dimostra che strumenti di questa scala di grandezza sono totalmente affidabili: nessuna nuova scienza fondamentale è stata creata, in quanto la nanotecnologia è solo un avanzamento dell’ingegneria.
Migliorare le capacità di controllo della materia è stato da sempre il maggior scopo della tecnologia, le conseguenze delle costruzioni basate sugli assemblatori sono state enormi nelle arre più disparate, dal computo alla medicina, dall’ambiente alla meccanica.
Poiché sono capaci di copiare se stessi, gli assemblatori sono a buon mercato, ciò si capisce ricordando che molti altri prodotti di macchine molecolari “naturali”, come legna, paglia, patate, non costano un’esagerazione.
La lavorazione con nanomacchine è di per se oltre che economica, estremamente pulita da un punto di vista ambientale, anche i rifiuti della trasformazione stessa sono caratterizzati dalla loro estrema nettezza.
La radiazione può spezzare i legami e spiazzare le funzioni all’interno d’uno di questi strumenti. Tale difetto si contrasta in due modi: usando progetti in cui se una parte si deteriora ce ne è un’altra che la sostituisce, questo sistema viene definito in ridondanza, oppure lasciando strumenti di riparazione, le utility, all’interno dell’oggetto che agiscono a livello molecolare in caso di necessità. Se non vi fossero queste precauzioni le macchine molecolari si romperebbero presto e cesserebbero di funzionare.
In medicina, la malattia è il risultato di un disordine fisico, di molecole e cellule che si trovano sistemate in modo errato, la medicina a questo livello è capace di curare la maggior parte delle malattie, correggendo le mutazioni del DNA, si potranno inoltre distruggere le cellule cancerogene, le sostanze tossiche ed i virus, con l’uso di nanomacchinari medici, incluse le macchine ripara cellule.
Una macchina ripara cellule è uno strumento con una serie di minuscoli bracci ed attrezzi controllati da un nanocomputer, l’intero sistema è più piccolo d’una cellula e funziona come un piccolo chirurgo che raggiunge la cellula, testa le parti danneggiate, le ripara, richiude la cellula e passa oltre. Riparando e risistemando le cellule e le strutture circostanti, le macchine ripara cellule ripristinano i tessuti. Le cellule si costruiscono e si riparano usando macchine molecolari, le macchine ripara cellule usano gli stessi principi.
Permettendo un controllo completo della materia, la nanotecnologia permette di porre fine all’inquinamento chimico: qualsiasi atomo di rifiuto può essere riciclato, si riduce il costo della pulizia e si liberano aree territoriali dagli insediamenti industriali.
I grandi opifici potranno così esser dismessi e le loro aree bonificate.
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furono proprio questi passaggi ultimi a rendere
vigile l’attenzione dei nostri spettatori che si guardarono tra loro rompendo
il legame ipnotico che li legava a quell’ambiente così pesantemente
universitario ed un pensiero comune serpeggiò tra loro – il nanotech avrà anche
trionfato, ma nessuno s’è preso la briga di bonificare gli insediamenti - forse era più facile abbandonarli a se
stessi –
RESTO’ NUDA SFOLGORANTE
NELLA SUA BELLEZZA
E l’Aidoru restò nuda, sfolgorante nella sua bellezza, la tunica non è che cadde in terra, ma le si dissolse addosso, mentre Nostra Signora l’osservava sempre più accigliata. In mano le apparvero nuove file di lame, alcune rotanti e lei si scagliò con violenza contro l’Aidoru, tentando di colpirla ripetutamente, ma ogni corpo attraversava lo splendido corpo nudo senza lasciare traccia alcuna, era come se l’Aidoru fosse un ologramma. Ed anche Nostra Signora si pose questa domanda, ma i suoi sensi affinati le garantirono che questo non era.
La Signora dei Dolori sembrava una vera e propria furia scatenata, tanto era la sua rabbia: l’Aidoru sorrideva perché l’attacco che stava subendo gli ricordava alcuni vecchi film d’animazione giapponese e non faceva niente per scansare quella grandinata di colpi mortali che l’attraversavano senza procurarle danno alcuno.
