-         vittorio baccelli – i racconti – eclisse

 

 

 

PROGETTO LUCIDA MANSI

 

                                            il senso del <misterium tremendum> genera

                                            il <fascinans> che è <mirum>, il passaggio

                                            al <numinoso> è inevitabile

.

la carrozza – Sto per rimettere in moto, è tardi – ho un inizio di mal di testa – non vedo l’ora d’addormentarmi, che lo vedo tornare di corsa verso la macchina.

-         Non senti?

-         Cosa? – dico io.

-         La carrozza!

Guardo Elio preoccupato, metto la testa fuori dal finestrino dell’auto: ascolto…

Uno scalpitare di cavalli, un rumore di ruote di legno sul selciato, un tintinnio penetrante di campanelli.

Una notte d’inverno, quando la nebbia riesce a penetrare fin dentro le Mura di Lucca, una notte uguale a tutte le altre, ma diversa. Poi un secco schioccar di frusta, i nostri sensi tesi al massimo. Infine, più niente, la città torna quella di sempre a questa tarda ora di notte.

Accompagno Elio fin sotto il portone di casa sua.

 

primo frammento - …la leggenda dice che Lucida Mansi fu una donna bellissima che, giovanissima, era andata in sposa, in seconde nozze con l’anziano e ricco mercante lucchese Gaspare Mansi, lei era tanto amante della propria bellezza e dei piaceri della carne da offrire l’anima al Diavolo in cambio di trenta anni di rinnovata giovinezza e di amore.

Questa grande amatrice, che amava però solo sé stessa, si era creata una fastosa alcova interamente avvolta, anche sul soffitto, da specchi.

Si dice poi che allo scadere del tempo stabilito precipitò con il cocchio infuocato nelle acque del laghetto che ora sorge all’interno del Giardino Botanico e che da allora questa immagine riappare nelle notti senza luna sulle Mura della città…

 

secondo frammento – Entrava Lucida al tempio – per lo strettissimo lutto l’ambra della pelle spiccava più delicata – ungeva le dita nell’acquasantiera, si segnava, si genufletteva alzando le lunghe ciglia alla Madonna e, mentre il popolo si apriva al suo passaggio, si dirigeva alla poltrona di famiglia poco distante dall’altar maggiore. Era qui, durante il rito, che essa profanava la messa. Già era preda della sfrenata passione, adoratrice della sua bellezza. Teneva aperto in mano il libro da messa e quando suonava il primo campanello, al sanctus, sfogliava, sfogliava in fretta per arrivare allo specchio che aveva fatto inserire, a misura di una pagina nel libro.

All’elevazione, mentre la folla in timorosa reverenza chinava la fronte verso terra, Lucida inebriata, nello specchio si mirava, di se stessa innamorata ed a quel punto la sua eccitazione, anche sessuale, giungeva al culmine.

 

il racconto – Lucida era bellissima e fece un patto con Satana per conservare la propria giovinezza per altri trenta anni.

Portava, e spesso uccideva, i propri amori in palazzo Mansi e nella sua villa a Catureglio facendoli poi cadere dopo l’amplesso entro trabocchetti: uno di questi è possibile vederlo anche oggi nella sua camera da letto in palazzo Mansi.

Si racconta che facesse scomparire nel trabocchetto un suo stesso figlio, dopo averne

goduto l’amplesso.

Era d’un folle narcisismo che la costringeva a circondarsi di specchi ove ammirava la propria intatta bellezza, in modo da potersi addormentare avendo negli occhi la propria immagine rosea e flessuosa, ed al risveglio  potersi rimirare nuovamente.

Il nome di Lucida si conveniva al raggio dei suoi occhi spendenti come astri, che ammaliavano i corteggiatori.

Quando il tempo stabilito dal patto fu scaduto, il suo cocchio infuocato fu visto precipitare giù dalle Mura nel laghetto ove ora sorge il Giardino Botanico; la pietra della finestra di palazzo Bernardini, quella della stanza ove si dice fosse avvenuto il patto, schizzò in mezzo alla piazza.

Più volte nel corso degli anni si è cercato di rimettere a posto la pietra, ma questa sempre si distaccava dall’edificio, allora fu fissata con una grappa metallica, così come è visibile a tutt’oggi.

