- vittorio baccelli - racconti - da eclisse -

STREGHE

 

Ovviamente nessuno crede più alle streghe, ma alcuni fatti sono inspiegabili e negli anni settanta a Lucca successero cose strane. Si sentiva parlare di una donna della quale tutti a Roma ne avevano paura. Quando lei arrivava, tutti se la davano a gambe levate. Anche il suo nome era tabù, nessuno osava pronunziarlo. Questa io non l’ho conosciuta se non nei racconti degli amici che nella capitale l’avevano incontrata, ma oltre ai resoconti dei malcapitati, ho poi seguito le sue disavventure sulla stampa. Più che le sue disavventure, direi, quelle di coloro che le sono stati vicini. I fatti sono troppo recenti e controversi, perciò mi limiterò ad accennarli e qualcuno forse riuscirà a comprendere di chi e di cosa sto parlando. Ci sono anche dei morti in questa storia. Il primo cadde da una finestra, o fu buttato da quella finestra, il secondo fu morto ammazzato con arma da fuoco. Intorno a queste storie, un panorama politico, quanto mai torbido, un governo che perpetuava se stesso inventando gli opposti estremismi. Giovani e poliziotti che in buona fede morivano per ideali strumentali o per lavoro. Un pentito forse inaffidabile, ex comunisti che volevano vendicarsi di chi per anni li aveva messi alla berlina: anni di galera e di condanne. E lei lì, la strega, nascosta dietro alle notizie ed alle rivelazioni.

Una sua amica, Elena, era di Firenze e venne a Lucca con il suo ragazzo pittore. A Firenze bazzicava le case e gli studi degli artisti, le case occupate ed i centri più o meno sociali: quando lei arrivava c’era un fuggi fuggi generale. Si piazzò a casa di Elio e lì rimase per giorni. Elio non riusciva ad uscire di casa, c’era come un blocco all’ingresso e lui non poteva superarlo. Il pittore disegnava, o meglio non disegnava, se ne stava con il pennello davanti alla tela quasi bianca ed ogni tanto ripassava qualche riga. Il pittore non parlava, in una settimana che stette a Lucca non ricordo d’avergli mai sentito pronunciare una sola parola. E lei teneva fermo Elio, fece ad uno ad uno venire tutti gli amici del padrone di casa ed ad ognuno di loro fece qualcosa: chi scappò spaventato, che ebbe sogni da incubo, chi fu costretto a compiere azioni che non avrebbe mai fatto, chi ebbe visioni. Intanto il pittore disegnava, anzi faceva finta di disegnare, secondo me si concentrava ed era lui quello che guidava i giochi. Niente morti con Elena, ma situazioni spiacevoli, sì. Tentai di portar fuori di casa Elio, dato che da quattro giorni non si muoveva da lì, ma non ci riuscii. Allora iniziai a tormentare il pittore, cercando di distrarlo, ma non ci fu niente da fare. Così me la presi con Elena, le visioni che lei mi mandava, riuscivo a discioglierle, e la sfidavo a continuare con me. Capii il trucco, se intensamente pensavo ad un serpente che le si avvicinava, lei lo vedeva. Cominciai allora a bersagliarla di palle di pietra, finché lei non mi disse di smetterla. “Lascia andare Elio, le dissi, e poi smetto”. “Va bene, ora dorme, quando si sveglierà sarà libero”. Poi mi chiese di accompagnarla nel mio studio, che poi non era mio, era lo Studio 21, di quello ne ho già parlato. L’accompagnai, lei mi offrì un caffè al bar Pera, salimmo. Accese il giradischi, cominciò a frugare tra le carte ed i disegni, poi si sdraiò su un divano trai cuscini. Io l’osservai attentamente, tutto sommato non era mica male, e cominciai a baciarla. Lei si sfilò la maglietta e restò a seni scoperti, poi allargò le gambe e si sbottonò la lunga sottana che portava. Rimasi inorridito, tra le gambe vidi indescrivibili pustole di color violaceo. Subito le richiusi la gonna, mentre lei rideva

come una matta. E tra le risate, mi disse: ” vuoi ancora fare l’amore?”

Non ci penso neanche, le risposi mentre la stavo rivestendo. “Sai Vittorio, mi sei simpatico, disse lei, lo sai che ci rivedremo la prossima volta che verrai a Firenze?”

La lasciai nello studio e me ne andai verso piazza San Michele. Mentre mi fumavo una sigaretta seduto sugli scalini della chiesa, vidi Maurone che mi si avvicinò. “Stanotte non ho chiuso occhio, sono sicuro che non ho mai dormito, anche se l’atmosfera era quella del sogno: ero nudo qui in piazza San Michele, fortunatamente era notte ed i passanti radi. Mi nascondevo e volevo tornarmene quanto prima a casa, ma soprattutto non volevo farmi vedere nudo da nessuno. Proprio qui in piazza mi scappa una cagata di quelle impossibili da trattenere, ed allora mi accuccio, là dietro l’angolo della chiesa, sperando che nessuno mi veda. E mentre sono lì che la faccio, guardo gli stronzi e sono bianco latte. Mi preoccupa quel colore, ma mi sento osservato ed alzo gli occhi, davanti a me un enorme cane bianco mi osserva. Inizia a ringhiare molto silenziosamente, ed io allora me la dò a gambe levate, giro l’angolo della piazza e mi trovo davanti la strega. L’avevo appena fatta, altrimenti me la sarei fatta addosso, corro più veloce che posso a casa mia e mi butto sotto le coperte senza neppure fare la doccia”.

