intervista a Vittore Baroni
Avrei alcune domande da rivolgerti in riferimento alla tua
attività: >>
1) Potresti parlarmi della tua esperienza nell'ambito della
Mail Art? Quali sono i "punti positivi" di questa
"corrente"?
Un breve riassunto per capire come sono arrivato all'arte
postale. Nel 1968 avevo 12 anni e frequentavo la terza media (essendo andato a
scuola con un anno in anticipo), da grande divoratore di fumetti avevo
scoperto la rivista Linus, le cui rubriche mi avevano aperto gli occhi su
tante cose, fra cui la controcultura USA, Dylan e il rock, la letteratura
Beat, i fogli underground degli hippies, ecc. ecc. Nei primi anni '70 ho
pubblicato i miei primi articoli, musicali e non, su rivistine alternative
italiane, seguendo da vicino l'evolversi della stampa indipendente e
sotterranea. L'arrivo del punk e il diffondersi della filosofia do-it-yourself
ha coinciso, intorno al 1977, con la scoperta da parte mia dell'esistenza
della rete della mail art (tramite i libri-cataloghi di Gugliemo Achille
Cavellini): ho subito familiarizzato con l'arte postale perché comprendeva in
se varie forme di espressione di mio interesse (collage, fotografia,
performance, musica, ecc.) ma soprattutto perché permetteva di
avvicinarsi all'arte in modo estremamente libero, disinibito, orizzontale,
senza dover sottostare a filtri di alcun genere (approvazione di critici,
accademici, curatori di musei, galleristi, collezionisti, ecc.). Con la mail
art si può partire da zero e imparare strada facendo, trovandosi però
immediatamente inseriti in una comunità di scambio senza regole o dogmi,
senza competizione, senza l'assillo di dover elaborare prodotti per la
vendita: una esperienza molto diversa quindi dal percorso tradizionale
dell'artista, ma che si adattava alla perfezione alle mie particolari
competenze e condizioni (masticavo bene l'inglese, già i miei interessi
in ambito musicale e controculturale mi avevano portato a tessere una piccola
rete di contatti internazionali, abitando in provincia avevo pochi stimoli
culturali locali, ecc.). Ho scritto le mie prime lettere a Cavellini, Anna
Banana, Bill Gaglione (e tanti altri) e non mi sono più fermato.
Corrispondere quasi quotidianamente (la domenica i postini riposano!) con
artisti di tutto il mondo, oltre ad essere una pratica piena di stimoli e
sorprese, mi ha imposto presto la necessità di creare una mia rivista per
avere qualcosa di concreto da "scambiare" con decine di
contatti (Arte Postale!, nata nel 1978 e tuttora in attività, è pronto da
poco il n. 85). Questa è stata la prima di una serie di autopubblicazioni
casalinghe e di progetti editoriali indipendenti (è seguito Trax, l'audiorivista
Area Condizionata, le AAA Edizioni, ecc.). Collaboro regolarmente da vent'anni
a riviste che escono in edicola come Rumore (che ti pagano, ma non possono
concedere totale libertà d'azione), nulla però supera per me la
soddisfazione di seguire in tutte le sue fasi la realizzazione di una
pubblicazione, dalla redazione al lay-out, la stampa (fotocopie o altro) e
perfino la spillatura copia per copia, la distribuzione postale
"personalizzata".
Per venire alla tua domanda, i principali lati positivi
dell'arte postale sono la sua totale apertura e inclusività (chiunque può
partecipare, vecchi e bambini, principianti e professionisti, senza bisogno di
tessere, lasciapassare o parole d'ordine!), la sua democraticità e l'assenza
di gerarchie (tutti operano su di un piano paritario, non ci sono selezioni o
esclusioni nei progetti collettivi di mail art, e negli scambi individuali
tutti sono liberi di rispondere come e quando e a chi preferiscono), la sua
non competitività, il suo essere totalmente senza fini di lucro. A dire il
vero, per chi intende vivere del mestiere dell'artista, questo ultimo punto
potrà sembrare non proprio positivo, ma in realtà nulla vieta di praticare
la mail art e al tempo stesso di condurre attività artistiche di tipo più
tradizionale: direi anzi, ad una stima approssimativa, che almeno un 10-20%
dei più assidui frequentatori dei circuiti della mail art conducono una loro
parallela attività commerciale in qualche branca delle arti visive. La mail
art mi piace per la sua ELASTICITA': può essere un attività molto onerosa in
termini economici e di energie, se si vuol scrivere ad un sacco di gente, ma
può essere anche economicissima, se si scrive solo a poche persone (e magari
ci si ingegna utilizzando, anche se non si potrebbe e pochi lo fanno,
francobolli "creativi" al posto di quelli ufficiali!).
