Diego Rossi

Zero, minuto zero...

 

 

    “Vi dirò una cosa sull’universo: l’universo è un posto molto vasto, è più grande di ogni cosa che chiunque abbia mai immaginato prima. Se ci fossimo solo noi sarebbe uno spreco di spazio, giusto?” 

               E.  ARROWAY,  CONTACT.                           

     “Sono affascinato dalla tecnologia, ma non da chi divinizza la tecnologia”

                                     P.JONNES, CONTACT.             

 

 

L Astromuseo era una delle stazioni mobili più antiche ancora in circolazione. 

Un tempo le sue due sezioni, quella militare e quella pionieristico-spaziale ne facevano una ricercata attrazione, ma da anni veniva ormai relegata a luogo di svago per qualche scolaresca annoiata.

La sua orbita era la più lontana  del pianeta Primo.

La fatiscente fusoliera esterna si avvolgeva alla rudimentale struttura cilindrica  interrompendosi in minuscoli oblò  prima di terminare sull’ unico sportello di attracco, riservato alle spolette di collegamento.

Sulla sommità della   piattaforma superiore si ergeva una stanza osservatorio: era impressionante come quella piccola cupola trasparente infrangesse la desolazione e la trascuratezza dell’insieme, conferendo alla struttura metallica una nota di artistica originalità.

Cilindri d’acciaio bianco intessevano una rete d’archi gotici ,circondavano la sala ovale e  sostenevano una volta di spessi vetri  in modo che lo sguardo fosse libero di spaziare sul meraviglioso affresco dell’ immensità dell’ universo.

Da un lato si riconosceva Primo, con la sua caratteristica  nube rossastra, dall’altro tra le migliaia di astri brillava  Tec, pianeta industriale e secondo pianeta abitabile del quadrante.

Nell’ ultimo terzo della volta  si lasciava ammirare  una luminosa nube azzurra:  era una cometa sconosciuta, che per  la prima volta attraversava il sistema, e che senza interventi esterni avrebbe finito per cadere rovinosamente su Primo.

La rete telematica spaziale pullulava dell’ ultimo avvenimento, ci si collegava dai più remoti angoli della galassia per assistere al nuovo trionfo della tecnologia umana.

Già diversi asteroidi erano stati brillantemente deviati , problemi simili erano ormai superabili con sicurezza quasi assoluta, bastava  un’ultima esplosione   per completare l’operazione... 

Bulzac-hi, il primo responsabile dell’Astromuseo,  non sembrava davvero molto interessato all’avvenimento,  stava al centro della stanza osservatorio, incastrato tra lo schienale della poltrona e la sua  scarna scrivania. Era appisolato ed un libro fantasioso faticava a guadagnare stabilità sulla sua esile figura oscillante: la poltrona dietro di lui poggiava con soli due piedi a terra, le  gambe facevano leva sul tavolo di lavoro e ritmicamente sussultava ad ogni respiro troppo affannoso strappato alla precarietà del riposo.

Un personaggio bizzarro, distratto, che amava la carta di un libro quanto un computer, che odiava la competizione frenetica, ma che più di tutto amava lo spazio, il senso di libertà, il fascino e la poesia dell’ immensità.

A parte questo incorreggibile e intollerante individuo, la persona che davvero si occupava del funzionamento della stazione era Liza, seconda, ma in realtà unica, responsabile. Le sue mansioni erano variegate e innumerevoli: attendeva alle comunicazioni col pianeta e con la spoletta di congiungimento, rilanciava e ripristinava tutto ciò che andava ripristinato o rilanciato, ogni suo movimento era veloce e tempestivo, il suo era un continuo ronzare e produrre.

Questa  volta il ticchettio dei passi dell’ occupatissima Liza apparve più affannoso del solito;  il corridoio che dava sullo studio di Bulzac-hi sembrò invaso da migliaia di sbizzarrite sferette metalliche che scappavano e rimbalzavano da ogni parte.

La porta  di scorrimento fu aperta di scatto, il rumore che ne risultò fu  breve e intenso. Alla sollecitazione esterna il corpo di Bulzac-hi reagì con uno scossone fulmineo che poco si addiceva alla  fragile posizione di riposo, tant’è che si ritrovò a terra, con un tonfo violento.

