“Vi dirò una cosa sull’universo: l’universo è un posto molto
vasto, è più grande di ogni cosa che chiunque abbia mai immaginato prima. Se
ci fossimo solo noi sarebbe uno spreco di spazio, giusto?”
E. ARROWAY,
CONTACT.
“Sono affascinato dalla tecnologia, ma non da chi divinizza la
tecnologia”
P.JONNES,
CONTACT.
L’ Astromuseo
era una delle stazioni mobili più antiche ancora in circolazione.
Un
tempo le sue due sezioni, quella militare e quella pionieristico-spaziale ne
facevano una ricercata attrazione, ma da anni veniva ormai relegata a luogo di
svago per qualche scolaresca annoiata.
La
sua orbita era la più lontana del
pianeta Primo.
La
fatiscente fusoliera esterna si avvolgeva alla rudimentale struttura cilindrica
interrompendosi in minuscoli oblò prima
di terminare sull’ unico sportello di attracco, riservato alle spolette di
collegamento.
Sulla
sommità della piattaforma
superiore si ergeva una stanza osservatorio: era impressionante come quella
piccola cupola trasparente infrangesse la desolazione e la trascuratezza
dell’insieme, conferendo alla struttura metallica una nota di artistica
originalità.
Cilindri
d’acciaio bianco intessevano una rete d’archi gotici ,circondavano la sala
ovale e sostenevano una volta di
spessi vetri in modo che lo sguardo
fosse libero di spaziare sul meraviglioso affresco dell’ immensità dell’
universo.
Da
un lato si riconosceva Primo, con la sua caratteristica
nube rossastra, dall’altro tra le migliaia di astri brillava
Tec, pianeta industriale e secondo pianeta abitabile del quadrante.
Nell’
ultimo terzo della volta si
lasciava ammirare una luminosa nube
azzurra: era una cometa
sconosciuta, che per la prima volta
attraversava il sistema, e che senza interventi esterni avrebbe finito per
cadere rovinosamente su Primo.
La
rete telematica spaziale pullulava dell’ ultimo avvenimento, ci si collegava
dai più remoti angoli della galassia per assistere al nuovo trionfo della
tecnologia umana.
Già
diversi asteroidi erano stati brillantemente deviati , problemi simili erano
ormai superabili con sicurezza quasi assoluta, bastava
un’ultima esplosione per
completare l’operazione...
Bulzac-hi,
il primo responsabile dell’Astromuseo, non
sembrava davvero molto interessato all’avvenimento,
stava al centro della stanza osservatorio, incastrato tra lo schienale
della poltrona e la sua scarna scrivania. Era appisolato ed un libro fantasioso
faticava a guadagnare stabilità sulla sua esile figura oscillante: la poltrona
dietro di lui poggiava con soli due piedi a terra, le
gambe facevano leva sul tavolo di lavoro e ritmicamente sussultava ad
ogni respiro troppo affannoso strappato alla precarietà del riposo.
Un
personaggio bizzarro, distratto, che amava la carta di un libro quanto un
computer, che odiava la competizione frenetica, ma che più di tutto amava lo
spazio, il senso di libertà, il fascino e la poesia dell’ immensità.
A
parte questo incorreggibile e intollerante individuo, la persona che davvero si
occupava del funzionamento della stazione era Liza, seconda, ma in realtà
unica, responsabile. Le sue mansioni erano variegate e innumerevoli: attendeva
alle comunicazioni col pianeta e con la spoletta di congiungimento, rilanciava e
ripristinava tutto ciò che andava ripristinato o rilanciato, ogni suo movimento
era veloce e tempestivo, il suo era un continuo ronzare e produrre.
Questa
volta il ticchettio dei passi dell’ occupatissima Liza apparve più
affannoso del solito; il corridoio che dava sullo studio di Bulzac-hi sembrò
invaso da migliaia di sbizzarrite sferette metalliche che scappavano e
rimbalzavano da ogni parte.
La
porta di scorrimento fu aperta di
scatto, il rumore che ne risultò fu breve
e intenso. Alla sollecitazione esterna il corpo di Bulzac-hi reagì con uno
scossone fulmineo che poco si addiceva alla fragile posizione di riposo, tant’è che si ritrovò a
terra, con un tonfo violento.
Ci
volle qualche secondo perché si rendesse conto di quanto era accaduto.