2) Qual'è il significato di operazioni "plagiariste"
come quella di Lieutenant Murnau?
Dietro la diffusione della cosiddetta musica "plagiarista"
(o "plunderfonica" come direbbe John Oswald) c'e' da un lato un
discorso puramente tecnico: il campionatore e il computer permettono oggi di
lavorare su materiali pre-registrati in modi nuovi e più agevolmente che in
passato, è un po' come applicare le metodologie del collage alla musica, ma
senza dover possedere costosissime apparecchiature o dover lavorare
pazientemente di forbici e colla sul nastro magnetico, come facevano i
pionieri della musica elettronica. C'è poi un lato teorico, parte del
dibattito sul post-moderno: la musica come forma di riciclaggio
"ecologico", o ibridazione di stili, o meta-musica che commenta sui
materiali che ricicla nel momento stesso che mediante essi crea una nuova
opera (come Duchamp quando mette i baffi alla Gioconda!). C'è anche di
conseguenza un aspetto legale, ovvero la necessità per i "plagiaristi"
di battersi per la libertà del "fair use", ovvero la possibilità
di creare liberamente con tecniche di collage senza pagare salate royalties
per ogni piccolo frammento coperto da copyright utilizzato. E' molto
appassionante (specie se come me si è affetti da "sordità tonale"
e quindi incapaci di suonare un normale strumento musicale) lavorare coi suoni
da cui siamo circondati, rubandoli alla strada, ai dischi, alla radio, alla
tv, per ricombinarli in forme nuove e significanti. Lieutenant Murnau era nato
come "gruppo fantasma" e "nome multiplo" (qualcosa di un
po' diverso quindi da Negativland, John Oswald e altri celebri plagiaristi):
l'intento era studiare le reazioni dei media di fronte alla provocazione di un
gruppo rumorista/new wave che esisteva SOLO COME IMMAGINE (grafiche, annunci
di finti concerti, locandine, ecc.) e che era ubiquo, sembrava esistere
contemporaneamente in diverse nazioni. Poi sono venute anche le cassette e i
dischi di Lt.Murnau, ma anche queste erano a loro modo provocazioni (dischi
7" di artisti da macero a cui applicavo etichette adesive di Lt. Murnau
SENZA BUCO CENTRALE; brani creati da dischi di vinile letteralmente tagliati e
rincollati a mo' di creatura di Frankenstein e poi suonati su un vecchio
giradischi; brani creati da dischi "preparati" con colla, carta
vetrata; ovviamente brani creati con collage di frammenti di brani altrui,
ecc.). L'idea era che Lt.Murnau potesse diventare una sorta di leggenda
musicale sotterranea senza MAI SUONARE UNA SOLA NOTA, e inoltre chiunque
poteva utilizzare il nome Lt. Murnau (alcuni lo hanno fatto, in Italia e
all'estero): una sorta di test sul modo in cui i miti musicali vengono
fabbricati. Come tutti i test il progetto ha avuto una durata ben definita,
dal 1980 al 1984. In qualche modo, Lt. Murnau ha anticipato, assieme ad
altre esperienze similari, il ben più conosciuto Luther Blissett Project che
sarebbe nato svariati anni dopo. E le Forbici di Manitù, un altro gruppo
stavolta "vero" in cui non-suono (ma partecipo scrivendo testi e
altro da una decina di anni) ha realizzato a fine 1999 un intero CD
"plagiando il plagiarista" (Le Forbici di Manitù play &
remix Lieutenant Murnau, su Soleilmoon), insomma il plagiarismo è come
un gioco di scatole cinesi, che prende atto della crisi del concetto di
originalità (tutto è già stato fatto, tutti sono più o meno
consapevolmente influenzati da qualcuno, ecc.) ma al tempo stesso ribalta e
rilancia la questione (possiamo ricombinare all'infinito ciò che è stato
fatto: ora chi è il vero autore?).
3) "Individualità multiple", clandestinità e
anonimato sono ancora dei mezzi validi di lotta contro il potere del sistema
culturale? Quanta importanza hanno avuto nella tua esperienza?
