-         vittorio baccelli – i racconti – eclisse

 

 

VILLA BOTTINI A LUCCA

 

1977 – No, non è possibile, ma mi è sembrata proprio lei, la ragazza bionda che avevo incontrato nel ’74 ad Urbino proprio nel castello di Re Federico, mentre curiosavo nei torricini che venivano in quei giorni restaurati. C’era un cantiere ed il castello era praticamente aperto a tutti.

L’avevo poi cercata un po’ dovunque, m’aveva detto che abitava a Bologna e che si trovava qui ad Urbino, come me, per seguire i corsi universitari estivi.

Ma dopo quel giorno non l’avevo più rivista, e neppure a Bologna ero riuscito a rintracciarla.

Quella ragazza e le ore del pomeriggio trascorse con lei erano rimaste indelebilmente fisse nella mia memoria.

Somigliava moltissimo alla donna di un ritratto visto in una importante galleria, gli Uffizi? Ma non sono mai riuscito a rintracciarlo.

 Avevo anche scritto su di lei vari racconti, pubblicati tra l’altro da qualche parte, ma dove?

Nel ’77 sono in Villa Bottini a Lucca che a quel tempo era occupata da un gruppo di giovani, scendendo dall’altana scorgo una figura femminile entrare nella stanza degli armadi, le vado dietro, entro di corsa, ma non c’è più nessuno.

Forse sono stanco, forse la vista e l’immaginazione mi stanno combinando dei brutti scherzi. Scendo al piano nobile, la vedo….è proprio lei, davanti alla porta, sta per uscire in giardino, si volta, mi sorride, esce.

Resto un attimo immobile, mentre una miriade di pensieri attraversa la mia mente, poi mi riscuoto, attraverso di corsa il salone, le urlo: “Aspettami!”

Fuori non c’è più nessuno.

1990 – Villa Bottini ormai è da tempo restaurata, la Regione l’ha acquistata, ha compiuto i lavori e ora l’ha affittata al Comune.

Più volte ho pensato a lei ed ho anche scritto su questa ragazza che mi ha profondamente colpito. All’inizio ho fatto un po’ di confusione, ho pensato di riconoscerla in una ragazza di Arni della quale mi aveva parlato Assuero, ma col tempo sono riuscito a fare chiarezza.

Adesso ricordo anche il suo nome “Elisabetta”. Sembra che di lei abbia memorie antiche, si dice che talvolta le vite precedenti compaiano nella realtà presente, sarà vero? Chi può con esattezza dirlo?

Sono nel giardino della Villa e penso a lei, come tante altre volte in questi anni, ed ecco all’improvviso lei appare, fresca, raggiante come quando la conobbi ad Urbino, reale e vivida come i ricordi nella mia memoria. Si siede accanto a me ed io sussurro “Elisabetta, ti amo, ti ho sempre amato” La scena si svolge al rallentatore, irreale come un sogno e lei mi fa “Anch’io”

Le stringo le mani, la guardo a lungo negli occhi, infine nascosti da una folta siepe i nostri corpi s’intrecciano, le nostre labbra si cercano, la Villa sembra proteggere il nostro amore sconfinato, esistiamo solo noi due, fuori del tempo, fuori del mondo.

Il sole è ormai al tramonto quando ci rivestiamo.

“Tornerò amore, tornerò nei tuoi sogni, oltre il tempo, oltre la vita”

Vorrei ribattere, vorrei fermarla, ma resto immobile mentre lei se ne va, è come se fossi inchiodato in quel posto, quando infine riprendo l’uso del mio corpo e riesco a muovermi, lei ormai è svanita nel nulla. Corro per il giardino, guardo ovunque: nessuna traccia.

2000 – Tra il verde, attorno alla Villa, vibra ancora la sua presenza, e come sempre ritorno, mi siedo sulle panchine o sui gradini d’ingresso, chiudo gli occhi e la sento accanto a me, vicina, tangibile, concreta, unico mio amore, unica mia amata, dall’inizio alla fine dei tempi.

DOCUMENTA – L’ingresso principale di Villa Buonvisi, poi Motroni, Andreozzi e Bottini, Marcheschi, si trova di fronte alla chiesa della Santissima Trinità. La villa che da tutti è conosciuta come Villa Bottini, fu edificata nel 1566 da un ramo della famiglia Buonvisi, una famiglia tra le più ricche e più potenti della Lucca d’allora. Fu edificata su un grande spazio verde libero, il pur vastissimo parco, conservato a tutt’oggi, rappresenta solo una piccola parte del verde che era attorno alla Villa. La costruzione fu opera d’architetti sicuramente d’ottima scuola e d’indubbia personalità che tennero conto anche in maniera originale delle soluzioni romaniche. Sulle loro identità molto si è discusso, ma non si conoscono con certezza i loro nomi. La Villa, prototipo delle ville lucchesi del ‘600 è di linea molto semplice con una grande vetrata sulla facciata del piano nobile e con scalinate sul davanti e sul dietro. Il parco con giardino, originariamente all’italiana, successivamente alla francese, termina con un ninfeo attribuito al Giambologna, s’affaccia con un mirabile portale a giorno su via Elisa a sud ed è cinto da un muro plasticamente ritmato da finestre a giorno e portali d’eccellente fattura lungo via del Fosso a ovest e via Santa Chiara ad est. Sembra che il Civitali ed il Buontalenti siano stati gli ideatori delle finestre e dei portali del muro di cinta. Gli architetti dell’epoca affrontarono e risolsero con gran maestria e squisitezza formale il problema dell’inserimento di questa grande villa con il suo vasto parco nel contesto urbano del paesaggio lucchese. La Villa infatti mai contrastò con l’habitat circostante grazie alla sensibilità apertissima alla percezione dei valori urbanistici ed ambientali ed alle armoniche soluzioni plastiche degli ideatori. La loggia e le scale conservano gli affreschi di Ventura Salimbeni eseguiti dopo il 1593. L’occupazione dei giovani del ’77 salvò la Villa dal degrado imponendo l’acquisizione dell’immobile da parte della Regione Toscana ed il successivo restauro. Oggi la Villa è affittata al Comune e restituita alla cittadinanza.