Dolorante e confuso alzò lo sguardo, subito
dopo rimise a posto la poltrona e il libro, e vide pallida in un angolo della
stanza Liza che tremava e stringeva in mano un fax tutto stropicciato.
Il
suo sguardo da severo e indispettito si
tramutò subito in preoccupato,
trattenne tutti gli improperi che in una situazione analoga avrebbe
riversato sulla sua indifesa assistente e
telegrafico irruppe:
-Cosa
è successo, Liza?-.
La
tensione, unita al frastuono dell’ incidente,
l’ aveva irrigidita a tal punto che
non riusciva più a parlare: si limitò ad indicare, dall’ angolo in cui si
era rinchiusa, qualcosa su una vetrata.
Bulzac-hi
si voltò e riconobbe la cometa, poi strappò dalle mani di lei il foglio
che teneva stretto e lo lesse:
-La direzione del pianeta Tec, chieste le
autorizzazioni della commissione primide,
ha deciso di deviare la cometa di un angolo diverso da quello di massima
sicurezza per lasciare un dono insolito ed eccezionale ai nostri successori che
renda merito della nostra grande abilità tecnologica e straordinaria inventiva
.
La cometa verrà deviata su un’ orbita di
rivoluzione pari a 500 anni sette mesi e tredici giorni, cosicché essa
ricomparirà di nuovo a metà
strada tra Primo e Tec allo
scoccare della mezzanotte dell’ ultimo giorno del 999 anno della fondazione
del sistema.
Per celebrare questo straordinario evento battezziamo
questo corpo stellare, saluto eterno della nostra epoca alle future generazioni
Tec1000.
Imponiamo alla stazione Astromuseo di abbandonare
momentaneamente, ma con gran celerità l’orbita di assegnazione, poiché
trovandosi molto vicina alla nuova direzione assegnata alla cometa, vapori e
radiazioni molto pericolosi cominceranno ad investirla a 30’ di distanza
dall’ultima imminente esplosione.
Una zona
sufficientemente sicura e stabile può ritenersi quella di coordinate: 11, 13,
16.
Raccomandiamo nuovamente la massima celerità!
Capo responsabile del
progetto:
Sigmond Trevers-
Bulzac-hi
aveva letto quel fastidioso e pomposo comunicato tutto d’un fiato ed ora era
divenuto ancora più preoccupato della sua sempre immobile assistente.
Gridò:
- E’ inaudito!-, poi
ammutolì.
Non
riusciva a capacitarsi di una richiesta tanto sciocca, fatta in modo così
perentorio e disarmante: senza possibilità di appello si imponeva di rimuovere
dall’orbita un rottame che da circa mezzo secolo non compiva che difficili e
laboriose manovre di assestamento, ma come si poteva pensare di
compiere un tale trasferimento in
poco più di mezz’ora?!
Serrò
le mascelle e si scosse attivando subito la propria subordinata:
-
Liza dobbiamo muoverci e in fretta,
bisogna tentare l’impossibile: chiama subito Otto. Voglio che cerchi di
far funzionare i motori e ci levi d’impaccio, poi fammi un resoconto
completo delle persone che sono a bordo, tra visitatori ed equipaggio, infine
aprimi due contatti di comunicazione, uno con il centro spolette di soccorso,
l’altro con gli artefici di questa follia su Tec. E’ tutto per il momento.-
Non
finì di assegnarle i compiti che
la diligentissima assistente, rinfrancata dalla fermezza e dalla intraprendenza
di Bulzac-hi, si era già precipitata fuori
dalla stanza.
Nella
mente di Bulzac-hi, rimasto solo, si
addensarono pensieri poco confortanti ed il suo sguardo timoroso si sentì ora
libero di rivolgersi, in privato, verso l’ azzurra cometa, quasi volesse trovare in quell’ ammasso di roccia e
gas una spiegazione a tale assurdità
umana, ma soprattutto il coraggio per paventare sicurezza con i suoi subalterni.
Era consapevole che se avesse mostrato rassegnazione il panico avrebbe segnato
la fine della stazione.