Mah, "lotta contro il potere del sistema" mi pare
un modo un po' troppo serioso di impostare la questione. Io non mi sono mai
sentito (e non mi sento) in lotta armata (o figurata) contro nessuno, anche
perché "sistema culturale" è solo una generalizzazione, al cui
interno ci sto pure io nel momento in cui scrivo su una rivista come Rumore
che esce in edicola o curo una mostra per un Museo o altro ente pubblico
come mi è capitato di fare. E poi i francobollini della mail art sono armi
talmente innocue che fa un po' sorridere pensarli come guerriglieri
dell'informazione, anche se magari a volte è proprio quello che vorrebbero
essere metaforicamente: farfalline di carta colorata che svolazzano in faccia
ai piloti di enormi carri armati megacorrazzati (l'esito della battaglia è
scontato, anche se i foglietti di carta a volte tagliuzzano). Ci sono aspetti
e contenuti dei mezzi di comunicazione di massa che reputo aberranti (come il
mondo in cui ci troviamo a vivere, del resto, ingiusto e sanguinario e votato
al suicidio) e contro di cui mi esprimo quando ne ho l'occasione e lo stimolo,
ma è ben poca cosa quel che posso fare e non nutro illusioni. Non ritengo
comunque che tutta l'informazione o la cultura "istituzionale" sia
da gettare o che, viceversa, tutta la cultura di segno alternativo sia
per questo automaticamente interessante e utile (anzi, nulla è più vacuo e
patetico del conformismo dell'anticonformismo!). Il nome multiplo (Luther
Blissett e altri) è stato uno stratagemma utile in determinate circostanze,
ha permesso di compiere azioni impensabili altrimenti, ma le strategie si
evolvono e mutano, quindi può venir voglia a un certo punto di utilizzare il
proprio vero nome, oppure di creare non una semplice identità virtuale bensì
un intero Stato immaginario, come nel progetto F.U.N. (Funtastic United
Nations) che Piermario Ciani e il sottoscritto hanno iniziato ad elaborare
negli ultimi mesi. E' importante cambiare tattiche e modalità operative, per
non annoiarsi e per spiazzare (e non annoiare) chi ci osserva. Ma se Luther
Blissett ha compiuto un bel numero di "imprese" in Italia negli
ultimi 5-6 anni, esaurendo in qualche modo il suo compito di "burattinaio
dell'informazione" (come lo definisce il titolo di un recente libretto
dedicato alle sue beffe mediatiche), ciò non impedisce che il Luther Blissett
Project possa ora trovare terreno fertile fuori dall'Italia (dove difatti è
ultimamente apparso: in un programma della radio australiana, in articoli su
riviste tedesche, inglesi, olandesi, ecc.). Può essere quindi che il nome
multiplo abbia ancora una lunga strada da percorrere, non necessariamente in
Italia.
4) Cosa pensi del sistema ufficiale dell'arte contemporanea?
Qual'è il ruolo dell'artista oggi?
Sono domande molto impegnative che richiederebbero risposte
estese ed elaborate che per ovvi motivi non posso dare qui, quindi cerco di
sintetizzare ma la risposta sarà forzatamente molto parziale. Ritengo il
sistema ufficiale dell'arte in genere alquanto corrotto e autoreferenziale, un
elite tesa ad autoperpetuarsi, un po' come Hollywood e quelli che ci lavorano:
o sei dentro, o sei fuori. Al tempo stesso, a volte capita di imbattersi in
opere veramente interessanti, così come a fronte di tanti "blockbuster"
senza anima anche Hollywood di tanto in tanto riesce ancora a sfornare qualche
buon filmetto. E poi ci sono sempre piccole "isole libere" anche
all'interno dei sistemi istituzionali, piccoli spazi che si aprono e chiudono
senza soluzione di continuità e che sarebbe stupido rinunciare ad utilizzare.