Vi è però anche un’altra leggenda su quella che è chiamata “la pietra del Diavolo”: la pietra di palazzo Bernardini  che da cinque secoli non vuol più saperne di stare al suo posto e continua a sporgere verso la piazza apparentemente senza una ragione. Questa storia ci racconta che la famiglia Bernardini nel 1500 fece costruire il palazzo facendo radere al suolo l’intera zona. Distruggendo anche un edificio su cui era raffigurata un’immagine sacra. Ed è qui che inizia la leggenda, secondo la quale gli operai incaricati di costruire il fabbricato si trovarono di fronte ad un fenomeno inspiegabile: quella pietra non stava al suo posto. Più volte l’hanno sostituita ed altrettante volte la pietra s’è piegata, alla fine gli operai rassegnati, hanno trascurato questa imperfezione imbrigliando la pietra con la grappa di metallo visibile anche oggi.

Ma tornando a Lucida, nel laghetto non fu ritrovato né il suo corpo , né il cocchio, ma alle porte della città, vicino a porta San Donato si raccolse il corpo esanime di una bruttissima vecchia, morta di peste, che nessuno aveva mai visto ma che pur sempre aveva una qualche somiglianza con Lucida.

Della sua fine si narrano anche altre versioni, una dice che ghermita dal Diavolo nel suo palazzo dei Mansi di San Pellegrino, Lucida scomparve gettata in una voragine creata dal suo corpo avvolta nelle fiamme infernali.

Nel palazzo di via Galli Tassi si trovò infatti una botola apposta sopra una voragine senza fine, che inutilmente si tentò di riempire.

Un’altra versione sostiene che dopo la sua morte il suo corpo divenne orribile e nottetempo fosse stato sepolto in segreto nel campo Mondone.

Ancora un’altra leggenda dice che allo scadere del patto il Diavolo le dette appuntamento in cima alla Torre delle Ore.

Quando lei giunse all’appuntamento il Diavolo le tolse il dono e lei morì subito dopo vecchia e brutta.

Il Diavolo la aveva invitata proprio in quel luogo per sottolineare il trascorrere del tempo e la sua inesorabilità.

Molti hanno parlato dei suoi amori e dei suoi assassinii, molti giurano d’aver udito lo sferragliare della carrozza per le strade del centro nelle notti senza luna.

Nelle notti di tempesta si narra che sulle Mura, appare un cocchio infuocato con al suo interno Lucida che invano si dibatte nella richiesta di soccorso.

Si narra che nel Giardino Botanico, ove precipitò col cocchio o dove fu sepolta nottetempo, nelle notti di luna piena, chi guarda nello specchio d’acqua formato dal laghetto, veda il volto di Lucida ancora sognante le vanità terrene ed il piacere della carne.

Lucida è ancora viva nelle fantasie cittadine, a tal punto che c’è chi giura d’averla scorta nelle ore notturne, vestita completamente di bianco, nella sua villa di San Michele di Moriano ed in quella di Catureglio.

Qui si conservano ancora cinque suoi ritratti che la raffigurano ripresa da cinque direzioni diverse, come se la sua immagine, durante la posa fosse stata contemporaneamente riflessa da cinque specchi.

Anche a Segromigno in Villa Mansi, nelle notti di luna piena, Lucida si aggira silenziosa e diafana nel bellissimo parco, gira per i vialetti ed infine s’avvicina alla vasca per specchiarsi come era solita fare in vita, poi lentamente la sua immagine svanisce.

Sempre a Segromigno, quando le acque della Sana sono impetuose s’odono i lamenti dell’anima dannata di Lucida.

 

terzo frammento -Ho sentito il profumo delle ninfee  del laghetto giungere in primavera fino in piazza San Martino, ho respirato l’aria opprimente di palazzo Mansi, ho udito in una notte senza luna lo sferragliare della carrozza e lo schioccare concitato della frusta in via del Battistero, mi sono avvicinato all’alba a Catureglio, ho curiosato nelle cantine di villa Mansi…

A Catureglio nessuno più ha abitato, il parco era stato trasformato in un allevamento di polli con grande scandalo dei vicini, ma i polli inspiegabilmente cominciarono a morire.

 

documenta – Avevo da pochi giorni scritto alcune righe su Lucida ed ero interessato a questa leggenda (e storia) perché con alcuni amici volevo allestire un’operazione culturale sul territorio comprendente scritti, grafiche, pitture, musica, suoni, diapositive, performance ed altro ancora. Ed è proprio dalla documentazione consultata che emerge che Lucida morì di peste a soli quarantatre anni, per l’esattezza nel 1649. Fu poi sepolta nella cappella di famiglia che si trovava nella chiesa dei Cappuccini che sorgeva davanti a porta Elisa. Ed appunto per costruire la porta, nel 1804 la chiesa fu abbattuta, questa era adiacente a dove si racconta fosse precipitata la carrozza fiammeggiante, cioè ove oggi sorge il Giardino Botanico che fu realizzato in quel punto solo nel 1820.