Qualcun
altro in quello stesso istante, ma su una astronave molto più lontana e con
spirito pure diverso osservava la
stessa cometa; Rolf Ticov, uomo
politico tecnide potente e stimato, vedeva dallo studio privato di Sigmond
Trevers quei caratteristici fumi azzurri e
in essi percepiva il realizzarsi lento ma continuo delle proprie ambizioni:
-Guarda
Sigmond non è stupenda, avanza placida e indifferente la nostra preziosa
cometa, sembra che nulla possa distoglierla, nulla possa violare la propria
intrinseca perfezione-.
Sigmond:
-Perfezione redditizia e simbolica- rise goffamente, poiché era sdraiato su un
comodissimo divanetto e poi prendendo una tazza di tè algassiano si lasciò
andare a confidenze meno dissimulate:
-
Rolf, dovevi vedere l’espressione del responsabile del comitato esecutivo di
Primo, quando ho annunciato la nostra intenzione di lasciare “un dono
straordinario ai nostri comuni
discendenti”...-, rise ancora e cominciò a sorseggiare spensierato-... si,
sono proprio queste le parole che ho usato, i loro volti si erano irrigiditi, ed
alla fine hanno acconsentito in
modo breve e
trattenuto, forse avranno percepito ancora confusamente che la sciocca
presunzione e tradizione primide stava infrangendosi, finalmente.-
Rolf
non si voltava verso lo studioso,
lasciava che la dolce irradiazione azzurra lo cullasse ancora, ma replicò:
-
Caro Sigmond devo proprio ringraziarti, è merito tuo, della tua esecuzione così
repentina e decisa, se oggi Tec sta per
vivere il suo primo giorno di gloria indiscussa e completa, senza che nessun
primide possa offuscarla, così la nostra superiorità tecnologica
strapperà anche dai cuori della gente quella aristocratica ed effimera
presunzione.-
Sigmond
smise di sorseggiare dalla tazza , nonostante il momento paresse trionfale, la
nube rossastra e infernale di Primo che si intravedeva da un oblò laterale
della stanza continuava ad intimidirlo.
Quel
maledetto colore era il simbolo della discriminazione che covava nei sorrisi e
negli atteggiamenti di tutti i viaggiatori che praticavano il sistema.
Primo
in realtà aveva originariamente un colore biancastro tipico dei pianeti
atmosferici, ma dagli albori della fondazione i primidi pensarono di lasciare
che fossero le orbite esterne a fungere da avioporti per le navi spaziali,
sorrette dalle forze gravitazionali, assicurando
ai viaggiatori il trasporto interno tramite velocissime e confortevoli spolette
di collegamento.
Dopo
l’originale avversione verso un’ idea tanto funzionale, dettata dall’
orgoglio ottuso del rifiuto che sempre in questi casi maschera l’imbarazzo e
la gelosia, i tecnidi si videro costretti a seguire in questo i propri cugini e
ora ne godevano appieno i vantaggi tanto osteggiati.
Le
tracce laser rosse che le spolette utilizzavano per evitare urti rovinosi, ben
presto conferirono a Primo quella colorazione così suggestiva, e continuarono
nel corso degli anni quasi a commemorare la priorità dell’intraprendenza
primide nei confronti della macchinosità tecnologica tecnide.
E’
difficile o addirittura impossibile investigare sulle opinioni
che si ingenerano in una qualsiasi comunità, fatto stà che da
quell’episodio il preconcetto sulla maggiore originalità dei primidi
era divenuta cosa palese, e ciò da sempre aveva ispirato nei tecnidi una
accesa rivalità ed un grande desiderio di rivincita.
Il
passaggio della cometa appariva come il tanto atteso e clamoroso riscatto, se
quell’impresa fosse riuscita i tecnidi avrebbero forse ottenuto una maggiore
stima e finalmente superiore credibilità.
Sigmond
si scosse dalla improvvisa e immotivata titubanza che lo aveva investito e si
rivolse di nuovo all’amico:
-
Rolf, sembra che tu gioisca più per i riconoscimenti che per l’impresa stessa
, e forse hai proprio ragione è questo che ci ha spinti ad essere così
temerari, il successo.-
I
due risero animosamente, poi di colpo una
voce metallica annunciò un avviso di chiamata, Sigmond si ricompose e scattò
in piedi spostandosi per vedere il
monitor, poi autorizzò la comunicazione.
