FRAMMENTI

 

Ancora sorprese trai vecchi fogli ingialliti salvati dal naufragio della mia zattera, ho ritrovato parte del manoscritto di quella che fu la mia silloge d’allora “La rosa gialla”,  è riapparsa ed adesso sto tentando di rimetterla in sesto. Ho anche rintracciato alcuni appunti e frammenti, pensieri e racconti dei quali non ricordavo più l’esistenza, l’ho trascritti e li voglio riproporre.

1.(senza titolo)

L’uomo nella sua alba conduceva una vita libera in totale armonia con l’ambiente che lo circondava. Aveva un perfetto rapporto con la natura, ogni oggetto che produceva, ogni atto della propria esistenza coincideva con l’arte: non vi era separazione tra arte e vita.

Poi l’uomo cominciò ad intravedere entità a lui supersistenti che inizialmente identificò col tuono, il terremoto, il sole, la luna, il fuoco, ecc.

Nacque dunque la necessità di avvicinare queste divinità: innalzò dolmen, compose mantra, scolpì totem.

Le divinità che venivano così evocate rimasero però lontane, da questa dicotomia, vicinanza con il medium evocatore, lontananza dalla divinità evocata, nacque la “aura cultuale” che da allora caratterizza ogni opera d’arte di qualunque epoca e di qualsivoglia stile.

L’aura cultuale altro non è che quel “quid” che caratterizza l’arte di cui Kandisky scrive.

Gli sciamani, gli stregoni, i maghi sono stati i primi produttori d’opere d’arte: avevano intrapreso la strada della liberazione dell’uomo attraverso il sacro.

Ma questa strada portò ad un vicolo cieco: la liberazione non avvenne, la realtà risultò sempre più artificialmente frantumata.

Iniziò così il processo opposto, rompere le barriere tra le varie categorie dell’arte, rompere le barriere tra arte e vita – ricostruire cioè la realtà frantumata.

Questo è il compito dell’arte oggi, questa è magia.

2. (senza titolo)

Provvidenza e fortuna sii propizia a me che leggo questi primi misteri da trasmettere al solo figlio cui sarà data l’immortalità, all’iniziato degno di questa nostra forza. Misteri che il gran Sole-Mitra mi comandò a mezzo del suo stesso Arcangelo di trasmettere. Siimi propizia affinché io solo, Aquila, raggiunga il cielo e contempli tutte le cose.

3. NEVICA

Sono appena tornato dalla tipografia di Carrara con l’ultimo numero, quello di gennaio, della Rivolta degli straccioni. In questo numero c’è una poesia di Cino che tenevo da tempo nel cassetto perché volevo pubblicarla, non sul solito ciclostilato, ma a stampa ed in pieno inverno. La poesia s’intitola Nevica e me l’ha data Luisa che l’aveva avuta da Cino: la scrisse mentre, dopo essere stato a trovarla a Ponte all’Ania, stava aspettando il pullman per Lucca ed iniziò a nevicare. Cino morì l’estate successiva in un incidente stradale sull’autostrada mentre stava tornando dall’ultimo Parco Lambro. Voglio, prima che il giornale sia in circolazione, che Elio, fratello di Cino, possa avere la poesia stampata. Trovo Luisa a Lucca, ceniamo da Sergio, poi ci rechiamo in via del Battistero, suono il campanello più volte, ma nessuno risponde. Stiamo per andarcene, quando appoggio incosciamente il palmo sinistro della mano al portone: odo un secco scatto  e la porta si apre, al buio salgo le scale e lascio sotto la porta di Elio una copia del giornale.

NB. Quella porta è sempre sigillata, ricordo che un paio d’anni fa dovevo lasciare un mobile per Elio in loggia. Mi ci volle un sacco di tempo in spiegazioni per convincere la signora del piano di sopra a farmi aprire il portone.

PS. Adesso il portone è quasi sempre aperto, da quel giorno infatti la serratura non scatta più bene.

 4. VW

Ero rimasto senza benzina, così lasciai la mia macchina a Lucca e raggiunsi l’Università di Pisa con l’autostop.

Al ritorno mi misi all’imbocco della Pisa-Lucca e cominciai ad alzare il dito.

Dopo alcune macchine che sfrecciarono via senza neppure notarmi, vidi arrivare una Volkswagen maggiolino, verde come la mia, e che come la mia aveva gli ammortizzatori cigolanti.

Rimasi interdetto perché alla guida vi era un tipo con i capelli lunghi e baffi che ritenni mi somigliasse alquanto.

L’auto mi sfrecciò davanti cigolando ed io rimasi a guardarla a bocca aperta senza aver i coraggio di leggere i numeri di targa.

Da allora faccio un po’ più d’attenzione agli autostoppisti e cerco di montarli anche se ho fretta.

