- vittorio baccelli - i racconti -

- da "eclisse", inedito -

 

IL PRINCIPE D’ARCADIA

 

Peppone Taglianastri detto Il Denuncia, Re Nudo detto Reno e Re Travicello detto Trave e Cita in gioventù, erano tutti e tre seduti davanti ad un tavolo di legno nel giardino di un bar di campagna. Il tavolo era piazzato nel bel mezzo di un pergolato e loro tre erano gli unici avventori in quel pomeriggio afoso. Dal giardino del bar s’intravedevano alte montagne e su quelle il castello del padrone, da un torricino del quale sventolava una rossa bandiera. Un elicottero intanto svolazzava su e giù senza posa.

Il Denuncia – Siamo qui riuniti per far mente locale, sempre che ci riesca, su la conduzione di questo feudo che il nostro lungimirante Padrone ci ha assegnato.

Reno – Ma colui che ce l’ha assegnato ci ha dato carta bianca.

Trave – Carta bianca un corno! Ci ha lasciato delle disposizioni ben precise e noi le abbiamo seguite alla lettera.

Il Denuncia – Si, ma i villici sono scontenti, ci lanciano invettive, diffondono poesie satiriche, cambiano i nomi alle piazze, eppure non abbiamo fatto altro che offrire loro una festa dopo l’altra.

Reno – Oltre alle feste abbiamo anche fornito spettacoli e commemorazioni a raffica, non meritano proprio nulla questi villani.

Trave – Abbiamo promesso anche ponti, fabbriche, aziende, parcheggi e strade, ma allora perché sono sempre più scontenti di noi?

Il Denuncia – Perché tutti sanno che abbiamo un Padrone e che è stato il manipolo dei Leoni a darci il feudo ed anche questo Padrone piace sempre meno alla gente.

Reno – La gente, la gente, questo popolino, che palle!!

Trave – Anche il Padrone è scontento di noi, voleva che tenessimo buoni i villici, ma questi continuano a ribellarsi.

Il Denuncia – Inventiamo una tassa nuova, così avranno altro da pensare.

Reno – Facciamo mente locale, l’opposizione è sempre più forte e ci attacca in tutti i modi, eppure avevamo fatto di tutto perché non esistesse. Avevamo riempito le loro liste di nostri amici ed avevamo fatto andare in prima fila gli stupidi. Ma non ha funzionato.

Trave – Vincere è stato semplice con l’appoggio del Padrone e dei suoi servi, erano poi con noi le squadracce dei Leoni ed i bravi Muratori. Dopo è cominciato il casino, gli stupidi si sono dimostrati molto più svegli del previsto ed invece i nostri amici che facevano finta di sostenerli si sono, loro si, comportati da stupidi, e sono stati tutti facilmente smascherati ed allontanati.

Il Denuncia – E così l’opposizione fasulla di sua maestà è andata a farsi fottere, ed ora che facciamo?

Reno – Ci chiamano massoni, ebrei e comunisti, non ne posso più, io direi di dimetterci.

Trave – Io invece sono per chiamare gli armigeri e sospendere ogni garanzia democratica.

Il Denuncia – Ma no, torniamocene a casa, nella città murata ed occupiamoci d’altre cose.

Reno – Perché non rilanciamo le feste?

Trave – Ci sarebbe un’altra soluzione, accordiamoci con l’opposizione, gli diamo qualche misera briciola, così crederanno d’aver ottenuto mari e monti e poi li gestiamo come ci pare

Pur essendo solo in tre, le posizioni, come abbiamo sentito, erano almeno sette o otto ed ognuna in contrasto con l’altra ed inconciliabili. Quando la dialettica è così incasinata è ovvio che ognuno alza la voce più forte dell’altro per dar più forza al torto dell’altro ed anche per contraddire quanto sostenuto un attimo prima.

Così i nostri tre iniziarono a litigare a voce sempre più grossa e volarono anche offese grosse. Reno s’alzò di scatto imprecando contro tutto e tutti, il tavolo si rovesciò e con esso il fiasco ed i bicchieri colmi di vino rosso. Gli insulti divennero sempre più pesanti “stupido ebreo!” “comunista mentecatto!” “massone di merda!” E dopo gli insulti passarono alle vie di fatto. Chi scagliasse il primo pugno, non è facile dirlo tanta era la confusione che regnava trai tre. La rissa proseguì a lungo, il tavolo e le sedie si ruppero in mille pezzi.

Mente i tre si rotolavano in terra nella zuffa, l’oste sulla porta, con le mani trai capelli guardava disperato ed impotente la meschina scena.

Fu a quel punto che indispettito apparve il Padrone – Fatela finita imbecilli, anzi falla finita imbecille, non ti rendi neppure conto che sei schizzato, rimetti assieme le tue personalità e comportati decorosamente, in modo conforme al tuo ruolo: se no ti caccio!

E lui, uno e trino, di malavoglia si ricompose, si rassettò l’abito, si raddrizzò la cravatta, raccolse da terra il telefonino dalla cui suoneria usciva digitalizzata “la cavalcata delle Valchirie”, prese anche la borsa di pelle e radunò i documenti spiegazzati che erano sparsi in giardino.

Si dette poi una lucidata alle scarpe strofinandole sui calzoni, salutò con un cenno prima il Padrone e poi l’oste e senza pagare, dondolando, s’avviò verso il palazzo del governo mormorando – Sono un extraparlamentare, io -

Alcuni villici che da dietro la siepe avevano osservato tutta la scena, si gettarono in terra scompisciandosi dalle risate.