- i racconti - vittorio baccelli - 

- apparso per la prima volta su "mainframe" -

vittorio baccelli

                                         LA DONNA DEL FIUME  

 

Il fiume si divideva in tre piccole cascate ed a monte si vedeva quello che restava di un ponte costruito in blocchi di pietra, era tutto ciò che rimaneva di un antico tracciato ferroviario.

Le tre cascate confluivano in un laghetto dal quale le acque rifluivano rumorose in un alveo scavato tra le rocce.

In lontananza, più a valle, tra la fitta vegetazione s’intravedevano due arcate superstiti di un altro vecchio ponte, i due archi siti proprio nel bel mezzo del corso d’acqua, reggevano ancora una trentina di metri d’inutile strada asfaltata.

Sul lato sinistro del laghetto, vicino alle tre cascatelle, vi era un nastro di spiaggia lungo una cinquantina di metri. A ridosso della spiaggetta s’apriva l’entrata della grotta, intorno alte montagne, con una fitta vegetazione di abeti, acacie e castagni, chiudevano la stretta vallata e tra i monti splendeva un cielo azzurro solcato da aquile e falchi con voli lenti dal moto perennemente circolare.

In alcune pozze formatesi tra le rocce, numerose rane gracidavano ed una moltitudine di girini ondeggiava senza tregua.

Grossi pesci si muovevano pigri nelle profonde acque trasparenti del laghetto che ogni tanto veniva velocemente attraversato da serpi d’acqua nere che procedevano con la testa dritta mentre il corpo svettava ondeggiante appena sotto le acque.

Cespugli di gialle ginestre in fiore attiravano moltitudini d’insetti volanti.

Piccoli sauri immobili sulle pietre assolate, quasi invisibili nella loro mimetizzazione color scoglio, pazientemente attendevano le loro ignare prede.

Alcuni pesci risalivano a tratti le cascate con piccoli salti ed altri dal laghetto si tuffavano nell’aria per carpire sprovveduti insetti che troppo s’erano avvicinati allo specchio d’acqua.

Ogni tanto s’udiva il PLOP di una grossa rana.

L’ingresso della grotta era nascosto da una rigogliosa vegetazione, il fiume scorreva poco più in basso, la spiaggetta formata da minuti e colorati sassolini oggi non era visibile perché le acque si erano innalzate per le recenti piogge.

L’interno della grotta era accogliente, tre ampi saloni si aprivano lungo un corridoio di roccia.

La prima sala aveva il pavimento coperto da folti tappeti ed ampi divani erano casualmente disposti sia a fianco delle pareti che nel mezzo della stessa sala, un’uniforme luce diffusa cadeva dal soffitto roccioso.

Un grande schermo rettangolare occupava un angolo della sala ed in sottofondo si diffondeva una dolce melodia. La seconda sala era occupata dai servizi, un’ampia cucina con dispense e fornelli, un grande tavolo circolare con dieci sedie attorno. La terza sala era il laboratorio, lo studio della donna del fiume, le pareti erano interamente coperte da scaffali colmi di libri antichi e moderni, di videocassette, di CD e di memorie solide, nel mezzo un tavolo con due sedie, sul tavolo un computer di foggia bizzarra e poi un’infinità dei più disparati oggetti: penne, mozziconi di lapis, pennelli consunti, barattolini arrugginiti delle più svariate forme, vecchie valvole termoioniche, stick di colla rappresa, sassolini variopinti, fazzolettini di carta, ramoscelli anneriti con foglie secche, fili di metallo, rettangoli di plastica, scatolette in bakelite, pezzi di giocattoli, minuteria raccolta in scatolette di plastica trasparente, agende colme di appunti, un saldatore, una lente d’ingrandimento e chips consunti di varie fogge e dimensioni.