Nel caso della mail art, per quanto sotterraneo il fenomeno è stato troppo
longevo ed esteso perché prima o poi qualcuno non decidesse di occuparsene,
scrivendo un libro o una voce per un dizionario o organizzando una
retrospettiva museale: perché lasciare che a fare ciò sia qualcuno che non
conosce da vicino la materia e che magari ne distorcerà i contenuti e il
significato, se si offre l'occasione di farlo in prima persona? Per questo ho
scritto la mia guida all'Arte Postale (AAA Edizioni, 1997), non tanto per
"storicizzare" il movimento quanto per lasciare una traccia nero su
bianco che cercasse di delinearne le reali caratteristiche specifiche. Credo
sia comunque sempre più difficile definire con esattezza cosa è oggi un
"artista" e quale è il suo ruolo. Produrre quadri da appendere alla
parete o sculture da collocare in giardino può essere un'attività
infinitamente meno significativa che progettare la forma di una caramella o
disegnare un fumetto da edicola. Ogni epoca, ogni periodo della storia
dell'umanità ha modalità diverse per lasciare una traccia, un segnale forte
alle generazioni successive: graffiti su caverne, tombe imponenti, grandi
cattedrali di autori anonimi, poemi epici, opere teatrali, ecc. Oggi il
"quadro" o la "poesia", intesi in senso romantico come
frutto individuale dell'artista di genio chiuso nella sua torre, sono in parte
anacronistici (non ci ha insegnato nulla Duchamp!?), non incarnano lo spirito
del nostro tempo altrettanto bene di un film o CD o un sito web (non a caso
tutte opere frutto di un team di lavoro - ma il futuro non distrugge bensì
conserva il passato, quindi forme espressive nuove e antiche possono
coesistere). Personalmente, non mi ritengo un artista, perlomeno non in senso
tradizionale: non ho un gallerista, non produco opere per il mercato, ho
rinunciato consapevolmente a coltivare questi aspetti in favore di altri. Sono
un "mailartista" casomai, ovvero mi interessa operare all'interno di
una cultura di rete, animare esperimenti collettivi, mettere in moto
meccanismi a catena. Fino ad ora soprattutto con la posta, in futuro sempre più
via Internet o con un nuovo strumento ancora da inventare. Forse questo è uno
dei tanti "ruoli" dell'artista contemporaneo, ma non mi offendo se
mi dicono che non sono un vero artista (continuo comunque a fare quel che mi
va!). E' forse quella che un po' pomposamente alcuni definiscono "arte
sociale" (vedi il recente libro per Mazzotta di Pietro Gilardi, Not
For Sale), ma che per me è solo l'esatto corrispondente
"postale" (ed ora anche internettiano) di ciò che apprezzavo del
Living Theater o del Bread and Puppet Theater negli anni '60, un teatro
d'animazione comprensibile a tutti e in cui tutti possono partecipare come in
un rito collettivo, non per questo meno pregno di poesia e umanità. E' lo
stesso concetto della musica nei festival rock dei '60: noi siamo solo il
gruppo che suona, la musica siete voi, siamo tutti assieme. Un'arte di
sopravvivenza e di solidarietà, in un mondo sempre più sull'orlo di una
eco-apocalisse: per questo, un'arte umile e "povera" che si oppone
all'arte del lusso, dello spreco, del gigantismo inutile, dell'edonismo e del
narcisismo fine a se stesso.
5) Quali sono i possibili modi, oggi, per potersi collocare
oltre la "realtà del consenso", dato che molte operazioni
"antagoniste" sono state ufficialmente catalogate?
Se un lavoro ha una sua ragione di essere, una forza, una
bellezza, una magia sua, non c'è "recupero" , catalogazione od
omologazione che possa riuscire ad anestetizzarne gli effetti. Pensa a Dada e
a tutti i libri, le mostre, i convegni, le pubblicazioni, i multipli postumi,
ecc. ecc. che sono stati fatti: tutto ciò non impedisce al giovane studente
che per la prima volta scopre le attività dei dadaisti di inizio Novecento di
appassionarsi come se fossero fatti dell'altro ieri. La mail art ha ormai
quasi completamente esaurito la sua lunga fase "cartacea" iniziata
negli anni '50-'60, le energie e i progetti che hanno caratterizzato l'arte
postale in oltre quattro decenni si sono trasferiti o più o meno
consapevolmente riprodotti nel web internettiano: è inevitabile che la
mail art venga dunque oggi storicizzata, collezionata e studiata molto più di
ieri, mentre la net art (o come preferiamo chiamarla) elabora nuove pratiche
estetiche collettive sfruttando questo nuovo formidabile strumento, più
veloce e potente della "vecchia" busta affrancata. Del resto le
istituzioni sono diventate bravissime nel recuperare i fenomeni culturali
antagonisti a volte ancor prima che raggiungano completa maturazione: alla
Biennale di Venezia di quest'anno sono stati invitati gli hacker che crearono
la beffa (molto blissettiana) del finto artista sloveno Darko Maver, e la
loro opera consisterà in un virus informatico posto in vendita
(contraddizione o provocazione!?). A Roma è in corso una grande mostra curata
da Bonito Oliva sulle "tribù dell'arte", che include Lettristi,
Situazionisti, Fluxus e tanti altri vecchi e nuovi "nemici del sistema
dell'arte" aggregati in gruppi (per fortuna non è stato invitato
Blissett!). Ad un certo punto si propone una sorta di braccio di ferro
fra le necessità del sistema dell'arte di recuperare e storicizzare e
macinare ad ogni costo sempre nuove tendenze e nomi e la volontà degli
operatori artistici di indole "antagonista" di mantenere comunque
una loro coerenza, autonomia e vitalità. E' una sfida che a volte può
rivelarsi fatale, ma al tempo stesso a cui è difficile sottrarsi: in
occasione della mostra dell'estate scorsa al Museo di Bassano "Sentieri
Interrotti: crisi della rappresentazione e iconoclastia nelle arti dagli anni
Cinquanta alla fine del secolo" Luther Blissett era presente con una
grande non-opera composta da un collage di tutto quello che la stampa italiana
ha scritto su Blissett, stampata su un pieghevole gratuitamente a disposizione
dei visitatori (c'era anche un adesivo applicato al pavimento, per leggerlo
occorreva piegarsi e c'era scritto: "mi inchino a Luther Blissett").
