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BOCCOLI D’ORO
Si trascina col suo sacco dietro a quella catasta che è stata da poco eretta: pezzi d’interfaccia, schede madri, grappoli di chip, tutto è confusamente mescolato e poi gettato, ora lei deve raccogliere ciò che sarebbe servito. I raccoglitori costruiscono anche molti oggetti d’uso corrente e li ottengono modellandoli dai fogli ribattuti d’antichi circuiti stampati, sono superfici rigide dall’aspetto fragile, strati di tessuto intrappolati in resine fenoliche di color verde. Ogni foglio originario è caratterizzato da una monotona mappatura metallica che ricorda la topografia urbana. Li prendono guarniti dei componenti che vengono poi facilmente eliminati coi saldatori che lasciano strinature sui fogli con su la lamina la mappa intarsiata da città immaginarie, residuo di molteplici generazioni elettroniche. Sono fogli immortali, inerti come pietre capaci di resistere all’umidità, agli ultravioletti ed a qualsiasi altra forma di decadimento, destinati ad inquinare il pianeta, e qui meglio utilizzati e rilavorati per costruire qualsiasi oggetto d’uso corrente.
Costa
meno gettare che riciclare e da questi componenti abbandonati, lei trae
guadagno. Rovista trai rifiuti alla ricerca del tesoro, ma questo è fuggevole
non si lascia facilmente trovare, in compenso oltre ai fogli immortali trova
alcuni circuiti che ben conosce e sa esser rivendibili, altri potranno esser
riparati, così lei si guadagna la vita ed il sacco comincia a riempirsi mentre
continua a rovistare in quest’area da tempo trasformata in un’abusiva
discarica incontrollata di materiali informatici dismessi.
Con
stupore si trova davanti alla scatola, non è metallica, ma di una qualche
materia plastica gradevole al tatto e non fredda: il colore è indefinito, ma
sottili arabeschi girano attorno alla scatola confondendo la vista sulla sua
reale forma.
Sarà
stata gettata per sbaglio, è il suo primo pensiero. Afferra con delicatezza il
manufatto e lo solleva all’altezza degli occhi, le sottili linee confondono la
vista, la scatola è leggera, non presenta aperture visibili, la scuote e
qualcosa di dentro si sta muovendo. La sbatacchia con più forza e chiaramente
si sentono alcuni oggetti nel suo interno spostarsi. Sembra una piccola bara,
una bara arabescata? Per cosa? Forse conterrà una bambola, o un paio di
stivali, o un giocattolo, chissà.
Cerca
inutilmente un’apertura, la scatola sembra proprio priva di coperchio. La
mette nel sacco assieme all’altro materiale recuperato, frutto del lavoro di
ricerca di un'intera giornata, e si dirige verso la sua abitazione buttandosi il
sacco sulle spalle. Dopo mezzora di cammino, gira attorno ad un antico
fabbricato a più piani sito ai margini della discarica. È una dimora costruita
con quella pietra artificiale che gli antichi usavano comunemente, si ferma
davanti alla porta blindata d’ingresso e sibila il suo nome “Rufina”. Il
portale la riconosce e si schiude con uno scatto. Entra, sempre col sacco in
spalla, nell’umido androne ed una porta di servizio che da sul sottoscala
s’apre cigolando. Lei si guarda attentamente attorno prima d’entrare:
l’androne è vuoto, fiocamente illuminato da lampade fluorescenti tremolanti,
il pavimento chiazzato in più parti dall’acqua che goccia dal soffitto è
sgombro, gli unici rumori che ode, sono quelli consueti di sottofondo dei
servomeccanismi del condominio. Solo dopo essersi accertata che non vi siano
intrusi, decide d’entrare, dal sottoscala si scende nella cantina del palazzo
e lei si reca nella sua stanza, un grande locale seminterrato a fianco
dell’impianto di climatizzazione centralizzato. Questa è la sua casa, qui si
trovano le sue cose, un letto, un tavolo, alcune sedie, scaffali, un piano per
la realizzazione ed il recupero degli oggetti, c’è poi un rudimentale bagno
ed un cucinotto di fortuna.
Svuota
il sacco sul piano che è in vero legno e delicatamente prende la scatola, cerca
d’aprirla con ogni mezzo usando anche la sua attrezzatura, ma niente sembra
poterla forare, non è possibile
neppure scalfire quell’oggetto. Anche le scansioni risultano impossibili.