Il tavolo aveva un’ampia cassettiera, all’interno della quale erano accatastati centinaia, forse migliaia di piccoli oggetti di ogni tipo, dai bulloni alle viti, dai tappi metallici alle rondelle, dalle ruote dentate di plastica a parti d’avvolgimento elettrico dalle biglie di vetro colorate ai bottoni, ecc.

Dalla terza stanza si accedeva ad un più piccolo locale che ospitava una minuscola piscina con doccia ed il bagno vero e proprio.

La donna del fiume preparava oracoli, le domande le arrivavano sullo schermo, solo raramente si presentava qualcuno di persona e lei, dopo pochi giorni, forniva le risposte solo a coloro che riteneva degni di riceverle.

Ogni domanda era corredata da un’offerta e questa veniva accreditata su un apposito conto, dal quale attingeva solo per l’indispensabile.

Si recava quotidianamente davanti al fiume, ed il fiume suggeriva le risposte che venivano poi trasmesse al richiedente, non tutti ottenevano la risposta ai loro quesiti.

La donna del fiume, da tempo ormai immemorabile era l’oracolo, ed il fiume le lasciava sulla spiaggetta i piccoli oggetti che raccoglieva, sceglieva con oculatezza, lavorava ed infine assemblava.

Questi oggetti assemblati fungevano da catalizzatori di positività, erano insomma dei portafortuna, e venivano ricercati alla grande, qualcuno sosteneva che fossero anche delle vere e proprie opere d’arte e per questo motivo alcuni erano alloggiati in musei d’arte contemporanea.

Lei donava gli oggetti a chi riusciva a raggiungerla, infatti non era per niente facile arrivare alla grotta dell’oracolo, tante erano le difficoltà, gli ologrammi ed i simulacri ingannatori che aveva sistemato sul percorso e che riuscivano quasi sempre a disorientare il pellegrino ed a fargli perdere l’orientamento, inoltre il sentiero giusto veniva quotidianamente mutato.

Inganni e trappole, anche mortali, dovevano essere superate dal pellegrino-postulante e coloro che fisicamente giungevano al cospetto dell’oracolo ricevevano, oltre alla risposta ai loro quesiti, dalle mani di lei il talismano, il portafortuna dai mille doni. Ed anche di un elevato valore commerciale del tutto non trascurabile.

Già da svariati giorni non rispondeva alle richieste ed aveva anche bloccato tutti gli ingressi. Non voleva essere disturbata perché il fiume era inquieto, scorreva veloce generando vortici, senza comunicare, emetteva solo un cupo borbottio che poteva significare tutto e niente.

Anche il mutevole colore delle acque la lasciava perplessa: a momenti era limaccioso, marrone, color della terra come avrebbe dovuto essere nei momenti di piena, ma poi diveniva chiaro, addirittura limpido, per tornare subito dopo marrone, ed a tratti si colorava d’arcobaleno come fosse stata gettata benzina sulle acque.

Ora l’oracolo seduta su una roccia osservava la massa liquida turbinare, con gli occhi ben aperti alla ricerca d’un segno, con l’udito allertato per cogliere ogni variazione del rumore che le fornisse risposte. Ma il fiume scorreva violento e muto.

Quando il sole tramontò si recò al tavolo di lavoro ed iniziò a lucidare due sassi che aveva raccolto quel mattino. Filamenti d’oro furono saldati ai terminali di tre vecchi chips, poi sempre con fili d’oro i chips furono fissati ai sassi e ne risultò uno strano oggetto rettangolare. Con gli smalti colorati, l’oggetto assunse un aspetto inquietante.

Lo guardò incuriosita, per la prima volta non fu in grado di riconoscere la funzione di ciò che aveva prodotto.

Con in mano l’oggetto si diresse verso la roccia che abitualmente usava per ascoltare i messaggi del fiume, percorse rapida il sentiero illuminato da una vivida luna. Sulla roccia attese, il rombo delle acque le comunicò solo inquietudine.