Ci volle qualche secondo perché si rendesse conto di quanto era accaduto. Dolorante e confuso alzò lo sguardo,  subito dopo rimise a posto la poltrona e il libro, e vide pallida in un angolo della stanza Liza che tremava e stringeva in mano un fax tutto stropicciato.

Il suo sguardo da severo e indispettito  si tramutò subito in  preoccupato,  trattenne tutti gli improperi che in una situazione analoga avrebbe riversato sulla sua indifesa assistente  e telegrafico irruppe:

 -Cosa è successo, Liza?-.

La tensione, unita al frastuono dell’ incidente,  l’ aveva irrigidita a tal punto  che non riusciva più a parlare: si limitò ad indicare, dall’ angolo in cui si era rinchiusa, qualcosa su una  vetrata.

Bulzac-hi  si voltò e riconobbe la cometa, poi strappò dalle mani di lei il foglio che teneva stretto e lo lesse:

 

-La direzione del pianeta Tec, chieste le autorizzazioni della commissione  primide, ha deciso di deviare la cometa di un angolo diverso da quello di massima sicurezza per lasciare un dono insolito ed eccezionale ai nostri successori che renda merito della nostra grande abilità tecnologica e straordinaria inventiva .

La cometa verrà deviata su un’ orbita di rivoluzione pari a 500 anni sette mesi e tredici giorni, cosicché essa ricomparirà  di nuovo a metà strada tra Primo e Tec  allo scoccare della mezzanotte dell’ ultimo giorno del 999 anno della fondazione del sistema.

Per celebrare questo straordinario evento battezziamo questo corpo stellare, saluto eterno della nostra epoca alle future generazioni  Tec1000.

Imponiamo alla stazione Astromuseo di abbandonare momentaneamente, ma con gran celerità l’orbita di assegnazione, poiché trovandosi molto vicina alla nuova direzione assegnata alla cometa, vapori e radiazioni molto pericolosi cominceranno ad investirla a 30’ di distanza dall’ultima imminente esplosione.

Una  zona sufficientemente sicura e stabile può ritenersi quella di coordinate: 11, 13, 16.

Raccomandiamo nuovamente la massima celerità! 

 

 

                                                                             Capo   responsabile del progetto:   

Sigmond Trevers-

  

Bulzac-hi aveva letto quel fastidioso e pomposo comunicato tutto d’un fiato ed ora era divenuto ancora più preoccupato della sua sempre immobile assistente.

Gridò: - E’ inaudito!-,  poi  ammutolì.

Non  riusciva a capacitarsi di una richiesta tanto sciocca, fatta in modo così perentorio e disarmante: senza possibilità di appello si imponeva di rimuovere dall’orbita un rottame che da circa mezzo secolo non compiva che difficili e laboriose manovre di assestamento, ma come si poteva pensare di  compiere un tale trasferimento  in poco più di mezz’ora?!

Serrò le mascelle e si scosse attivando subito la propria subordinata:

- Liza  dobbiamo muoverci e in fretta, bisogna tentare l’impossibile: chiama subito Otto. Voglio che cerchi di  far funzionare i motori e ci levi d’impaccio, poi fammi un resoconto completo delle persone che sono a bordo, tra visitatori ed equipaggio, infine aprimi due contatti di comunicazione, uno con il centro spolette di soccorso, l’altro con gli artefici di questa follia su Tec. E’ tutto per il momento.-

Non finì di assegnarle i compiti  che la diligentissima assistente, rinfrancata dalla fermezza e dalla intraprendenza di Bulzac-hi, si era già precipitata  fuori dalla stanza.

Nella mente di Bulzac-hi, rimasto solo,  si addensarono pensieri poco confortanti ed il suo sguardo timoroso si sentì ora libero di rivolgersi, in privato, verso l’ azzurra  cometa, quasi volesse trovare in quell’ ammasso di roccia e gas una spiegazione a tale  assurdità umana, ma soprattutto il coraggio per paventare sicurezza con i suoi subalterni. Era consapevole che se avesse mostrato rassegnazione il panico avrebbe segnato la fine della  stazione.