Di colpo Nostra Signora rimase ferma, bloccata, come si fosse trasformata in pietra. L’Aidoru allora l’osservò incuriosita, le parlò ma lei non rispose, la toccò ed al tatto era dura e fredda come la pietra. Qualcuno l’ha bloccata, si disse, e dentro di se avvertì la sensazione che chi l’aveva bloccata stava arrivando e forse l’aveva fatto in buona fede con l’intenzione di salvarla, ma lei, l’Aidoru non aveva bisogno di salvataggi, la Signora niente avrebbe mai potuto contro di lei. Comunque, si disse, se l’hanno fatta fuori meglio così, un affare del genere non credo possa essere d’utilità a chicchessia, sembra una macchina per procurare danni e dolore.
NANOTECH
Anche l’immensa quantità in eccesso di biossido di carbonio che era presente nell’atmosfera, è stata facilmente rimossa. Imponenti sono stati gli effetti sull’economia, poiché gli assemblatori possono costruire velocemente se stessi usando materiali a basso costo, poca energia e nessun lavoro umano. Un singolo assemblatore può essere utilizzato per costruirne miliardi.
Una volta a disposizione del software per programmare gli assemblatori si possono costruire beni di consumo, ogni nucleo familiare ha potuto usare un sistema d’assemblatori per autoprodurre in modo economico ogni prodotto necessario.
Tutto il panorama industriale ha dovuto mutare radicalmente, inoltre ogni individuo ha avuto la possibilità di costruirsi una casa e la maggior parte di ciò di cui aveva bisogno, si è così anche radicalmente modificata la necessità del trasporto merci.
Proprio a questo punto la severa aula universitaria iniziò a dissolversi ed i nostri si ritrovarono nel salone della villa. Ognuno immerso nei propri pensieri, se ne stavano in silenzio ed individualmente analizzavano l’esperienza appena avuta. Fu Francois a parlare per primo.
- Questa volta ci siamo fatti un’istruzione sul nanotech, sull’Aidoru e su Nostra Signora dei Dolori, perché?
- Forse stanno per entrare nella nostra Storia.
- Anch’io non credo che tutto ciò che abbiamo visto ed udito sia finalizzato ad un’astratta istruzione.
- Sì c’è senz’altro qualcos’altro.
- Aspettate, io sento l’impulso di recarmi con la massima urgenza in un posto all’interno dell’Opificio, voi?
- Anch’io provo la stessa sensazione, e d’urgenza.
- Nessun altro lo sente?
- ………………………
- Mi sa che tocca a noi due.
- Dobbiamo andare.
- E di corsa.
- Ci vediamo dopo e vi diremo di cosa si tratta.
- O cosa avete perso.
- Flavia e Francois salutarono velocemente gli altri ed uscirono per infilarsi nella bolla volante e subito partirono per l’interno dell’Opificio verso una destinazione che era perfettamente nota ad entrambi. Avevano intuito che il richiamo era giunto dal tecno-nucleo, doveva esser cosa veramente importate, se quei “signori” s’erano abbassati a comunicare con loro.
COME PIETRA
L’Aidoru si girò di scatto mentre la porta d’ingresso venne non spalancata con forza, ma addirittura scardinata verso l’interno e Francois e Flavia fecero irruzione nella stanza squadrata ad armi spianate.
L’Aidoru si riprese dallo stupore, in effetti sospettava dovesse accadere qualcosa di simile, ed osservò con interesse i due nuovi venuti, rimase colpita soprattutto dallo splendore delle biomute.
Francois invece si bloccò totalmente stupefatto dalla bellezza dell’Aidoru, poi osservò l’altra donna che era paralizzata.
- Siete venuti a salvarmi?
- Certamente, ci hanno anche fatto un corso rapido d’istruzione prima d’inviarci qui.
- Non capisco.
- Ci sono nuovi dei tecnologici, ma assomigliano a quelli pagani.
- Vi ringrazio comunque.
- Non dire stronzate, sappiamo chi sei, sei solo un’idea.
- Un’idea molto senziente, però.
- Come idea e desiderio, niente male, vero Francois?
- L’avete uccisa?
- Magari, se tu sei la quintessenza del desiderio, quella è la quintessenza della malvagità, noi non l’abbiamo toccata e non possiamo ucciderla.
- Allora chi l’ha pietrificata, e cos’è? tanto umana non mi è sembrata.