L’oracolo si sentì a disagio anche sulla familiare roccia, tornò alla sua grotta nella prima sala, si sdraiò su un divano, posò l’oggetto su un tavolinetto di cristallo lì vicino e chiuse gli occhi. Si sentì osservata e di scatto si alzò in piedi.

Scorse per un attimo un’immagine olografica che rapidamente si dissolse, l’immagine la turbò profondamente, nessuno avrebbe potuto introdursi da lei, gli ostacoli erano tutti attivi, lei era completamente isolata. Andò alla consolle e verificò le chiusure: erano regolarmente funzionanti, chiese allora la visione registrata della sala. Lo schermo mostrò la stanza vuota, poi si vide entrare, sdraiarsi su un divano, posare l’oggetto sul tavolinetto, chiudere gli occhi. Dopo qualche minuto si materializzò un giovane, fermò l’immagine. Era vestito con un sari, pantaloni e scarpe color argento. Ingrandì l’immagine del volto, ma la definizione risultò sfocata, come se il volto fosse in ombra. Aumentò la definizione e l’ingrandimento analizzando anche gli istanti successivi, ma il volto rimase sempre coperto dalle ombre: era impossibile, la luce diffusa della sala non avrebbe potuto permettere la creazione di zone di tenebre.

Nei pochi secondi di permanenza, il giovane sembrava interessato al suo oggetto, ma l’aver aperto gli occhi, l’aveva fatto precipitosamente scomparire.

Attivò ulteriori protezioni sia informatiche che magiche, poi inserì un ICE nero militare che mai aveva usato e che aveva acquistato molti anni prima in rete da un hacker: nessuno avrebbe potuto introdursi e se lo avesse fatto sarebbe rimasto intrappolato, con ogni uscita negata ed istantaneamente terminato.

Prese l’oggetto e lo posò su un cubo fluorescente nel mezzo alla sala con i divani, si sdraiò su due cuscini proprio davanti al cubo ed attese.

Dopo circa un’ora alcune scariche di energia statica inondarono il salone, poi si materializzò l’immagine di prima: il giovane con il volto in ombra era davanti e lei.

-         E tu, chi cazzo sei?

-         Ho dovuto far fuori il tuo ICE, ti prego di scusarmi.

-         Chi ti ha autorizzato ad entrare? Ogni accesso era negato.

-         La porta dell’oracolo è aperta a tutti coloro che riescono a superare le difficoltà e gli ostacoli. Io li ho superati.

-         Veramente in questi giorni avevo chiuso bottega.

-         Non per me, sono qui!

-         Lo vedo, chi sei? Cosa vuoi?

-         Chi sono? Non è semplice, mi chiamano in vari modi, a secondo dei tempi, in quanto a cosa voglio, è semplice, il velvet!

-         Il velvet?

-         Si, l’oggetto che hai appena realizzato.

-         Hai diritto ad un talismano, ma perché vuoi proprio quello?

-         Perché ho chiesto allo spirito del fiume che tu lo facessi.

-         Anche tu parli con le acque?

-         Si, e talvolta mi esaudiscono.

-         Ma a cosa ti serve l’oggetto che ho fatto? Io stessa non ne comprendo le funzioni.

-         Ad uscire da una sequenza nella quale mi sono trovato intrappolato.

-         Una sequenza?

-         Si è un paradosso, un doppio della terra stessa, è facile entrarvi, ma nessuno finora è riuscito ad andarsene.

-         E tu, mio bel tenebroso senza volto, come hai fatto a far arrivare il tuo simulacro fin qui?

-         Sono un programma antico, come lo spirito del fiume ed anche come te.

-         Anch’io un programma antico? Cosa vuoi dire? Sono la donna del fiume, io sono l’Oracolo!

-         Non dire cazzate, sei una recita creata qualche migliaio d’anni fa per stupire un popolo di pastori, possibile che non ricordi?

-         Tu dici scemenze, prendi il tuo, come lo chiami? Velvet! E vattene subito fuori di qui, ma prima dimmi: se sei qui, sei già uscito dalla sequenza. Raccontami la verità.