LE LEGGENDE – Una storia popolare, nata alla fine del XVI secolo, racconta che nelle notti di ogni primo di giugno appaiono sia all’interno della Villa, che nel suo parco, una coppia di fantasmi. Sono i fantasmi di Massimiliano Arnolfini e della sua amante Lucrezia Malpigli, che un primo di giugno fecero uccidere all’interno della Villa, da sicari prezzolati, il nobile lucchese Lelio Buonvisi. I due mandanti furono allora scoperti e condannati, il primo morì in carcere, la seconda in un convento di clausura. Un affresco presente in Villa raffigurante Andromeda incatenata che assiste alla lotta di Perseo, ricorda simbolicamente questa leggenda. Si narra inoltre che il fantasma di Lelio Buonvisi sia apparso più volte, anche recentemente, nella sua villa di Camigliano.

Un’altra storia popolare è legata ad un fantomatico tesoro che dovrebbe esser nascosto o nel parco o nei sotterranei della Villa. Il tesoro dovrebbe esser costituito da una chioccia con i pulcini, tutti d’oro massiccio e tempestati di pietre preziose. Si racconta in città che a mantenere in vita questa leggenda abbiano contribuito gli ospiti di un albergo che sorge adiacente alla Villa ed alcuni abitanti della zona che talvolta dopo la mezzanotte hanno sentito un insistente pigolio di pulcini ed il chiocciare della gallina.

ALTRI MISTERI – Altre leggende riguardano la città di Lucca ad esempio la chiesa di Sant’Agostino custodisce una effige della Beata Vergine Madre del Salvatore che è detta la “Madonna del sasso” ed anche la “Madonna del pellegrino” per esser stata portata in processione nel 1948 in tutte le parrocchie dell’arcidiocesi lucchese.

Ma perché fu chiamata la Madonna del sasso? E’ qui che la fantasia si sbizzarrisce: si narra che un uomo molto arrabbiato per aver perso tutto al gioco, abbia lanciato un sasso contro la sacra immagine. Immediatamente una voragine s’aprì sotto i suoi piedi e lo inghiottì, mentre la Madonna spostò il figlio dal braccio destro al sinistro e la sua spalla colpita dal sasso iniziò a sanguinare.

Il segreto dei Guinigi ed il fantasma di Buonvisi sono due delle storie più misteriose che circolano in città: la leggenda racconta che l’albero più alto piantato dal signore di Lucca, Paolo Guinigi, sulla torre omonima, d’improvviso perse tutte le sue foglie.

Si trattò d’un presagio: quel segno preannunziò la morte del Guinigi che fu catturato da Francesco Sforza  ed imprigionato nel suo castello.

Si narra inoltre che il fantasma di Lelio Buonvisi, assassinato dalla moglie Lucrezia e dal suo amante, sia apparso più volte, ed anche recentemente, nella sua villa di Casigliano.

Se  ci spostiamo più a monte, la Pania della Croce fu teatro d’una drammatica storia d’amore: Una giovane pastorella abbandonata dal fidanzato non sapeva darsi pace, e dalla vetta del monte non faceva che guardare il mare.

Impietositosi, un giovane montanaro cercò invano di consolarla. Ma non essendoci più niente da fare, rassegnato chiese alle divinità d’esser trasformato in un gigante di pietra, che avrebbe unito le due Panie impedendo a tutti la vista del mare.

Ed è quel profilo, chiamato appunto “omo morto” che è ben riconoscibile anche oggi.

L’omo selvatico era invece un gigante forte e solitario, che amava profondamente gli umani e viveva in una caverna  della Pania. Quell’anfratto nella roccia è stato poi battezzato “Buca dell’omo selvatico”.

Sono poi da ricordare le Madonne lucchesi, prima tra tutte la “Madonna del pane del lupo”. Una donna, un tredici maggio d’un anno imprecisato, aveva lasciato sola la propria figlioletta in cucina, per andare a sfornare il pane. Al suo ritorno la donna vide la piccola in bocca ad un lupo. Invocando la Madonna, la giovane madre scagliò contro l’animale un pezzo di pane. Tanto bastò a spaventare il lupo ed a fargli mollare la presa, lasciando cadere a terra la bambina. A Fagnano, in ricordo di quanto avvenuto, tutti gli anni il tredici di maggio si celebra una processione. Particolare curioso: è la stessa data della apparizione della Madonna di Fatima.

Della “Madonna del sasso” ne abbiamo già parlato, c’è poi la “Madonna delle rose” che fece riacquistare la parola ad un pastore muto, mentre stava riposandosi accanto ad una siepe di rose fiorite.