Ed io gli rispondo: “Mauro ma che dici, non hai la doccia a casa, non ti ricordi, quando vuoi farla vieni a casa mia”. E lui se ne va borbottando: “Ma va a cagare pure tu”.

Circa un anno dopo tornai a Firenze con degli amici. Appena uscito dall’auto, davanti al bar Fappani, mi sento tirare per la manica della giacca: - Te l’avevo detto che ci saremmo rivisti! – e la strega se ne va ridendo.

 

75– Scoprii un palazzo la cui porta era aperta e mi ci presentai. Numerosi valletti s’avvicinarono e mi dissero che erano pronti a darmi tutto quello che avessi desiderato. Risposi asciutto che desideravo solo riposo. Mi risposero che era impossibile trovarlo nel paese in cui viaggiavo e mi tennero discorsi tali che quasi mi pentii d’esser entrato in quel labirinto.

76– Non tardò a presentarsi il padrone di casa, che mi interrogò sui casi miei. Dopo alcune domande necessarie, mi condusse in una camera nella quale vidi immensi tesori.

77– Colpito dalla quantità d’oro che era la dentro ebbi la debolezza di desiderarne una parte, ma non avevo neppur finito di formulare entro di me il desiderio, che oro, valletti, padrone, palazzo, tutto scomparve.

78– A questo magico sconvolgimento seguì un involontario cambiamento in tutta la mia persona, e l’emozione fu ancor più profonda perché non vi ero preparato. Tutto il mio essere fu agitato dalla meraviglia, dalla paura e dal terrore. Per questi moti diversi, le penne che mi ero infilato nei capelli, caddero e non appena toccarono la terra si mutarono in enormi colonne. Ce n’erano nove ed erano così disposte che io mi trovavo così racchiuso da non poterne uscire.

79– Queste colonne erano coperte d’iscrizioni, vi lessi cose meravigliose ed appresi grandi verità. Benedissi colui che operava per il beneficio della mia istruzione.

 

80– Una sola iscrizione mi riuscì illeggibile, la lessi e la rilessi senza comprenderla. Ebbene, gli sforzi che feci allora per trovarne il senso erano del tutto inutili, perché dovevo ancora conoscere altri misteri prima d’entrare nel numero degli eletti.

81– Il tempo che dovevo passare in mezzo a quelle colonne era fissato. Avevo troppo da meditare per lamentarmi della mia cattività. Un giorno l’aurora apparve più brillante del solito, il calore dell’aria era più forte, le colonne non poterono sopportare il calore dei raggi del sole e come il ghiaccio si fonde quando finisce l'inverno, così disparve la mia prigione e fui libero.

82– Dalla lettura delle iscrizioni di cui prima ho detto sapevo ormai quale strada dovevo prendere. Rivolsi i miei passi verso l’oriente.

83– Tre passi avanti, altri di fianco, qualcuno indietro: ecco il mio cammino.

84– Caddi e mi rialzai. Perseverai ed arrivai.

85 - Credetti d’esser giunto al limite dell’universo. Scorsi una piccola volta che mi rivelò un paese brillante. Mi curvai per guardare sotto l’arco: dopo che vidi, morii dalla voglia di passare.

86– Una mano invisibile mi mise una benda sugli occhi ma io mi abbassai e passai sotto la volta.

87– Compiuto il tragitto, la benda cadde e mi vidi al fianco il fanciullo regale che mi aveva fatto da guida. Egli stava alla mia destra. Alla mia sinistra c’era il re che avevo visto uccidere qualche tempo prima.

88– SILENZIO! Mi ordinarono i due assistenti quando accennai ad aprir bocca per attestare la mia gioia di ritrovarmi tra loro. Mi confermai quindi al loro andare senza far parola.

89– Arrivammo al recinto ove si è in condizione di vedere più da vicino la pietra aurea circolare della tavola rotonda con i segni del sole e dei sei pianeti, disposti tre per parte. Le mie guide ruppero il silenzio per tenermi una lezione a questo riguardo. Non avevo ancora visto la luna così da vicino.

90– Il re mi insegnò la scienza dei numeri, calcolammo il numero tre: appresi il sette e trovai il nove.

91– Mi insegnò poi il numero del compasso, così tentai di misurare le dodici figure dello zodiaco. Il mondo planetario non ebbe più alcun segreto, poiché il tempo della prima operazione era ormai venuto.