-         Ti ho già detto la verità, qui ci sono solo in maniera instabile, mi sono collegato al tuo ka, risuonando con esso, la mia interazione è debole, se mi allontano da te sarò subito risucchiato dalla sequenza paradosso, inoltre non sono in grado di rimanere se non per pochi minuti, e quei pochi minuti mi costano una valanga d’energie. Comunque ti ringrazio del dono e se ti ho turbata, ti prego di scusarmi, me ne vado subito e puoi tornare al tuo lavoro d’oracolo.

-         Voglio vedere proprio come puoi prendere il velvet, ti sei dimenticato che sei un simulacro, al massimo puoi portare con te l’immagine olografica del talismano, vuol dire che lo terrò da parte, potrai averlo quando riuscirai a venir qui di persona, se ci riuscirai.

-         Te l’ho detto, sono un programma, ma la mia definizione è densa, come la tua d’altronde; posso prenderlo ora, e ti ringrazio.

Ciò detto, afferrò il velvet e con esso si dissolse lasciando la donna del fiume completamente perplessa.

Era passato più di un mese da quell’assurdo ed enigmatico incontro e la donna del fiume era tornata alle sue consuete abitudini. Ascoltava le voci del fiume standosene nuda, sdraiata sulla spiaggetta formata dai colorati sassolini, su un telo da bagno azzurro con sopra disegnato un grande sole stilizzato color oro, circondato da sette raggi, e rafforzando anche la sua già evidente abbronzatura integrale, quando dietro di lei avvertì dei passi sulla ghiaia.

Automaticamente si coprì col telo, poi si voltò e con sorpresa rivide il giovane, questa volta interamente vestito di bianco, con un’ombra che nascondeva i lineamenti del suo volto.

-         Sei tornato?

-         Si, sono tornato.

-         Ti è servito il mio velvet?

-         Non ha funzionato.

-         Perché sei qui?

-         Perché sei bella, donna del fiume.

-         Nessuno mi ha mai fatto la corte, non sei qui per questo.

-         Togli il telo, voglio vederti bene.

-         Così va meglio?

-         Non mi ero sbagliato, sei bellissima. Vuoi venire con me nella sequenza dove mi trovo? Forse potrai aiutarmi ed usciremo insieme.

-         In quel doppione del mondo ove sei intrappolato?

-         Sì, e le belle donne lì si trovano bene, vedrai sarà un’esperienza interessante.

-         Prima di decidere voglio vedere il tuo volto, riesco solo ad intravederlo tra le ombre.

-         Te lo faccio vedere, ma solo per qualche istante.

-         Sei bellissimo sembri una stella del sistim!

-         Anche tu sei bellissima, sembri una dea.

-         E’ da troppo tempo che faccio l’oracolo, forse una vacanza mi farà bene, vado a vestirmi e verrò con te.

-         No, vai bene così come sei, dove andiamo anche se sei nuda non sorprenderai nessuno, è un posto strano, là ciò che vuoi si realizza subito dopo.

-         Una trappola veramente dorata. Ha un nome questo posto?

-         Sì, Hurruh.

Si presero per mano ed entrambi lentamente svanirono. Sulla spiaggetta formata da una miriade di piccoli sassi colorati rimase solo un telo da bagno azzurro con su disegnato un sole in oro con sette raggi ed una lattina in parte ossidata di cocacola che la donna del fiume aveva raccolto dalle acque.

L’acqua corrente trai sassi accelerò il proprio sciabordio riflettendo i colori del sole che si dividevano in piccoli arabescati arcobaleni come se qualcuno più a monte avesse nuovamente versato della benzina nel limpido corso del fiume.

Il computer centrale, avvertendo l’assenza della donna del fiume, chiuse automaticamente ogni accesso, sbarrò l’entrata della grotta e mise in stand bye se stesso ed ogni servomeccanismo della dimora.