Qualcun altro in quello stesso istante, ma su una astronave molto più lontana e con spirito pure diverso osservava  la stessa cometa; Rolf  Ticov, uomo politico tecnide potente e stimato, vedeva dallo studio privato di Sigmond Trevers quei caratteristici fumi azzurri  e in essi percepiva il realizzarsi lento ma continuo delle proprie ambizioni:

-Guarda Sigmond non è stupenda, avanza placida e indifferente la nostra preziosa cometa, sembra che nulla possa distoglierla, nulla possa violare la propria intrinseca perfezione-.

Sigmond: -Perfezione redditizia e simbolica- rise goffamente, poiché era sdraiato su un comodissimo divanetto e poi prendendo una tazza di tè algassiano si lasciò andare a confidenze meno dissimulate:

- Rolf, dovevi vedere l’espressione del responsabile del comitato esecutivo di Primo, quando ho annunciato la nostra intenzione di lasciare “un dono straordinario  ai nostri comuni discendenti”...-, rise ancora e cominciò a sorseggiare spensierato-... si, sono proprio queste le parole che ho usato, i loro volti si erano irrigiditi, ed alla fine hanno acconsentito in    modo    breve e trattenuto, forse avranno percepito ancora confusamente che la sciocca presunzione e tradizione primide stava infrangendosi, finalmente.-

Rolf non si voltava  verso lo studioso, lasciava che la dolce irradiazione azzurra lo cullasse ancora, ma replicò:

- Caro Sigmond devo proprio ringraziarti, è merito tuo, della tua esecuzione così repentina e decisa, se oggi Tec sta  per vivere il suo primo giorno di gloria indiscussa e completa, senza che nessun  primide possa offuscarla, così la nostra superiorità tecnologica strapperà anche dai cuori della gente quella aristocratica ed effimera presunzione.-

Sigmond smise di sorseggiare dalla tazza , nonostante il momento paresse trionfale, la nube rossastra e infernale di Primo che si intravedeva da un oblò laterale della stanza continuava ad intimidirlo.

Quel maledetto colore era il simbolo della discriminazione che covava nei sorrisi e negli atteggiamenti di tutti i viaggiatori che praticavano il sistema.

Primo in realtà aveva originariamente un colore biancastro tipico dei pianeti atmosferici, ma dagli albori della fondazione i primidi pensarono di lasciare che fossero le orbite esterne a fungere da avioporti per le navi spaziali, sorrette dalle forze gravitazionali,  assicurando ai viaggiatori il trasporto interno tramite velocissime e confortevoli spolette di collegamento.

Dopo l’originale avversione verso un’ idea tanto funzionale, dettata dall’ orgoglio ottuso del rifiuto che sempre in questi casi maschera l’imbarazzo e la gelosia, i tecnidi si videro costretti a seguire in questo i propri cugini e ora ne godevano appieno i vantaggi tanto osteggiati.

Le tracce laser rosse che le spolette utilizzavano per evitare urti rovinosi, ben presto conferirono a Primo quella colorazione così suggestiva, e continuarono nel corso degli anni quasi a commemorare la priorità dell’intraprendenza primide nei confronti della macchinosità tecnologica  tecnide.

E’ difficile o addirittura impossibile investigare sulle opinioni  che si ingenerano in una qualsiasi comunità, fatto stà che da quell’episodio il preconcetto sulla maggiore originalità dei primidi  era divenuta cosa palese, e ciò da sempre aveva ispirato nei tecnidi una accesa rivalità ed un grande desiderio di rivincita.

Il passaggio della cometa appariva come il tanto atteso e clamoroso riscatto, se quell’impresa fosse riuscita i tecnidi avrebbero forse ottenuto una maggiore stima e finalmente superiore  credibilità.

Sigmond si scosse dalla improvvisa e immotivata titubanza che lo aveva investito e si rivolse di nuovo all’amico:

- Rolf, sembra che tu gioisca più per i riconoscimenti che per l’impresa stessa , e forse hai proprio ragione è questo che ci ha spinti ad essere così temerari,  il successo.-

I due risero animosamente, poi di colpo  una voce metallica annunciò un avviso di chiamata, Sigmond si ricompose e scattò in piedi spostandosi per  vedere il monitor, poi autorizzò la comunicazione.