5. IL DIXAN

Nel 69 con Elio, Marinella, Marco ed altri amici avevamo fatto al circolo Salvemini una “Manifestazione Anaoggettuale”. Avevamo presentato oggetti privati della loro funzione, era in pratica una mostra tardo pop art con risultanze dadaiste ed aveva avuto un happening finale.

Ed era arrivato il momento di smontarla, perciò avevamo messo alcuni pezzi, per il trasporto, entro fustini di Dixan.

Mentre li stavamo trasportando entrammo alla Cubana per berci un buon caffè.

Stavamo per uscire, quando vidi Marinella strabuzzare gli occhi stupefatta. Il suo fustino mancava del fondo ed ovviamente i pezzi restavano per terra, mentre il cilindro di cartone pesante s’alzava tranquillamente: ed il fondo non è che si fosse scollato, no, proprio non c’era.

6. IL PONTE DEL DIAVOLO

Si dice che il ponte del Diavolo sia stato costruito in una sola notte da Satana in persona che avrebbe richiesto come ricompensa per l’utile costruzione l’anima del primo che lo avesse attraversato.

Giuliano, fatto poi santo, consigliò ai contadini del posto di far attraversare il ponte per primo ad un maiale. Il consiglio del santo fu seguito e mentre il maiale stava per finire di compiere la traversata, Satana apparve e subito dopo scomparve tra le acque del Serchio emettendo vapori ed urla irate che terrorizzarono la gran folla di contadini presenti: ma al Diavolo non rimase altro che andarsene, stavolta con le pive nel sacco.

Passarono i secoli e nel 1975, in occasione della festa venticinquennale in onore del Crocifisso, si decide di far attraversare il ponte del Diavolo alla processione.

Quando il sacro corteo s’avvicina al ponte, nere nubi gravide di pioggia cominciano ad oscurare minacciosamente il cielo. I fedeli iniziano a salire: scoppiano i primi tuoni.

Nell’istante in cui il sacerdote giunto sul punto più alto dell’arcata maggiore solleva il crocifisso rivolto verso il Borgo in segno di benedizione, scocca una saetta più forte e più vicina delle altre e l’acqua inizia a cadere  dal plumbeo cielo a rovesci.

Sopra il paese, trai monti, ove sorge la villa di Catureglio, che fu di Lucida Mansi, sinistri bagliori violacei si susseguono l’un l’altro, senza tregua.

7. LO STUDIO 21

Fu Marco ad affittare in via Santa Croce lo studio che poi divise con me, Elio ed altri amici saltuari. Uno di questi fu Tonino il Milite che fu espulso quando lo trovai a farsi la barba usando la mia tazza per il cioccolato mattutino. Un altro, fu un tipo del Ponte che era pieno di soldi, ma si portava sempre appresso gente strana  ed oltre tutto riuscì a spezzare la chiave nella serratura.

E che dire di Leo che una mattina scappò a gambe levate perché, disse, gli oggetti nella stanza cominciarono a girargli intorno.

Noi lì facevamo politica (era l’autunno caldo), fumavamo erba, facevamo l’amore ed ogni tanto assistevamo a cose strane.

Quando una sera nominammo una nostra amica che si era suicidata a Parigi, le luci si spensero più volte. Un giorno piantai un chiodo nella parete per appendere un quadro e fui colpito da un violento getto d’acqua: avevo centrato un tubo.

Poi capitò una strega e successivamente fummo invasi  da capelloni olandesi.

Alla fine sembrò che tutti i randagi del mondo si fossero dato appuntamento da noi. Fu allora che disdicemmo il contratto d’affitto.

8.BRUNO E GIULIO

Bruno una sera volle che gli facessi i tarocchi, poiché doveva a giorni laurearsi in farmacia: era curioso, non tanto di sapere come gli sarebbe andata, ma piuttosto di confrontare  quello che gli avrei detto con ciò che nella realtà sarebbe successo.

Gli dissi che gli scritti sarebbero andati molto bene, ugualmente la prova orale, ma che nell’esercitazione pratica avrebbe sbagliato, ma sarebbe andato tutto bene ugualmente.

Bruno mi rispose che era impossibile: l’esercitazione pratica consisteva in una reazione chimica da eseguire e se l’avesse sbagliata non avrebbe potuto conseguire la laurea.

Poi fu Giulio a farsi fare i tarocchi, così in generale, per vedere un po’ cosa il futuro preparava per lui. Ma Giulio, come sua abitudine, cominciò a pormi le domande più strane ed io rispondevo leggendo le carte: era un giorno  che ero particolarmente in palla e vidi chiaramente che avrebbe conosciuto Allen Ginsberg: glielo dissi.

A quel punto Giulio mi guardò e lessi nei suoi occhi “il Baccelli è proprio fatto, stasera”.

Bruno sbagliò la reazione chimica, ma non se ne accorsero e si laureò brillantemente, un suo compagno di studi che aveva commesso lo stesso errore conseguì la laurea l’anno successivo.