- L’hanno pietrificata quei nuovi signori che ti dicevamo, ma tranquilla, non l’hanno fatto certo per noi. Il fatto è che loro qui hanno una presenza e dove sono loro questa non può restare.
- Ma cos’è?
- È anche un programma, definirla è impossibile, fu scacciata dal tecno-nucleo perché era troppo anche per loro. Adesso si diverte a torturare ed a uccidere gli umani, è il suo passatempo preferito.
- Graziosa!
- Ma tu sei l’Aidoru, vero?
- Sì, mi conoscono e mi desiderano tutti.
- Veramente fino ad ieri proprio non sapevamo niente della tua esistenza.
- È impossibile, io sono le passioni ed i desideri di tutta l’umanità, apprendo e miglioro.
- Come sei giunta qua?
- Miracoli del nanotech.
- Lo sapevo! Niente c’è stato detto a caso, il nanotech è vicino alla magia, ma Francois rilassati, ti piace proprio l’Aidoru, te ne stai lì piantato come un salame ad osservarla…e sei già in piena erezione!
- È fantastica……
- Dai, toglili gli occhi di dosso, guarda che la sua consistenza è flebile, è poco di più della sola immagine.
- Possiamo renderla più densa?
- Così te la puoi fare? Voglio ricordarti che addirittura all’inizio le occorreva un proiettore per manifestarsi, come per gli ologrammi. Comunque forse si può mutare la risoluzione, ma se lei non volesse?
- Io sono l’Aidoru, qualsiasi cosa possa fare per rendermi più desiderabile, voglio realizzarla. Mi occorre solo del tempo, per comprendere i desideri.
- Francois io ti consiglio di lasciarla stare, è più vicina ad un’immagine televisiva che ad una donna.
- Va bene, ma siamo stati chiamati qui per neutralizzare una fonte di estrema negatività. L’abbiamo trovata bella e pietrificata, cosa ne dobbiamo fare?
- Il tecno-nucleo s’è scomodato ancora una volta a farcela trovare impacchettata, adesso dobbiamo trovare la maniera di neutralizzarla del tutto.
- Certo non la vogliono proprio tra le palle.
- No.
- Come facciamo a liberarcene? O forse resta di pietra e la trasformiamo in un monumento, magari lo piazziamo in mezzo ad un’aiola fiorita a Teoro. Oppure la prendiamo a martellate così la finiamo a pezzi.
- Non sarà certamente così semplice.
- Possiamo rispedirla da dove è venuta?
- Forse, tu che dici d’essere l’Aidoru, da dove si sbucata? Puoi far tornare indietro questo mostro?
- Ma è tanto negativa?
- Sono centinaia d’anni che vive con gli umani, si diverte a torturarli ed a ucciderli nei più fantasiosi dei modi. È questo il suo divertimento, questo è il suo unico scopo di vita.
- Hai detto che è antica, allora prima di vivere tra gli uomini cosa faceva?
- Sicuramente torturava altri senzienti, da qualche parte, l’universo è vasto e multiplo.
- Allegria! Allora leviamocela di torno. Questo se non mi sbaglio, anche se un po’ arrugginito è un impianto di trasmissione, noi siamo arrivate con questo, vediamo di farla ripartire.
L’Aidoru indicò il circolo sul pavimento dal quale erano passate, poi si rivolse agli altri – Qui lampeggiavano tutti i led, sapete come fare per riaccenderlo?
- Ma trasmette o duplica?
- Probabilmente fa entrambe le cose.
- E se ne sbattiamo una copia da un’altra parte e questa ci rimane qui?
- La mettiamo nel mezzo dell’aiola.
- Ricapitoliamo: l’Aidoru s’è duplicata in tutto il mondo, o sbaglio? E qui ne è arrivata una copia per errore perché questi circuiti hanno risuonato.Perciò se spediamo questa, spediamo solo una copia e la Signora resta qui.
- Non credo che il tecno-nucleo voglia duplicarla, tra l’altro se ci hanno mandato qui, controlleranno quel che succede.
- Speriamo.
- Noi ci proviamo a spedirla.
