L’ALFABETO DI HAUM

 

92– Presi in mano la sfera armillare e frugai tra gli astri onde perfezionare la grande opera.

93– Compii grandi sforzi per aprire il libro: balenò un lampo, scoppiò la folgore, il libro si aprì. Capolavoro dell’intelligenza celeste, questo libro non conteneva per me altro che enigmi, ma io avevo già tanto veduto che i miei occhi furono ben presto in grado di toccare la verità, per quanto essa fosse nascosta nel labirinto dei geroglifici.

94– Scoprii il segreto e la saggezza del più grande dei re. Le lingue antiche mi divennero familiari, arrossii dell’errore in cui ero stato fino ad allora.

95– Passai alcuni anni nello studio e nel silenzio. La regina mi aveva lasciato. Era tempo di tornare alla pratica, ma mi occorreva qualcosa di più per poter tornare al laboratorio senza rischiare la vita.

96– Il giorno si nascose ed io ebbi paura. La regina mi prese per mano e guidò i miei passi verso una grossa pietra sulla quale era posata una lampada che emanava un debole bagliore.

97– Accanto alla lampada c’era una coppa vuota. Presi la lampada e la coppa e percorsi i pochi passi occorrenti per giungere ad una fontana e tenni la lampada per dirigere i miei passi malsicuri.

98– Mi apparve un vasto bacino pieno di un liquido che non era acqua, perché brillante come l’argento. La regina mi gettò nel bacino.

99– Là rimasi tre giorni. La lampada si consumò, ma non avevo sofferto alcun male. All’uscire dal bagno presi la strada per il laboratorio. Il giorno ricomparve in tutto il suo splendore. Non dovevo più rivedere le tracce del padre delle tenebre.

100– Entrando nel laboratorio, vidi con rammarico che il fuoco s’era spento e che l’operazione era appena iniziata. Marte non era affatto apparso, Giove era ancora intatto, Venere era libera, e così via. Rimisi del carbone nel fornello. Il crogiolo ridivenne rosso e mi disposi a terminare l’opera.

101– Occorreva che io stesso subissi la prova delle prove. Passai in un salone ove alcuni ciclopi davano agli eletti quelli che bisogna chiamare “bagni di fuoco”. Tutto era pronto.

102– Fui messo in quell’elemento liquido e distruttore. Tutto il mio essere sembrava prendere un’altra forma. Non mi rimase della spoglia materiale se non quello che occorre per essere detto uomo.

103– Non ero più lo stesso: rientrai nel laboratorio, le sostanze si unirono e si separarono a seconda della mia volontà. Apparve il rosso, il verde lo distrusse, il bianco trionfò. Il rosso ritornò a mio piacimento. Per me la natura non ebbe più alcuna officina segreta.

104– Ecco ciò che vidi e che feci, e che ogni uomo laborioso e costante può ripetere. Si troveranno sentieri come io li ho trovati, anche nei luoghi più selvaggi.

105– Colui che mi ha guidato nei miei lavori, mi ha lasciato la scelta d’istruire i miei simili o di godere tutto solo il frutto delle mie veglie. Ho preferito la prima soluzione. Non ho potuto farlo tuttavia che sotto condizioni più o meno note. Ma queste condizioni possono arrestare solo l’uomo poco abituato alla ricerca delle grandi cose. Ho fatto tutti i miei sforzi per farmi capire, per comprendermi ne basteranno ben pochi.

 

Termina qui l’ingiallito dattiloscritto rinvenuto in uno degli scatoloni salvati dal naufragio della mia zattera, che ha navigato per tutti i tempi dell’Atlantide sui tetti della mia città, colma di storie e di ricordi. Mi soffermo ancora sul contenuto di questi fogli scritti con la mia vecchia macchina da scrivere, ripenso perplesso a questo viaggio nella conoscenza, alla regina che sbuca dal nulla. Mi sembra d’aver letto questi fogli per la prima volta e voglio approfondirne il contenuto. Ma intanto mi prende l’odore che si diffonde in questa stanza ove ho accatastato le mie cose. Un profumo di carta antica e d’incenso, di polveri e di tabacco. L’odore mi rimanda a quello che fu lo studio 21, quella sera che piantai un chiodo alla parete per appendere un quadro, e fui colto da un violento spruzzo d’acqua: avevo centrato le tubature. Quando dopo una notte di nenie, afferrai un martello e colpii la bombola del gas con tutte le mie forze, saranno state le quattro di mattino e la vibrazione del rintocco sembrò a tutti quella di mille campanili e l’eco durò per un tempo interminabile. Poi vi furono minuti di silenzio totale, come se l’esistente si fosse per quegli attimi arrestato, interdetto. E dopo il silenzio il caos: miagolio di gatti, latrato di cani, gemiti di bambini, rombo di motori. Anche il piccolo licantropo che abitava poco lontano prese ad ululare. Ma che hai fatto? mi chiese Iselda, ed io non seppi risponderle. Lo studio 21, quella sera che aprii la porta e lo trovai pieno di capelloni tedeschi che dormivano a strati. Anche Daniel Cohn Bendit, detto Daniel il rosso, lì dormì una notte, era a Carrara al convegno degli anarchici. Daniel, Yndio e Cosetta, la strega di Firenze, Assuero ed il Francese che lì s’inchiappettarono davanti a noi che si cenava, ed ora anche quei mucchi di tedeschi, pensai che lo studio era divenuto troppo affollato, forse era ora di cambiare aria. Già il Francese, non ho mai conosciuto il suo vero nome, tutti lo chiamavano così perché era stato in Francia, a Parigi sulle barricate nel 68. E lui c’era stato davvero, non come il Tepepa che aveva detto a tutti che sarebbe partito per un reportage nel Viet Nam in guerra, ed invece se ne stette un mese rintanato nella propria soffitta.

Quello scritto, mio? Un viaggio nel viaggio, penso a qui fogli e la mia mente si riempie di ricordi che pensavo rimossi. Rivivo le vecchie situazioni e sento palpabili quei fili, forse oggi interrotti (o forse no) che collegavano il gruppo d’amici di allora: fili sotterranei, ma robusti, che s’estendevano come una rete coinvolgendo sia le storie che le vite e le morti. Oggi con gli occhi del ricordo vedo chiaramente questa rete che ci avviluppava e della quale, ieri, non ne eravamo coscienti.

Una rete che ci legava insieme e che si estendeva sotto la nostra città. Ed i legami, i vincoli, ancora esistono, attraversano lo spazio ed il tempo, collegano i morti ed i vivi, la città sottile a quella reale, e come un caleidoscopio le piazze, le vie, le nostre abitazioni si alternano in un girotondo visuale. Rivedo Elio, Virgilio, Mauro, Marco, Ciccio, Marinella, Giovanna, Luisa, Mariella, Isabella, Rosanna, Iselda, Daniela ed i volti di tutti gli amici che si fondono con la città di Lucca, con i suoi abitanti del passato, quelli famosi che hanno lasciato tracce profonde, Puccini, Boccherini, Nottolini e mille altri, e quelli sconosciuti, che hanno fatto scivolare silenziosa la loro esistenza, qui a Lucca, con le loro nascite, con le loro vite, le loro opere, i loro amori, i dolori e le loro morti, ma queste identità ancora permeano le strade e le case e danno vita alla nostra città.

E tutto ciò, e molto di più, è veramente accaduto nella città dei giardini del tè.