- Qui Astromuseo di Primo, problemi gravissimi di spostamento, impossibile rimuovere la stazione come richiesto!-

I due tecnidi rabbrividirono d’un colpo nel sentire la voce disarmante di Bulzac-hi, Sigmond riprese:

- Cosa è accaduto?-

- Hanno ceduto per lo sforzo due dei tre motori direzionali, impensabile una riparazione in tempo utile, dobbiamo evacuare la stazione al più presto, oppure dovete ripristinare le coordinate di deviazione della com...- la sua richiesta fu interrotta dalla deflagrazione violenta che annunciava l’ultima e decisiva deviazione, ormai non si poteva più tornare indietro, mancavano 30’ per evitare il disastro.

Dal volto di Sigmond inebetito si evidenziava il serio imbarazzo e la forte tensione che lo aveva colpito contorcendone d’un colpo tutti i lineamenti del viso,  Bulzac-hi attendeva una risposta, e Rolf intervenne:

- Avete contattato una spoletta di soccorso, ce ne dovrà pure essere una in quel quadrante!-

Bulzac-hi si controllò e con calma replicò:

- A quanto ci risulta ce n’è solo una che in tempo utile possa raggiungerci, ed è stata contattata or ora dalla mia assistente, ma la sua capienza è di quindici persone , in tutto a bordo ci sono 21 passeggeri ed abbiamo 29’ per escogitare qualche rimedio.-

Rolf distolse lo sguardo dal monitor, non sapeva proprio come risolvere la situazione, Sigmond era esterrefatto aveva visto in pochi secondi tramutare i suoi sogni in una tragedia, un silenzio gelido invase la stanza.

Bulzac-hi violò quell’atmosfera con parole dure e precise:

- Cercate qualche espediente per deviare la Tec1000, provvedete con qualcuna delle vostre tempestive manovre, noi tenteremo di abbandonare la stazione, ma dannazione muovetevi!-

Rolf :- Comandante le assicuro che faremo del nostro meglio per salvaguardare le vostre vite e la vostra stazione-

Bulzac-hi, sdegnato per quelle false parole di circostanza  non seppe trattenersi:

- Mi aspetto l’impossibile da voi, essendo l’azzardo un gioco così praticato dalla vostra società tecnologica. Chiudo conversazione!-

Il suono monotonale e fastidioso che segnava la fine della comunicazione invase la stanza lacerando la cupa atmosfera che si era creata, quando pure Sigmond ebbe spento il contatto e questo lamento cessò mancavano 28’ dalla collisione.

Otto uscì dal vano   motori completamente ricoperto  di grasso e  con   la tuta  tutta strappata. Aveva combattuto con le avversità meccaniche fino all’ultimo momento, ma ad ogni riparazione riuscita si erano presentati nuovi problemi, poi la rottura definitiva ed irreparabile  aveva finito per fiaccare il suo spirito e strozzare la propria speranza. Quando uscì incrociò Bulzac-hi che lo vide sconvolto e lo rincuorò:

- Otto, hai fatto ciò che era umanamente possibile, non preoccuparti, ce la caveremo, una spoletta sarà qui a minuti. Ora vai,  cerca di rinfrescarti e precipitati nella camera di sbarco, coraggio-, e lo spinse affettuosamente verso il corridoio che dava sulla propria cabina, poi proseguì verso una delle sale di esposizione.

Con una scusa Liza aveva radunato qui i diciassette visitatori, che erano gli alunni di una scuola primide, per lo più ragazzini e un paio di accompagnatori, qui era pure presente Ira, la  guida  dell’ Astromuseo ed ultima componente dell’equipaggio.

In quel momento Ira stava parlando delle antiche guerre terrestri, e faceva ammirare ai giovincelli incuriositi armature, spade, elmi ed armi rudimentali ancora funzionanti.

Bastò uno sguardo di  Bulzac-hi all’assistente perché questa si mettesse all’opera.