Tempo fa venne Giulio a trovarmi “Sai, ieri l’altro ero a Roma e sono voluto venir via subito da te per dirtelo. A Castel Porziano c’era il Festival dei poeti, entro in un bar, e chi trovo? Allen Ginsberg, proprio lui in persona! Mi ci metto subito a parlare, insomma per fartela breve ho passato tutta la notte assieme a lui, a chiaccherare e a bere birra. E pensare che quando me lo dicesti pensai che stavi proprio esagerando, quella sera!”

9. LA STREGA  

La trovai nello studio che dormiva, era sotto la mia coperta preferita e le spuntavano solo lunghi capelli neri. Alzai la coperta per vedere chi fosse.

Era nuda, aprì gli occhi e mi sorrise, seguitai a tenere la coperta  alzata, era una bella ragazza, ma quando guardai le gambe, su una vi era un’orribile escrescenza rosa.

“E’ solo una ciste” disse lei. La ricoprii e fu così che iniziammo a parlare.

Elio l’aveva conosciuta per caso e l’aveva portata lì a dormire, era di Firenze ed era venuta con un suo amico pittore che adesso s’era fermato a dormire da qualche altra parte.

Per alcuni giorni non vidi più né lei, né Elio, così decisi di recarmi allo studio di Elio per vedere se fossero lì.

Trovai Elio terrorizzato, lei che rideva ed il suo amico pittore che in trance disegnava appoggiato ad una parete nella stanza accanto.

Sul divano dell’ingresso c’era Cespuglio, un nostro amico di Barbonia City che faceva la spola sempre Milano- Lucca, che sembrava dormisse.

Lei ed il pittore capii che lavoravano in coppia: lui forniva l’energia e lei operava…pensava cose ed Elio le vedeva come reali.

Da tre giorni teneva Elio e Cespuglio chiusi lì dentro: cominciai ad immaginare dei serpenti e glieli scagliai contro…cominciò ad urlare.

Allora le chiesi spiegazione di quello che stavano facendo, “Voglio fare l’amore con te” mi rispose, “non ci penso nemmeno” replicai”, “non ho cisti, te la sei solo immaginata” disse scoprendo gambe ben fatte ed aggiungendo “ Farai l’amore con me, stai tranquillo”

“Voglio insegnarti qualcosa” aggiunse e mi spiegò come si possa far provare dolore a distanza con un oggetto qualsiasi o con degli spilli. Ero incuriosito e provai su Cespuglio, che capii non stava dormendo, ma era in trance.

Presi uno spillo ed una scatola di cerini, infilai lo spillo nella scatola, mi concentrai sulla mano destra di Cespuglio che cominciò a far smorfie di dolore afferrandosi la mano…provai poi col piede, stessa reazione.

“Sì, grazie, funziona, ma a me queste cose non interessano”

“Smetti pure di preoccuparti, oggi partiamo, ma senti un po’ Barabba come sta, e aggiunse, quando verrai a Firenze la prima persona che incontrerai sarò io”.

Detto questo, lei ed il pittore, che mai aveva detto una parola, presero le loro cose e se ne andarono.

Elio e Cespuglio non riuscivano a ricordare nulla degli ultimi tre giorni. Barabba in quel momento era innamorato della ragazza di Cespuglio, la tipa di Firenze gli aveva fatto credere che lui aveva avuto una notte di fuoco e d’amore con la ragazza di Cespuglio, ma quando lei lo incontrò gli disse che era pazzo, che aveva le visioni e che s’inventava le cose.

Un mio amico di Firenze mi raccontò che questi due erano ben conosciuti nella sua città e tutti se ne stavano alla larga perché si divertivano a combinare un sacco di casini, lei la chiamavano la Strega.

Un mese dopo mi sognai che facevo l’amore con la Strega, a casa sua e in un grande acquaio da cucina, di quelli antichi in pietra. Ricordo anche che sopra l’acquaio v’era un’enorme finestra.

Quando ritrovai il mio amico di Firenze, gli chiesi se fosse mai stato in casa della Strega, lui mi disse di si, che era una casa vecchissima e stranissima, la stanza più inquietante era la cucina, con un enorme acquaio in pietra e sopra una grande finestra…

Un anno dopo mi recai a Firenze per andare a prendere Marzan, critico d’arte de La Nazione che doveva tenere una conferenza dopo l’happening nella “Manifestazione anaoggettuale” che avevamo organizzato al circolo Salvemini di Lucca.

Appena sceso dal taxi in piazza della Signoria, mi sento tirare per la camicia, mi volto e vedo la strega in perfetta tenuta hippy che mi sorride e fa “Ciao” e se ne va.

 

(Di questo episodio ho scritto a memoria qualche mese fa e se siete arrivati a questo punto del libro, probabilmente lo avrete già letto. Noterete che vi sono molte diversità rispetto a questo testo. La nostra mente modifica i ricordi?Sembrerebbe proprio di si.)