Flavia uscì dalla stanza ed entrò nella bolla con la quale erano giunti ed estrasse un piccolo pacchetto nero, grande all’incirca come un pacchetto di sigarette. Lo attivò e da questo scaturì un sottile raggio, quasi invisibile e tramite questo lei diffuse energia al circuito. Intanto Nostra Signora, anzi la sua statua era stata piazzata proprio all’interno del circolo disegnato sul pavimento.
Per un po’ non successe niente, poi qualche led cominciò a lampeggiare e sopra il cerchio disegnato una sottile nebbia iniziò ad alzarsi attorno alla statua in volute sempre più dense. La nebbia si era ispessita e quasi nascondeva la statua, le sue forme iniziavano a scomporsi e la nebbia in volute si ritirò come risucchiata dal circolo che adesso era luminescente. I led intanto lampeggiavano sempre più velocemente ed alcuni sottili fili di fumo iniziarono a sollevarsi dai circuiti. Vi fu poi un lampo ed un secco schiocco come quello d’un grosso ramo che si spezza. Il lampo fece loro chiudere gli occhi e quando li riaprirono alcune lingue di fiamma si levavano dalla strumentazione, fumi e vapori invadevano la stanza e c’era odore di ozono misto a quello di circuiti bruciati. I loro occhi corsero ove si trovava la statua e con sollievo di tutti in quella zona c’era solo del fumo.
Francois, Flavia e l’Aidoru si affrettarono fuori mentre tutto veniva avvolto dalle fiamme. L’edificio bruciava mentre loro che erano entrati nella capsula, lo stavano osservando a distanza di sicurezza.
- Ce ne siamo liberati.
- Qui di mostri ce ne è già abbastanza.
- Uno in più era di troppo.
- E di te che ne facciamo?
- …………………….
- Vieni con noi, non credo che tu voglia restare qui.
La capsula si sollevò più in alto e fece alcuni giri sopra l’edificio in fiamme, poi s’avviò verso Teoro e Francois mise la guida automatica. Si volse verso l’Aidoru e delicatamente le posò una mano sulla coscia, ma la mano attraversò solo l’aria.
- Te l’ho detto Francois, se voi fartela dovrai renderla più densa! – disse Flavia ridendo.
- Intanto viene con noi: in villa o alla cupola?
- Perché non dove abiti con Rezia ed il tuo bambino Roger?
- Dai, non voglio casini.
- Scherzavo, andiamo alla cupola, e più intimo no?
- Alla cupola allora, e voglio approfondire ancor più questa storia della nanotecnologia, mi sa che è stato questo il vero motivo dell’abbandono dell’Opificio. Voglio poi saper da dove vieni, mio Aidoru.
- Sarà per te più interessante capire non da dove viene, ma cosa è veramente.
LE SCILLE
Non appena Francois mise piede nella sua casa, Rezia gli disse di mettersi comodo poiché aveva seriamente da parlargli. S’accomodò in salotto sulla sua poltrona preferita, s’accese un sigaro ed attese. Rezia lo informò che Bill s’era trasferito qui da lei, d'altronde lui non c’era quasi mai ed aveva bisogno di qualcuno per non sentirsi troppo sola. Tra l’altro Bill andava molto d’accordo con Roger, proprio adesso erano andati in giro assieme: Francois rimase un po’ stupito per tutto questo nuovo svolgersi d’avvenimenti, un po’ stupito, ma non troppo.
- Ma Bill non vuol tornare da dove è venuto?
- A Hurruh?
- No, per carità! Alla sua Terra, nel suo tempo.
- Credo non gli interessi più di tanto adesso, mi ha detto che raffronta ogni cosa che vive qui con ciò che gli succedeva nella sua precedente vita. Dice che non c’è paragone.
- Abbiamo allora un nuovo colono? Si è già trovato un lavoro?
- Ha iniziato a lavorare coi cartografi per la stesura delle mappe del pianeta. Tra l’altro, lo sapevi? È laureato in geologia.
- Sapevo che aveva due lauree.
- L’altra è archeologia.
- Caspita! Il lavoro qui non gli mancherà.
- Spero comunque che non ti dispiaccia se lui abita qui con me. Tu puoi venire quando vuoi, ho messo tutte le tue cose in una stanza, qui puoi sempre fermarti quando lo desideri, questa è casa tua e Roger è tuo figlio.
