-         vittorio baccelli – i racconti – eclisse

 

 

STRANO MA VERO

 

 

 

 

Quando mia madre era ospite dalle suore a Lucca in via dei Fossi, per meglio poter studiare, frequentava la scuola media, una notte le apparve sua mamma in sogno. Era bella e radiosa, giovanile in piena forma e salute, non più malata com’era ultimamente, vestita a festa e le disse di stare buona e tranquilla, di mantenersi studiosa e brava, poi l’immagine gradualmente svanì, mente lei la salutava affettuosamente e sorridente facendole intendere che stava per partire per un luogo molto lontano.

Al mattino, mia madre fu convocata dalle madre superiora che con fare imbarazzato le disse che doveva comunicarle una cosa molto importante, e lei:

-         Mia madre è morta, vero?

La madre superiora rimase senza parole e dopo alcuni momenti di silenzio, disse:

-         Ma tu come fai a saperlo?

-         Me lo ha detto lei stanotte, mi è apparsa in sogno.

-         ………………………

* * *

 

I due genitori erano morti e mia madre viveva con suo fratello Ugo che era sposato con mia zia Rina ed erano senza figli, di modo che l’allevavano come fosse loro figlia. Mio zio aveva anche una casa al mare con giardino a Viareggio in via Brunero Paoli. Un pomeriggio d’estate mia madre era in giardino con due sue amiche sedute attorno ad un tavolino circolare di marmo che era interrato con un basamento di cemento. Una di loro disse:

-         E’ un tavolo tondo, perché non facciamo una seduta spiritica?

-         In pieno giorno?

-         Perché no?

-         Sì, evochiamo qualcuno.

Posarono le mani sul tavolo, fecero una catena e mia madre esclamò:

-         Satana! Presentati!

Dopo qualche secondo in cui non successe nulla, improvvisamente il pesante tavolo si sfilò dal terreno sollevandosi di qualche centimetro, portandosi dietro alcune zolle di terra. Le tre amiche schizzarono in piedi, mentre il tavolo cadeva di lato. Fuggirono tutte e tre terrorizzate e si rifugiarono in casa. Al loro rientro i miei zii rimasero molto perplessi nel vedere il tavolo del giardino sfilato da terra ed appoggiato su un lato, e non riuscirono mai a capire cosa fosse successo.

***         

Tempo di guerra, sempre nella casa in corte San Lorenzo quella che fu di Puccini, davanti al camino, le luci sono spente, c’è una incursione aerea, ma è troppo tardi per andare al rifugio. Mio padre accende una candela, poi tutti aspettiamo. Io sono in braccio ad una ragazza che abita con noi, della quale non ricordo il nome, e la stringo forte, forte. La sirena poi annunzia il cessato allarme. Il tempo di guerra lo passiamo, un po’ a Lucca, un po’ nella casa di Santa Maria del Giudice, la località dove mia madre insegna, fa la maestra elementare. Quando siamo a Lucca io sono sempre assieme a questa ragazza, sia in casa, sia a passeggio per la città. Delle volte mi porta nel posto ove lei lavora, un grandissimo capannone vicino alla stazione ferroviaria, con un enorme portone sopra il quale, in cubitali lettere maiuscole c’è scritto a rilievo G M. Penso sia un garage, ma non ne sono sicuro. All’interno scorgo sempre uomini e donne vestiti normalmente, sembrano tutti impiegati, non ho mai visto meccanici. Vi sono molte casse di legno all’interno, alcune grandissime. Questa ragazza è presente solo a Lucca, non ricordo d’averla mai vista a Santa Maria del Giudice. Lei abita con noi, poi un giorno sparisce, non la rivedo mai più. Il tempo passa, la guerra finisce ed un giorno chiedo di lei ai miei genitori i quali cascano dalle nuvole, nessuna ragazza ha mai abitato con noi. Ma come, non era sfollata? Vedo i miei genitori perplessi, ed allora lascio perdere. Quando sono più grande mi reco nei dintorni della stazione, ma di quel capannone nessuna traccia. C’è mai stato qui un garage grandissimo della General Motors? Chiedo a degli abitanti, ma nessuno lo ricorda.

* * *

Ero ancora piccolo ed era la notte di Santa Croce, coi miei genitori ero davanti al Duomo in attesa della processione. Ad un tratto vedo altissimo un puntino luminoso che si muove ad angolo retto come se disegnasse degli scalini, lo indico ai miei genitori che distrattamente lo guardano. Mia madre si disinteressa subito della luce in cielo, ma io insisto con mio padre, voglio sapere cos’è. Ad un certo punto lui dice – Sarà un elicottero – io insito dicendo che un elicottero non può far curve ad angolo retto, una dietro l’altra come se salisse degli scalini. Ma lui non mi presta più attenzione, sta arrivando la processione. Guardo a lungo l’oggetto luminoso che prosegue in quella regolare salita finché non scompare.