-
Qui Astromuseo di Primo, problemi gravissimi di spostamento, impossibile
rimuovere la stazione come richiesto!-
I
due tecnidi rabbrividirono d’un colpo nel sentire la voce disarmante di
Bulzac-hi, Sigmond riprese:
-
Cosa è accaduto?-
-
Hanno ceduto per lo sforzo due dei tre motori direzionali, impensabile una
riparazione in tempo utile, dobbiamo evacuare la stazione al più presto, oppure
dovete ripristinare le coordinate di deviazione della com...- la sua richiesta
fu interrotta dalla deflagrazione violenta che annunciava l’ultima e decisiva
deviazione, ormai non si poteva più tornare indietro, mancavano 30’ per
evitare il disastro.
Dal
volto di Sigmond inebetito si evidenziava il serio imbarazzo e la forte tensione
che lo aveva colpito contorcendone d’un colpo tutti i lineamenti del viso,
Bulzac-hi attendeva una risposta, e Rolf intervenne:
-
Avete contattato una spoletta di soccorso, ce ne dovrà pure essere una in quel
quadrante!-
Bulzac-hi
si controllò e con calma replicò:
-
A quanto ci risulta ce n’è solo una che in tempo utile possa raggiungerci, ed
è stata contattata or ora dalla mia assistente, ma la sua capienza è di
quindici persone , in tutto a bordo ci sono 21 passeggeri ed abbiamo 29’ per
escogitare qualche rimedio.-
Rolf
distolse lo sguardo dal monitor, non sapeva proprio come risolvere la
situazione, Sigmond era esterrefatto aveva visto in pochi secondi tramutare i
suoi sogni in una tragedia, un silenzio gelido invase la stanza.
Bulzac-hi
violò quell’atmosfera con parole dure e precise:
-
Cercate qualche espediente per deviare la Tec1000, provvedete con qualcuna delle
vostre tempestive manovre, noi tenteremo di abbandonare la stazione, ma
dannazione muovetevi!-
Rolf
:- Comandante le assicuro che faremo del nostro meglio per salvaguardare le
vostre vite e la vostra stazione-
Bulzac-hi,
sdegnato per quelle false parole di circostanza non seppe trattenersi:
-
Mi aspetto l’impossibile da voi, essendo l’azzardo un gioco così praticato
dalla vostra società tecnologica. Chiudo conversazione!-
Il
suono monotonale e fastidioso che segnava la fine della comunicazione invase la
stanza lacerando la cupa atmosfera che si era creata, quando pure Sigmond ebbe
spento il contatto e questo lamento cessò mancavano 28’ dalla collisione.
Otto
uscì dal vano motori
completamente ricoperto di grasso e
con la tuta
tutta strappata. Aveva combattuto con le avversità meccaniche fino
all’ultimo momento, ma ad ogni riparazione riuscita si erano presentati nuovi
problemi, poi la rottura definitiva ed irreparabile
aveva finito per fiaccare il suo spirito e strozzare la propria speranza.
Quando uscì incrociò Bulzac-hi che lo vide sconvolto e lo rincuorò:
-
Otto, hai fatto ciò che era umanamente possibile, non preoccuparti, ce la
caveremo, una spoletta sarà qui a minuti. Ora vai, cerca di rinfrescarti e precipitati nella camera di sbarco,
coraggio-, e lo spinse affettuosamente verso il corridoio che dava sulla propria
cabina, poi proseguì verso una delle sale di esposizione.
Con
una scusa Liza aveva radunato qui i diciassette visitatori, che erano gli alunni
di una scuola primide, per lo più ragazzini e un paio di accompagnatori, qui
era pure presente Ira, la guida
dell’ Astromuseo ed ultima componente dell’equipaggio.
In
quel momento Ira stava parlando delle antiche guerre terrestri, e faceva
ammirare ai giovincelli incuriositi armature, spade, elmi ed armi rudimentali
ancora funzionanti.
Bastò
uno sguardo di Bulzac-hi
all’assistente perché questa si mettesse all’opera.
Con
cautela guadagnò il centro della sala e approfittando di un momento di pausa in
cui Ira mostrava uno scudo bronzeo
con strane figure scolpite e con visibili ammaccature, richiamò su di sé l’attenzione:
-
Carissimi visitatori, sono spiacente di interrompere a questo punto la vostra
visita, ma data la vicinanza della
cometa alla nostra stazione, abbiamo pensato bene di farvi assistere con una
spoletta a questo evento straordinario ed irripetibile, siete pertanto pregati
di spostarvi con una certa fretta nella camera di sbarco, grazie-
Liza
faticosamente accennò ad un sorriso, e si mise a capo della comitiva, Ira
ripose lo scudo e si avviò inconsapevole ,come gli altri, del pericolo.