Con cautela guadagnò il centro della sala e approfittando di un momento di pausa in cui Ira mostrava  uno scudo bronzeo con strane figure scolpite e con visibili ammaccature,  richiamò su di sé l’attenzione:

- Carissimi visitatori, sono spiacente di interrompere a questo punto la vostra visita, ma data  la vicinanza della cometa alla nostra stazione, abbiamo pensato bene di farvi assistere con una spoletta a questo evento straordinario ed irripetibile, siete pertanto pregati di spostarvi con una certa fretta nella camera di sbarco, grazie-

Liza faticosamente accennò ad un sorriso, e si mise a capo della comitiva, Ira ripose lo scudo e si avviò inconsapevole ,come gli altri, del pericolo.

Radunati tutti nella sala di sbarco Bulzac-hi si apprestò alla decisiva rivelazione:

- La spoletta è ormai prossima al congiungimento, la situazione è più grave di quanto credessimo, la deviazione della cometa è stata cambiata  e questa potrebbe investire la stazione; è dunque necessario che ci allontaniamo subito.-

Come previsto un certo fermento si manifestò tra i visitatori, il clamore  fortunatamente rimase  circoscritto e trattenuto dall’atteggiamento sicuro  che Bulzac-hi riusciva a mantenere, dopo qualche secondo riprese:

- La spoletta ha dimensioni ridotte, quindi dovremo stringerci, è bene che vi priviate ordinatamente di tutti gli oggetti superflui ed ingombranti e li raduniate in un angolo-.

Dopo pochi affannosi secondi un cumulo di borse, zaini e vari marchingegni elettronici di cui i giovani abitualmente si circondano si ritrovarono  accantonati. Tutti si allinearono in fila indiana nella camera di decompressione, prima i  visitatori e a chiudere l’equipaggio, in ordine Otto, Ira, Liza e per ultimo Bulzac-hi, quella era la successione di imbarco, scelta senza troppo rumore, ma così decisiva.

Liza si voltò e sussurrò a Bulzac-hi :- Ce la faremo ad entrarci tutti?-

-Non tormentarti, oggi mi sento particolarmente fortunato-, quella menzogna gli costò davvero molto, visto che subito dopo dovette voltarsi e allontanare lo sguardo, poiché  sentì che la tensione raggiungeva livelli insostenibili, e non riusciva più a controllarsi.

Tutti presero a fissare in silenzio la piccola porta circolare con un tasto triangolare proprio al centro illuminato di rosso, mancavano 24’ quando si udì un piccolo colpo che segnava il contatto tra le strutture esterne, il tasto si illuminò di verde e qualcuno lo pigiò, la porta circolare si aprì e rivelò un angusto e vuoto tubo cilindrico, ancora più piccolo del previsto.

I  passeggeri si affrettarono a scivolare nella nuova cabina, Otto e altri cinque ragazzini non proprio longilinei si videro scrutati e umiliati dal peso delle evidenti malignità che quegli sguardi gli muovevano, e seppure nessuno disse una parola in proposito, i poveretti sentirono comunque l’astio che le dure spinte dei vicini gli evidenziavano.

Otto, cercò di trattenere il respiro, di apparire plastico e leggiadro, ma i suoi 103 chili era davvero impossibile non notarli.

I corpi dapprima si lambivano, poi appena cominciò a salire l’equipaggio iniziarono a strisciare ed infine si compressero sino all’inverosimile, Liza era divenuta livida per lo sforzo ed occupò l’ultimo spazietto ancora disponibile, con le lacrime agli occhi ed i lunghi capelli neri scompigliati dalla forzata coabitazione lanciò uno sguardo a   Bulzac-hi che impassibile le lasciò un’ ultima carezza  e poi chiuse per sempre la porta della spoletta.

Di nuovo sentì il colpo sordo di sgancio, a quel punto gli rimanevano 23’ di vita.

Con le mani fece per distendersi i lineamenti del viso, sentì che il panico si stava per impossessare di lui, era disperato, gridò con tutte le sue forze- Liza!- svelando  a sé stesso quel sentimento che sino ad allora aveva tenuto nascosto, ma ormai era inutile,  quella stazione non prevedeva navi di salvataggio, pensò di riaprire la porta circolare in modo da farla finita subito.

Poi quando la crisi sembrava vicinissima mormorò:- già, lo spazio...-.

Un’ idea audace improvvisamente fulminò ogni sua rassegnazione e lo stimolò terribilmente.