Lei
è perplessa, posa infine la scatola sul tavolo liberando lo spazio attorno ad
essa, le si siede davanti osservandola attentamente. La sta fissando sempre più
intensamente e pensa che adesso che è ripulita, è veramente bella: splende
infatti d’un colore azzurro con tonalità metalliche più scure, gli arabeschi
sembrano animarsi alla fioca luce dell’ambiente. Mentre l’osserva quasi si
sente assopire, prende uno straccio per finire di ripulirla, e più la strofina,
più sembra rilucere ed aumentare la propria bellezza. Lentamente appare la
fessura d’un coperchio ed un lato della scatola inizia a spostarsi in
diagonale e lei lo sta osservando incuriosita.
“Lo
sapevo c’è una bambola, o un corpicino morto”. Il coperchio scivola
lentamente sul tavolo ed all’interno c’è il corpicino d’una minuscola
bambina riccamente vestita, ma forse è una bambola…
Mentre
sta incerta pensando quale delle due cose si trovi davanti a lei, i vestiti si
sfaldano in polvere, ed anche le scarpe minuscole, poi tutto il contenuto. Lei
tosse perché la polvere s’è dispersa per l’ambiente, pian piano si posa e
l’aria ritorna chiara. All’interno della scatola è rimasto solo un piccolo
teschio con pelle e cute ancora attaccati ed incartapecoriti, sembrano cuoio.
Dei riccioli biondi sono rimasti attaccati al cuoio e lei adesso sa, era una
bara e questa è la testa d’una minuscola bambina grande quanto una bambola.
Prende delicatamente il piccolo cranio con il volto attaccato, ormai cuoio, e
con esso i boccoli d’oro: delicatamente lo posa sul tavolo, accanto alla
scatola.
Si
alza e da una cassapanca piena di cianfrusaglie elettroniche e di giocattoli
estrae una bellissima bambola in ceramica, vestita di seta e piena di ninnoli.
Sbatte con violenza la testa di ceramica contro uno spigolo del tavolo. La testa
della bambola esplode ed i tasselli del volto giacciono sul pavimento
anch’esso della pietra artificiale degli antichi. Si china e raccoglie tutti i
piccoli pezzi, li ammonticchia accanto alla scatola, sul tavolo c’è anche il
coperchio, il piccolo teschio dai boccoli d’oro e la bambola decapitata.
Prende
un flacone di superattach e versa alcune gocce sul piccolo sostegno di legno che
teneva il volto della bambola, prende poi il teschio coi riccioli e lo infila
con forza nel sostegno. Lo fissa perfettamente, poi rassetta gli abiti della
bambola. La sua bambola di ceramica ha ora per testa il teschio coi boccoli
d’oro.
Si
siede e col superattach fissa pezzo per pezzo i frammenti ceramici del volto sul
piccolo teschio. Lavora a lungo, usa anche la pasta al silicone e vari pigmenti,
infine dopo ore di lavoro contempla la sua opera.
La
bambola è perfetta, la rottura della ceramica è ora invisibile, i riccioli
d’oro sembrano autentici, si direbbe che da sempre abbiano fatto parte di
quella bellissima bambola.
“Figlia
mia come sei bella!”, dice mentre con un sottile pennello sta provvedendo agli
ultimi ritocchi. Finisce il lavoro, si ciba con una razione militare, beve della
coca, presa dal frigo, direttamente dalla lattina: la bambola dai ricci d’oro
è sul tavolo seduta davanti a lei.
Se
la porta dietro al bagno ove si libera e si prepara per la notte. Si getta nuda
sul giaciglio e dorme a lungo abbracciata alla bambola, alla sua bambola, alla
sua figlia, al minuscolo teschio coi boccoli d’oro.
Sogna
la discarica ed una fata bionda che lascia la scatola lì per lei, perché la
ritrovi, affinché il suo contenuto possa essere riportato in vita: perché
questa è sua figlia, la sua unica figlia dai boccoli d’oro.
Mentre
lei sogna, la bambola dai boccoli d’oro si porta una mano dietro il collo e
tira leggermente verso l’alto qualche ricciolo, come se i suoi capelli fossero
molle minuscole sulle quali dovesse eseguire una prova di compressione,
contemporaneamente il volto ceramico della bambola sembra sorridere.
(vittorio
baccelli)