Radunati
tutti nella sala di sbarco Bulzac-hi si apprestò alla decisiva rivelazione:
-
La spoletta è ormai prossima al congiungimento, la situazione è più grave di
quanto credessimo, la deviazione della cometa è stata cambiata
e questa potrebbe investire la stazione; è dunque necessario che ci
allontaniamo subito.-
Come
previsto un certo fermento si manifestò tra i visitatori, il clamore
fortunatamente rimase circoscritto
e trattenuto dall’atteggiamento sicuro che
Bulzac-hi riusciva a mantenere, dopo qualche secondo riprese:
-
La spoletta ha dimensioni ridotte, quindi dovremo stringerci, è bene che vi
priviate ordinatamente di tutti gli oggetti superflui ed ingombranti e li
raduniate in un angolo-.
Dopo
pochi affannosi secondi un cumulo di borse, zaini e vari marchingegni
elettronici di cui i giovani abitualmente si circondano si ritrovarono
accantonati. Tutti si allinearono in fila indiana nella camera di
decompressione, prima i visitatori e a chiudere l’equipaggio, in ordine Otto, Ira,
Liza e per ultimo Bulzac-hi, quella era la successione di imbarco, scelta senza
troppo rumore, ma così decisiva.
Liza
si voltò e sussurrò a Bulzac-hi :- Ce la faremo ad entrarci tutti?-
-Non
tormentarti, oggi mi sento particolarmente fortunato-, quella menzogna gli costò
davvero molto, visto che subito dopo dovette voltarsi e allontanare lo sguardo,
poiché sentì che la tensione
raggiungeva livelli insostenibili, e non riusciva più a controllarsi.
Tutti
presero a fissare in silenzio la piccola porta circolare con un tasto
triangolare proprio al centro illuminato di rosso, mancavano 24’ quando si udì
un piccolo colpo che segnava il contatto tra le strutture esterne, il tasto si
illuminò di verde e qualcuno lo pigiò, la porta circolare si aprì e rivelò
un angusto e vuoto tubo cilindrico, ancora più piccolo del previsto.
I
passeggeri si affrettarono a scivolare nella nuova cabina, Otto e altri
cinque ragazzini non proprio longilinei si videro scrutati e umiliati dal peso
delle evidenti malignità che quegli sguardi gli muovevano, e seppure nessuno
disse una parola in proposito, i poveretti sentirono comunque l’astio che le
dure spinte dei vicini gli evidenziavano.
Otto,
cercò di trattenere il respiro, di apparire plastico e leggiadro, ma i suoi 103
chili era davvero impossibile non notarli.
I
corpi dapprima si lambivano, poi appena cominciò a salire l’equipaggio
iniziarono a strisciare ed infine si compressero sino all’inverosimile, Liza
era divenuta livida per lo sforzo ed occupò l’ultimo spazietto ancora
disponibile, con le lacrime agli occhi ed i lunghi capelli neri scompigliati
dalla forzata coabitazione lanciò uno sguardo a Bulzac-hi che impassibile le lasciò un’ ultima
carezza e poi chiuse per sempre la
porta della spoletta.
Di
nuovo sentì il colpo sordo di sgancio, a quel punto gli rimanevano 23’ di
vita.
Con
le mani fece per distendersi i lineamenti del viso, sentì che il panico si
stava per impossessare di lui, era disperato, gridò con tutte le sue forze-
Liza!- svelando a sé stesso quel
sentimento che sino ad allora aveva tenuto nascosto, ma ormai era inutile,
quella stazione non prevedeva navi di salvataggio, pensò di riaprire la
porta circolare in modo da farla finita subito.
Poi
quando la crisi sembrava vicinissima mormorò:- già, lo spazio...-.
Un’
idea audace improvvisamente fulminò ogni sua rassegnazione e lo stimolò
terribilmente.