- Hai ragione, qualcuno doveva prendere il mio posto con te, io passo quasi tutto il mio tempo con Flavia, dovevo aspettarmelo che tu ti saresti sistemata diversamente. Credo d’averti un po’ troppo trascurata in questi ultimi tempi. Ed ho trascurato anche Roger.
- Con Roger puoi sempre recuperare, con te sarò sempre disponibile quando vorrai, ma preferisco far coppia fissa con Bill, vieni a trovarci quando vuoi, te l’ho già detto ti ho messo una stanza con tutte le tue cose, potrai fermarti quando vorrai: è anche casa tua questa.
- Grazie, vedo che hai pensato a tutto, farò come dici.
- Se aspetti, Bill ti deve parlare.
- Digli tu che va tutto bene.
- No, vuol vederti per un altro motivo, le esplorazioni e la bonifica sono arrivate fino al grande fiume. Da te vogliono sapere se devono oltrepassare il fiume oppure bonificare tutto il triangolo di terra che c’è tra il fiume ed il mare.
- A questo avevo già pensato e puoi riferirglielo. Bonificheremo prima tutte le terre al di qua del fiume, fino al mare, dopo innalzeremo un grande ponte e cominceremo a ripulire l’altro lato del fiume.
- Mi ha detto di comunicarti che il fiume è abitato da animali assai feroci. Oltre ai pesci assassini d’acqua dolce, quelli piccolini che mangiano sempre e di tutto, vi sono pure delle scille.
- Davvero? Come quelle di mare? È vero, il fiume è così ampio che sembra un mare.
- Le scille del fiume sono molto più piccole, però altrettanto feroci
- Le scille! Che animale pericoloso, ma affascinante. In mare c’impediscono di andare al largo con le piccole imbarcazioni. Con quel loro collo lunghissimo che termina come un fiore, solo che è una bocca aperta tutta costellata d’aguzzi denti. Mangiano in continuazione pesci ed anche uccelli presi al volo. E se gli capita un uomo a portata non disdegnano di variare un po’ la loro dieta.
- Bill mi ha detto che le scille di fiume sono più piccole di quelle di mare e non stanno solo al largo ed in acque profonde, queste si spingono fino a riva ed afferrano qualsiasi cosa si muove. Prima che s’accorgessero della loro esistenza un operaio ed un cartografo sono stati mangiati.
- Che brutta fine, ma noi costruiremo un ponte e potremo in tutta sicurezza ammirare le scille.
- Riporterò a Bill quello che mi hai detto.
- Ok! Salutamelo, poi tornerò a trovarvi. A proposito, ma Bill non si faceva quella studentessa?
- Se è per questo, se la fa tuttora, ma con me ha trovato tutto un altro rapporto.
- Capisco. Sai, oltre il fiume c’è quella zona che le dee ci hanno consigliato d’evitare. Non mi hanno mai voluto dire cosa ci sia. Ma appena bonificato il triangolo di terra fino al mare e costruito il ponte, organizzerò un viaggio d’avanscoperta per quel punto. Tu verrai?
- Sarò dei vostri, più che volentieri, e sono sicura che anche Bill ci sarà.
- Allora tenetevi pronti, presto ci andremo, ora devo proprio andare.
- Aspetta, prima voglio farti vedere come ho sistemato la tua stanza.
Lei si avviò verso le scale e le salì tutte fino ad arrivare proprio in cima, ove c’era una soffitta. Francois le andò dietro e la prima cosa che vide era che la porta della soffitta era stata sostituita con una molto bella in legno pregiato, con maniglia in ottone. Ma l’interno della stanza era veramente bellissimo con un letto d’ottone anch’esso molto ampio, comodini ed armadio in legno pregiato, moquette in terra e quadri alle pareti. La luce entrava da un lucernaio e poteva esser attenuata a piacimento da una tenda mobile. Vi era poi una scrivania col suo PC, i suoi libri e tutte le altre cose. Una porticina più piccola dava in un bagno con doccia.
Rezia si mise sul letto mentre lui osservava tutte le sue cose e come la stanza era stata arredata con gusto.
- Vieni proviamo se anche il letto è di tuo gradimento.
Detto questo si spogliò completamente ed attirò a se Francois mentre una musica dolce proveniva delle pareti e la tenda si era spostata fino a lasciare in penombra tutta la stanza.