Prese a correre lungo il corridoio in modo forsennato  gridando:- Dannazione, non è ancora finita, non è ancora finita!-

Si ritrovò nella sala militare, qui strappò da due manichini che riproducevano soldati dei tempi terrestri  due antichissimi moschetti che  questi imbracciavano, li caricò nel modo più preciso e veloce di cui fosse capace, ricordando i gesti che Ira era solita seguire nelle dimostrazioni, lasciò che il sudore gli invadesse le pieghe del viso, tanta era la concentrazione.

Finita la delicata operazione, alleggerì delle taglienti baionette i fucili lasciandole cadere a terra e si portò dietro quei due rudimentali attrezzi, si recò di gran carriera nella stanza spaziale, qui si infilò rapidamente una tuta  più o meno della sua taglia appartenuta ad uno dei  pionieri del quadrante.

Allacciò i tre strati di cui era composta la tuta, e goffamente, moschetti in spalla si recò verso la camera di sbarco,  frugò tra gli oggetti elettronici ammassati dai  visitatori e vi trovò un  aggeggio abbastanza usato tra i giovani, un triangolatore, un sistema  rudimentale ma efficace per calcolare le distanze, era perfetto per la sua idea, lo afferrò soddisfatto e proseguì.

Si sentì pronto all’ impresa, entrò nella camera di decompressione e la lasciò aperta, chiuse il casco e attivò l’ossigeno della tuta, tutto era predisposto, mormorò tra se:- bastano un migliaio di km, dannazione-, pensò di  sfruttare all’inizio la spinta dell’ aria che all’apertura immediata della camera diffondendosi nello spazio vuoto gli avrebbe fatto acquistare una velocità iniziale, come un bicchiere d’acqua che si rovescia.

Stava finalmente per lasciare quella vecchia stazione, quando,  proprio nel momento più delicato,  la tensione per l’attesa lasciò il passo ad un ricordo confuso, ma disarmante che parecchio tempo prima lo aveva colpito.

-Chi salveresti se un incendio ti colpisse la casa, il tuo gatto oppure un Rembrandt, l’arte o la vita, o ancora l’arte vale la vita?-

Non ricordava più  chi avesse sollevato quel quesito disarmante, e certo dalla problematica soluzione, ma ora quella rocambolesca situazione glielo aveva rammentato; indubbiamente questo discorso appariva troppo astratto per la precarietà del momento, che richiedeva provvedimenti più tempestivi e speculazioni meno fantasiose, comunque non riusciva ad ignorare che se lui sceglieva di cercare di sopravvivere quella società superficiale aveva deciso d’un colpo di sacrificare l’ esistenza stessa dell’ Astromuseo con tutti i suoi tesori per  qualcosa di pratico e veramente inutile come la simbolica commemorazione ed esaltazione di un epoca, e addirittura lo stesso Bulzac-hi rischiava di rimanere vittima di quell’ assurdo meccanismo.

Quel confuso ricordo si esaurì così, brevemente e insoluto, la sua attenzione ora si era volta completamente all’ardita impresa che lo attendeva, si voltò un’ ultima volta verso i luoghi cari in cui tanto tempo aveva trascorso ad ammirare i curiosi espedienti che l’uomo aveva fabbricato con genio e a volte con perversione, poi  si accorse che mancavano 18’ alla collisione e pigiò con forza sul rosso tasto triangolare.

Il colpo fece rientrare la porta di scatto, e subito l’aria lo spinse violentemente fuori, fece diverse capriole senza il benché minimo punto di riferimento prima di riprendere una posizione di controllo.

Lo scarso attrito gli permise di volteggiare a lungo in una direzione precisa, la stazione era ormai vistosamente rimpicciolita, mentre la cometa appariva impressionante.

Sentì la temperatura che andava aumentando gradualmente, cominciò a sudare e cercò immediatamente di fare la triangolazione e di calcolare la direzione di fuga  più vantaggiosa.

Calibrò elettronicamente i tre laser dell’apparecchio verso tre punti di riferimento che ritenne opportuni, un variopinto luccichio di luci gli annunciò che l’elaborazione era finita.