Prese
a correre lungo il corridoio in modo forsennato gridando:- Dannazione, non è ancora finita, non è ancora
finita!-
Si
ritrovò nella sala militare, qui strappò da due manichini che riproducevano
soldati dei tempi terrestri due
antichissimi moschetti che questi
imbracciavano, li caricò nel modo più preciso e veloce di cui fosse capace,
ricordando i gesti che Ira era solita seguire nelle dimostrazioni, lasciò che
il sudore gli invadesse le pieghe del viso, tanta era la concentrazione.
Finita
la delicata operazione, alleggerì delle taglienti baionette i fucili
lasciandole cadere a terra e si portò dietro quei due rudimentali attrezzi, si
recò di gran carriera nella stanza spaziale, qui si infilò rapidamente una
tuta più o meno della sua taglia
appartenuta ad uno dei pionieri del
quadrante.
Allacciò
i tre strati di cui era composta la tuta, e goffamente, moschetti in spalla si
recò verso la camera di sbarco, frugò
tra gli oggetti elettronici ammassati dai visitatori
e vi trovò un aggeggio abbastanza
usato tra i giovani, un triangolatore, un sistema
rudimentale ma efficace per calcolare le distanze, era perfetto per la
sua idea, lo afferrò soddisfatto e proseguì.
Si
sentì pronto all’ impresa, entrò nella camera di decompressione e la lasciò
aperta, chiuse il casco e attivò l’ossigeno della tuta, tutto era
predisposto, mormorò tra se:- bastano un migliaio di km, dannazione-, pensò di
sfruttare all’inizio la spinta dell’ aria che all’apertura
immediata della camera diffondendosi nello spazio vuoto gli avrebbe fatto
acquistare una velocità iniziale, come un bicchiere d’acqua che si rovescia.
Stava
finalmente per lasciare quella vecchia stazione, quando,
proprio nel momento più delicato, la
tensione per l’attesa lasciò il passo ad un ricordo confuso, ma disarmante
che parecchio tempo prima lo aveva colpito.
-Chi
salveresti se un incendio ti colpisse la casa, il tuo gatto oppure un Rembrandt,
l’arte o la vita, o ancora l’arte vale la vita?-
Non
ricordava più chi avesse sollevato
quel quesito disarmante, e certo dalla problematica soluzione, ma ora quella
rocambolesca situazione glielo aveva rammentato; indubbiamente questo discorso
appariva troppo astratto per la precarietà del momento, che richiedeva
provvedimenti più tempestivi e speculazioni meno fantasiose, comunque non
riusciva ad ignorare che se lui sceglieva di cercare di sopravvivere quella
società superficiale aveva deciso d’un colpo di sacrificare l’ esistenza
stessa dell’ Astromuseo con tutti i suoi tesori per
qualcosa di pratico e veramente inutile come la simbolica commemorazione
ed esaltazione di un epoca, e addirittura lo stesso Bulzac-hi rischiava di
rimanere vittima di quell’ assurdo meccanismo.
Quel
confuso ricordo si esaurì così, brevemente e insoluto, la sua attenzione ora
si era volta completamente all’ardita impresa che lo attendeva, si voltò
un’ ultima volta verso i luoghi cari in cui tanto tempo aveva trascorso ad
ammirare i curiosi espedienti che l’uomo aveva fabbricato con genio e a volte
con perversione, poi si accorse che
mancavano 18’ alla collisione e pigiò con forza sul rosso tasto triangolare.
Il
colpo fece rientrare la porta di scatto, e subito l’aria lo spinse
violentemente fuori, fece diverse capriole senza il benché minimo punto di
riferimento prima di riprendere una posizione di controllo.
Lo
scarso attrito gli permise di volteggiare a lungo in una direzione precisa, la
stazione era ormai vistosamente rimpicciolita, mentre la cometa appariva
impressionante.
Sentì
la temperatura che andava aumentando gradualmente, cominciò a sudare e cercò
immediatamente di fare la triangolazione e di calcolare la direzione di fuga
più vantaggiosa.
Calibrò
elettronicamente i tre laser dell’apparecchio verso tre punti di riferimento
che ritenne opportuni, un variopinto luccichio di luci gli annunciò che
l’elaborazione era finita.