ERA SEMPRE PIU’
PRESO DA
Francois era sempre più preso da quel mistero che si chiamava Aidoru, adesso erano loro due ad abitare la cupola, mentre Flavia era rimasta nella villa.
L’Aidoru era affascinante, sembrava capir sempre ogni desiderio e nei limiti delle sue possibilità cercava d’esaudirlo. L’unico ostacolo alla completezza della sua esistenza era la sua definizione che stava divenendo sempre più densa, ma non abbastanza ancora da poter soddisfare le aspettative sessuali di Francois, ma anche di ogni altro uomo (ed anche donna) che la incontrava. Ma forse l’essere eterea e pertanto irraggiungibile se non nel sogno o nelle realtà virtuali, era un aspetto essenziale dell’essere il “desiderio” allo stato puro.
- Guarda Francois sta acquistando spessore.
- Sì ma la mia mano può appena accarezzarti, se perdo la concentrazione ti attraversa ancora.
- Che sensazione provi quando entri dentro di me?
- È come mettere la mano in un budino tiepido, sento perfino l’odore della vaniglia.
- Io sono i tuoi desideri ed i desideri di tutti gli uomini: mi modellerò come tu vuoi, è solo questione di tempo.
- Credi proprio? Comunque ti desidero come mai ho desiderato alcuna altra cosa o persona.
- Colleghiamoci in rete, facciamo l’amore.
Francois attivò il programma, bastò un cenno al PC della cupola ed entrambi si trovarono nell’ambiente virtuale prescelto: un infinito prato verde con un caldo sole sfavillante, in lontananza il rumore delle onde che si frangevano con violenza sulla scogliera.
In quel momento Carlos accompagnato da una giovane studentessa, Globina, fece il suo ingresso nella cupola, il PC li avvertì che Francois e l’Aidoru stavano amoreggiando in rete e li fece accomodare nel settore che Francois adoperava come studio.
La loro non era una visita di piacere, anche se entrambi volevano rivedere l’Aidoru: una squadra di rilevazione e bonifica che operava nel triangolo fiume-mare era stata attaccata da un invisibile nemico e c’erano stati parecchi morti ed alcuni dispersi.
Gli esseri o le entità responsabili dell’attacco erano giunti all’improvviso dall’altra riva del fiume ed avevano attaccato uccidendo e distruggendo, poi avevano nuovamente riattraversato il fiume.
Da cosa fossero stati attaccati, restava un mistero: i sopravvissuti non sapevano descrivere il nemico ed erano tutti confusi e sotto choc. Chi parlava di mulinelli di sabbia, che di ombre minacciose, che di vortici di luce, ognuno insomma dava una propria versione, che non collimava con le altre. Anche i mezzi di registrazione erano totalmente inservibili, poiché erano stati tutti cancellati da forti radiazioni di origine ignota. L’unico dato certo era che il nemico era giunto traversando il fiume, per poi ritornare subito indietro dopo l’attacco. Bisognava allestire in tutta fretta una squadra atta a disinnescare questo pericolo e Francois era indispensabile per la sua esperienza. Attesero dunque, poi l’avrebbero messo al corrente.
LA SQUADRA
In poche ore la squadra di soccorso fu pronta ed assieme a Francois presero posto in una grande bolla sperimentale fornita dall’Università, l’Aidoru, Carlos, Globina e tre giovani altri studenti provenienti da Lionnelle, Azul, Magico Vento e Joe Conserva.
- Così tu saresti Azul?
- Sì Francois.
- Hai il nome del marchio dell’Opificio.
- No, Azul senza la acca finale, e poi mi manca la erre nel circoletto.
- Ti hanno forse trovato nell’Opificio, come la nostra Tabitha?
- No, è che mio nonno si chiamava così. Da noi molti bambini sono stati presi all’interno dell’Opificio.
- Anche da noi, ho ricordato Tabitha perché lei fu la prima e ci fu lasciata non si sa ancora da chi.
La bolla s’alzò rapida ed in breve tempo raggiunse la zona colpita. I tecnici si erano radunati in alcune tende, il campo era nuovamente allestito e le distruzioni erano scomparse. Dalla bolla comunicarono loro di pazientare ancora un po’, la squadra avrebbe se possibile neutralizzato il pericolo.