Ma le mostre sono comunque un "bene accessorio" (o un male), non
baratterei con nessuna gratificazione di quel tipo la viva esperienza
quotidiana, le amicizie intessute nella rete, l'arricchimento spirituale di
questa "performance infinita".
6) Una curiosità personale: riesci a svolgere la tua attività
di operatore turistico in modo coerente con la tua "filosofia"? Non
vuole essere una domanda maliziosa, vorrei solamente sapere se ci può essere
un modo per vivere senza compromessi smisurati e per trasformare la propria
quotidianità in un' "alternativa".
Beh, intanto devo precisare meglio i termini della mia attività:
coadiuvo saltuariamente mio padre nella direzione stagionale di un albergo (ma
quest'anno per fortuna riposo, essendo in corso lavori di ristrutturazione,
altrimenti ora non potrei essere qui a rispondere alle tue domande!), nei mesi
invernali aiuto mio suocero nel lavoro della sua tabaccheria curando il
settore Lotto e giochi, in passato ho svolto lavori di vario genere, fra
cui la gestione per tre anni di un negozio di bigiotteria assieme a mia moglie
e mia sorella. Nel settore turistico mi sento più un "impiegato" a
termine che non un operatore-manager, e puoi ben immaginare che il mio cuore
sta più nella musica e nell'editoria che non in altre forme di
commercio. Purtroppo, è difficile riuscire a sostentare una famiglia (e
"hobby" costosetti come quello della mail art!) solo scrivendo di
rock (e arte quando capita), quindi è giocoforza che da qualche parte i soldi
per pagare le bollette devono pure entrare. Esistono probabilmente lavori più
attinenti ai miei interessi, come un negozio di dischi o simili, ma spesso i
casi della vita conducono ad imboccare direzioni un po' schizofreniche e non
completamente gradite. A dire il vero, la casa editrice AAA è stata fondata
con l'amico Ciani sei anni fa proprio con l'intenzione di farlo diventare un
lavoro a tempo pieno, ma non ha funzionato come speravamo dal lato economico
per i problemi soprattutto di distribuzione che affliggono un po' tutti i
piccoli editori. A parte ciò, non vedo niente di strano nello svolgere
un qualsiasi lavoro coltivando al tempo stesso altri interessi: il 99% di
quanti operano in campo artistico e musicale fanno lo stesso, escludendo poche
"star" e poche "firme" ben pagate, quasi tutti i musicisti
e giornalisti che conosco hanno anche una qualche forma di "secondo
lavoro" (o primo) - stesso dicasi per gli artisti, ad esempio George
Maciunas di giorno lavorava come grafico commerciale per poter metter da parte
i soldi da usare nelle sue edizioni Fluxus... Ogni lavoro poi (anche quelli di
tipo più "culturale") ha i suoi lati positivi e negativi: ad
esempio a me non dispiace il contatto col pubblico, parlare con gente di ogni
tipo, sia in negozio che in albergo, mentre al contrario trovo alienante stare
chiuso troppo a lungo a lavorare solo davanti ad un PC, magari
"obbligato" ad ascoltare musica. Poi ovviamente c'è modo e modo di
essere in affari e sta all'onestà e sensibilità individuale di non rendere
il proprio lavoro un occasione per la rincorsa di denaro fine a se stessa o
peggio per lo sfruttamento altrui. Comunque, ho grande rispetto per chi si
suda lo stipendio e ne ho molto poco per quelli che si proclamano a gran voce
"contro la logica del lavoro": di solito, si tratta di figli di
ricconi travestiti da alternativi, che trovando sempre il piatto pieno e un
portafoglio da cui attingere perlappunto non hanno mai avuto in vita loro
alcun bisogno di lavorare .