Il
momento era terrificante, l’attesa spasmodica , il caldo diveniva
insopportabile ed all’ interno del casco l’aria cominciava a condensare
rendendo difficile la visibilità esterna, si vedeva circondato da gas bianco e
azzurro prontamente puntò il primo moschetto nel luogo stabilito, curando di
tenere il calcio ben stretto e fece fuoco.
L’unico
colpo schizzò via dalla canna e si perse in quella diffusa luminescenza, il
rinculo in assenza di resistenza
esterna fu tremendo, l’uomo abbandonò subito il primo fucile per essere più
leggero, e si allontanò a velocità sostenuta dal luogo di massimo pericolo,
ormai non vedeva più la struttura cilindrica dell’ Astromuseo,
non seppe trattenere una lacrima di commozione e
gridò a se stesso:
-Funziona,
questa pazza idea funziona davvero!-
Cominciò
a scandire mentalmente lo scorrere del tempo,
14, 13, 12, 11 minuti e così
via poi scagliò, questa volta proprio contro la cometa che vedeva distintamente
il secondo colpo, fu sospinto ancora più indietro e dopo gli ultimi tiratissimi
minuti gridò a tutta forza:
-
tre, due , uno, zero, minuto zero... sono ancora vivo, sono ancora vivo!-.
Alla
fine la spinta si esaurì e si fermò, allora cominciò a fare capriole di gioia
e liberazione, poi con la coda dell’occhio per la prima volta da mesi vide
quella maledetta cometa rimpicciolirsi, segno del suo allontanamento.
Certo
trovarsi immersi nella solitudine spaziale, in una zona periferica poteva essere
terribile, ma ormai era davvero fiducioso, qualcuno doveva pur passare da quelle
parti, per vedere cosa fosse
accaduto.
Un
esplosione improvvisa troncò le sue riflessioni, l’ Astromuseo era in
frantumi, temette che qualche frammento lo raggiungesse, ma fortunatamente la
cometa aveva fatto da scudo all’improvvisato astronauta.
Vide
sulla propria tuta spaziale illuminarsi un disco rosso, dapprima flebilmente poi
sempre più nettamente, la sua gioia fu a questo punto incontenibile, quella era
l’inconfondibile traccia laser di una spoletta , e il fatto che si facesse
progressivamente più intensa indicava il proprio avvicinamento.
Sigmond
Trevers che comandava la nave quando vide quell’uomo con la tuta logora e
bruciacchiata, fu risollevato è accolse con giustificabile ammirazione
Bulzac-hi.
Questi
lentamente si sfilò la tuta, ripose l’ultimo moschetto che aveva trattenuto,
e si ricompose, era salvo, gli sguardi dei due si incrociarono per un istante,
poi abbracciò senza astio nè
risentimento il tecnide imbarazzato.
Quel
gesto pesò nella memoria di Sigmond Trevers più di mille rimproveri, aveva
sbagliato, la fortuna ed il genio di un primide gli avevano permesso di porre
riparo alla enorme negligenza che
aveva dimostrato.
La
vicenda si era conclusa positivamente, ed il destino a suo modo parve essersi
divertito a contraddire le aspettative di tutti, la cometa con l’esplosione
dell’ Astromuseo fu deviata definitivamente, e non avrebbe più fatto ritorno,
i sogni dei tecnidi avevano finito per diventare incubi di grandezza,
e dopo quest’episodio incresciosissimo non pensarono più alla sciocca
e assurda rivalità con i primidi.
Bulzac-hi
non fu più lasciato vivere tranquillo, il suo gesto divenne mitico e
addirittura leggendario, gli furono offerti incarichi di prestigio, e solo
dopo averne rifiutati moltissimi si vide costretto ad accettarne uno,
simbolico e chiaramente poco impegnativo.
Solo
in una cosa il destino sembrò esaudire le speranze dell’ eroe primide, come
condizione per quell’incarico Bulzac-hi fece richiesta vincolante di essere
coadiuvato da Liza, sua validissima
e insostituibile assistente, e tra i due...
beh... ma questa è un’altra storia.
***
Il mio primo racconto. Scritto in omaggio di un felice matrimonio tra
due amici Alessandro Bulzacchi e Elisabetta. Appassionato di fantascienza lui, e
necessariamente anche lei… Se esiste un inizio per una bizzarra passione come
scrivere, che assomiglia più a una malattia in verità, penso non possa
esistere inizio migliore che in una notte di S.Lorenzo.
D.R.