Prima del Giardino Botanico in quell’area c’era il campo da gioco del calcio fiorentino ed il così detto “Campo Mondone” ove vennero sepolti in fosse comuni i morti per peste, gli eretici ed i condannati a morte.

Il laghetto, che è generato da una polla che affiora in quel punto, esiste da tempo immemorabile.

Ho ricavato però altre interessanti notizie.

Nel trecento a Napoli regnò Giovanna I, che ebbe quattro mariti, tutti morti di morte violenta. Ebbe anche numerosi amanti che finirono uccisi precipitati in trabocchetti.

Dal 1414, sempre a Napoli regnò Giovanna II, al suo attivo due mariti, anch’essa uccideva gli amanti di cui s’era stancata facendoli precipitare entro trabocchetti.

Alla fine del 1700 visse a Merano una certa Margherita Maultasch, donna perfida e bruttissima, tanto brutta che venne soprannominata “Margherita dalla bocca a tasca”. Aveva un debole per stallieri, palafrenieri e popolani robusti e forti. Scorrazzava per le sue terre e faceva rapire i maschi più prestanti. Venivano poi portati nel suo castello a San Zeno e quando se ne era stancata li faceva precipitare nell’orrido del Passirio, nelle gelide acque del Gilf.

Le analogie sono evidenti, di tutte queste donne si racconta avessero stipulato patti con il diavolo, tutte rapivano gli uomini per farne loro amanti, tutte precipitavano i loro amori, quando se n’erano stancate, uccidendoli.

La leggenda si sposta nel tempo, geograficamente dal sud al nord.

 

la carrozza, ancora – Tepepa e lo Iacopucci stavano proprio bene quella sera, avevano preparato una buona cenetta nelle cucine di villa Bottini ed avevano abbondantemente bevuto un vinello delle colline lucchesi che era proprio niente male. Adesso stavano a godersi la notte nel parco della Villa occupata, quando…in lontananza il rumore d’una carrozza, lo schioccare della frusta…vicino, sempre più vicino fino a sentirla passare davanti ai cancelli. Si guardarono in faccia, poi corsero verso il cancello principale per vedere cosa stesse transitando, ma non riuscirono a vedere niente. Così tornarono sugli scalini d’ingresso, e pochi istanti dopo, ecco il rumore della carrozza avvicinarsi di nuovo e poi scomparire: questa volta entrambi non si mossero e le loro menti cominciarono a riflettere sulle leggende lucchesi.

Infine lo sferragliare della carrozza, s’udì per la terza volta, fu così che lo Iacopucci invitò Tepepa ad andare a dormire a casa sua. Il Tepepa accettò l’invito molto volentieri e durante l’occupazione questa fu l’unica notte in cui lui non dormì in Villa.

 

Gertrud Hesse – Era nata a Berlino dopo la grande omologazione e grazie ai suoi privilegi s’era fatta costruire un castello sulle rive del Reno. Il castello era meraviglioso, vi aveva raccolto tutto ciò che di più bello era stato prodotto nel passato. Al suo servizio aveva un piccolo esercito di droidi tanto belli quanto crudeli, tutti gli esseri viventi fuggivano terrorizzati quando s’udiva in lontananza il frusciare delle loro ali di seta nella notte.

Le pareti della camera di Gertrud erano interamente coperte da specchi e schermi che proiettavano moltiplicando la sua immagine in ogni angolo della dimora.

Al mattino amava ballare per ore, nuda in questa stanza ed ammirarsi.

Era solita abbigliarsi secondo la moda delle sue precedenti vite, prediligeva gli abiti del raffinato 1700.

Quando si stancava degli uomini che i droidi le portavano, li uccideva precipitandoli in un sofisticato trabocchetto celato dall’ologramma d’un multicolore tappeto.

Scorrazzava nelle campagne o tra le rovine delle città, da tempo abbandonate, su un cyborg dalle sembianze di un gran cavallo nero che emetteva dalle nari tenui vapori. Talvolta sfrecciava nel cielo su un fly copia di un’auto americana con le code degli anni ’50, che volando diffondeva un sibilo stridente.

Gli abitanti della regione  vivevano nel terrore, si raccontava che mille anni prima avesse fatto un patto con Satana: si diceva che Satana stesso avesse partecipato ad una sua festa nel castello sul Reno, festa durante la quale molte persone finirono per divertimento uccise nei modi più ignobili e inenarrabili.

 Una notte il suo fly fiammeggiante fu visto precipitare nelle acque del Reno, i droidi allora si dispersero e incapaci di volare cominciarono a vagare per le campagne uccidendo ogni forma di vita che incappava nella loro strada.

Ci volle molto tempo, ma infine uno ad uno, furono distrutti dai contadini.

Nel castello nessuno volle mai entrare e pian piano cadde in rovina.