La bolla attraversò il grande fiume mentre le scille incuriosite dal passaggio emergevano dalle acque e con le loro letali corolle colorate seguivano, come fanno i girasoli col sole, l’avanzare della bolla.
L’altra riva si presentava in maniera diversa dall’Opificio conosciuto sia a Farvel che a Lionnelle, infatti un’enorme distesa di verde avanzava all’infinito verso alte montagne ed i resti dell’Opificio erano qui stati ammucchiati ad intervalli regolari, come se qualcuno nel passato avesse voluto far pulizia.
Ma fu una montagna di scorie che si trovava ad alcuni chilometri di distanza a colpire la loro attenzione: il luogo sembrava infatti tremolare come se emanasse una forte energia, cosa d'altronde confermata anche dai sensori. Anche il terminal del computer dell’Università che era stato sistemato a bordo della bolla avvertì la fonte energetica che quella montagnola di rifiuti conteneva. Intorno alla bolla era già stata eretta una prima barriera energetica repulsiva, la bolla con cautela s’avvicinò e l’energia emessa dai rifiuti sembrò moltiplicarsi. Solo quando furono sopra la montagnola dei rifiuti avvertirono attorno a loro una struttura a forma di botte. Una botte con un raggio d’un centinaio di metri e la bolla si trovò imprigionata al suo interno.
Il terminale trasmetteva i dati all’Università ove Il Professore ed uno staff d’emergenza collegati col mainframe accademico ed anche col PC della cupola seguivano con interesse l’evolversi della situazione alla ricerca del metodo per disattivare il nemico.
In breve fu chiara la situazione, la montagna di rifiuti aveva al suo interno anche un sistema di protezione che era tornato ad essere efficiente: la protezione adesso si trovava ai massimi gradi d’allerta ed avrebbe pure potuto uccidere, già l’aveva fatto. Il sistema era formato da una scatola rettangolare poco più grande di una scatola di scarpe che aveva prolungamenti e sensori energetici non visibili. Ciò che avrebbe dovuto proteggere ormai non esisteva più da centinaia d’anni, perché il sistema si fosse attivato non era dato di sapere: il programma assassino tornato ad essere operativo era dunque all’interno degli altri rifiuti e gli occupanti della cupola poterono vedere l’immagine olografica della scatola nera, i suoi lati apparentemente lisci e senza alcuna apertura, la sua apparente, ma ingannevole innocuità, su un lato, molto piccola era stampigliata la scritta AZULH® e nessuna cifra degli archivisti.
- Ha ucciso per far la guardia al bidone.
- Che cosa?
- È un antico detto.
- Qui qualcuno ha tentato di far pulizia.
- Può darsi che siano stati loro ad attivare il firewall, hanno smantellato ciò che doveva esser protetto e così il cane da guardia s’è scatenato.
- Ha fatto fuori i pulitori ed ha continuato a fare la guardia anche se l’oggetto della protezione non c’era più.
- A noi perché non succede nulla?
- Siamo ben schermati, inoltre tutto lo staff dell’Università, IA comprese sta lavorando per render inoffensivo il firewall.
- Come?
- Penso entrando nel sul software per disattivarlo
[ORA] urlarono gli altoparlanti nel modulo, il PC stava comunicando con loro ed i phaser s’attivarono all’improvviso colpendo con due fasci di particelle la montagna di rifiuti che prima brillò di luci multicolori poi esplose con un forte boato lanciando ovunque frammenti dei rottami mentre s’alzava una nube di polvere.
Quando la nube si fu diradata al posto del gran cumulo di rifiuti c’era un cratere d’un centinaio di metri che spezzava la monotonia del verde ed i rottami stavano ancora ricadendo dal cielo sul prato, qua e là.
[ AVEVAMO BLOCCATO SOLO MOMENTANEAMENTE IL FIREWALL – ERA TROPPO PERICOLOSO – DOVEVAMO DISTRUGGERLO – ABBIAMO COMUNQUE REGISTRATO OGNI SUO CIRCUITO ]
La bolla si posò a terra ed i suoi occupanti scesero sul prato cominciando a passeggiare sulla sua superficie, evitando i rottami metallici che l’esplosione aveva disseminato.