Il momento era terrificante, l’attesa spasmodica , il caldo diveniva insopportabile ed all’ interno del casco l’aria cominciava a condensare rendendo difficile la visibilità esterna, si vedeva circondato da gas bianco e azzurro prontamente puntò il primo moschetto nel luogo stabilito, curando di tenere il calcio ben stretto e fece fuoco.

L’unico colpo schizzò via dalla canna e si perse in quella diffusa luminescenza, il rinculo in assenza di  resistenza esterna fu tremendo, l’uomo abbandonò subito il primo fucile per essere più leggero, e si allontanò a velocità sostenuta dal luogo di massimo pericolo, ormai non vedeva più la struttura cilindrica dell’ Astromuseo,  non seppe trattenere una lacrima di commozione e  gridò a se stesso:

-Funziona, questa pazza idea funziona davvero!-

Cominciò a scandire mentalmente lo scorrere del tempo,  14, 13, 12, 11  minuti e così via poi scagliò, questa volta proprio contro la cometa che vedeva distintamente il secondo colpo, fu sospinto ancora più indietro e dopo gli ultimi tiratissimi minuti gridò a tutta forza:

- tre, due , uno, zero, minuto zero... sono ancora vivo, sono ancora vivo!-.

Alla fine la spinta si esaurì e si fermò, allora cominciò a fare capriole di gioia e liberazione, poi con la coda dell’occhio per la prima volta da mesi vide quella maledetta cometa rimpicciolirsi, segno del suo allontanamento.

Certo trovarsi immersi nella solitudine spaziale, in una zona periferica poteva essere terribile, ma ormai era davvero fiducioso, qualcuno doveva pur passare da quelle parti, per  vedere cosa fosse accaduto.

Un esplosione improvvisa troncò le sue riflessioni, l’ Astromuseo era in frantumi, temette che qualche frammento lo raggiungesse, ma fortunatamente la cometa aveva fatto da scudo all’improvvisato astronauta.

Vide sulla propria tuta spaziale illuminarsi un disco rosso, dapprima flebilmente poi sempre più nettamente, la sua gioia fu a questo punto incontenibile, quella era l’inconfondibile traccia laser di una spoletta , e il fatto che si facesse progressivamente più intensa indicava il proprio avvicinamento.

Sigmond Trevers che comandava la nave quando vide quell’uomo con la tuta logora e bruciacchiata, fu risollevato è accolse con giustificabile ammirazione Bulzac-hi.

Questi lentamente si sfilò la tuta, ripose l’ultimo moschetto che aveva trattenuto, e si ricompose, era salvo, gli sguardi dei due si incrociarono per un istante, poi  abbracciò senza astio nè risentimento il tecnide imbarazzato.

Quel gesto pesò nella memoria di Sigmond Trevers più di mille rimproveri, aveva sbagliato, la fortuna ed il genio di un primide gli avevano permesso di porre riparo alla  enorme negligenza che aveva dimostrato.

La vicenda si era conclusa positivamente, ed il destino a suo modo parve essersi divertito a contraddire le aspettative di tutti, la cometa con l’esplosione dell’ Astromuseo fu deviata definitivamente, e non avrebbe più fatto ritorno, i sogni dei tecnidi avevano finito per diventare incubi di grandezza,  e dopo quest’episodio incresciosissimo non pensarono più alla sciocca e assurda rivalità con i primidi.

Bulzac-hi non fu più lasciato vivere tranquillo, il suo gesto divenne mitico e addirittura leggendario, gli furono offerti incarichi di prestigio, e solo  dopo averne rifiutati moltissimi si vide costretto ad accettarne uno, simbolico e chiaramente poco impegnativo.

Solo in una cosa il destino sembrò esaudire le speranze dell’ eroe primide, come condizione per quell’incarico Bulzac-hi fece richiesta vincolante di essere coadiuvato da Liza, sua  validissima e insostituibile assistente, e tra i due...  beh... ma questa è un’altra storia.

 

 

 

***

 

 

 

           Il mio primo racconto. Scritto in omaggio di un felice matrimonio tra due amici Alessandro Bulzacchi e Elisabetta. Appassionato di fantascienza lui, e necessariamente anche lei… Se esiste un inizio per una bizzarra passione come scrivere, che assomiglia più a una malattia in verità, penso non possa esistere inizio migliore che in una notte di S.Lorenzo.

D.R.