* * *

Qualche anno dopo, ancora la notte di Santa Croce. Questa volta tutti sulle Mura ad attendere i fuochi d’artificio. Improvvisamente una diecina di punti luminosi appaiono in cielo, ed in formazione, velocissimi, senza alcun rumore proseguono in linea retta. Solo uno dei punti fa evoluzioni tra gli altri. Si ode un mormorio tra la folla, ma velocemente come sono apparsi, così scompaiono. Il giorno dopo la stessa formazione di punti luminosi apparirà in pieno giorno a Firenze, rallenteranno proprio sopra il campo sportivo ove si stava giocando un partita di calcio di serie A ed effettueranno per alcuni minuti complicate evoluzioni. Anche questa volta migliaia di persone li vedranno. Walter Molino li raffigurerà in una delle sue grandi tavole a colori sulla Domenica del Corriere. Feci notare la cosa ai miei genitori, che non dissero nulla.

* * *

Ancora un UFO, questa volta più grandicello, mentre andavo a casa in bicicletta su un viottolo che passava tra gli orti. Adesso stavo a Sant’Anna e sopra la mia testa, bassissima una sfera di luce sfrecciò, lasciandomi interdetto. Ho passato altri momenti del genere, una mattina mentre ero sulla circonvallazione diretto alla stazione, in motorino, tra una bussata d’acqua e l’altra durante un temporale, una sfera accecante mi superò dall’altro lato della strada per poi esplodere senza rumore. Ma questa volta era un fuoco di Sant’Elmo, l’unico che abbia visto in vita mia. Mi è anche successo, questa volta a San Vito, mentre aspettavo che Isabella, la mia ragazza d’allora, uscisse dal lavoro, all’imbrunire mentre ero nell’auto parcheggiata vidi giungere dal cielo una luce allungata a forma di sigaro, cambiò più volte colore e poi scomparve come se avesse avuto un’accelerazione impossibile. Ma il fatto più strano avvenne davanti al bar Nuccia, dietro il palazzone della INA, dal cielo arrivò un parallelepipedo color marrone. Stette un po’ fermo e poi se ne sfrecciò via. Io ero rimasto a bocca aperta e a testa alzata, quando riabbassai gli occhi vidi che accanto a me c’era un giornalista de Il Tirreno. – L’hai visto anche te? –

-         Sì che l’ho visto.

-         Domani lo scriverai sul giornale?

-         Sembrava un container. Che dovrei scrivere che c’era un rimorchio volante? Io non scrivo nulla.

* * *

 

Abitavo coi miei genitori in Corte san Lorenzo, nella casa che fu di Puccini che allora era divisa in due appartamenti che avevano il loro ingresso nello stesso pianerottolo. L’inquilino di fronte era un professore, del quale non ricordo il nome. Una mattina davanti al suo portone c’era un tavolo rotondo a tre gambe. Quando il professore lo vide, rimase terrorizzato e disse a mio padre che quel tavolo l’avevano usato la sera prima a casa di un suo amico che abitava a Sant’Anna per fare una seduta spiritica. Lui era rimasto molto spaventato da quella seduta ed aveva rotto la catena ed era tornato a casa. Mio padre allora con la sua 600 bianca accompagnò il professore a casa dell’amico e riportarono a lui il suo tavolo, erano ormai tutti quasi convinti che si fosse trattato di uno scherzo. La mattina seguente il tavolo era di nuovo davanti alla porta del professore e nuovamente accompagnato da mio padre, il tavolo fu riportato al legittimo proprietario, che pure lui questa volta era sconvolto. La mattina successiva, il tavolo era nuovamente davanti alla porta del professore, a quel punto lui lo prese ed a piedi lo portò dal parroco di San Michele. Cosa successe poi, non mi è stato raccontato, ma quel tavolino io non l’ho più rivisto.

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C’era uno strano personaggio a Lucca che veniva chiamato il Mago Monelli, era un pensionato che faceva i tarocchi e leggeva la mano. Un giorno ero a passeggio sulle Mura, eravamo di novembre ed il cielo era completamente coperto anche se non pioveva. Durante la passeggiata incrociai il Mago Monelli che se ne stava immobile nel bel mezzo di un vialetto con accanto il suo bastardissimo cane accucciato.

-         Ciao Mago, che fai di bello?

-         Aspetto il sole.

-         Mi sa che c’hai da aspettare parecchio, qui è tutto coperto e mi sa che tra un po’ piove anche.

-         Io aspetto il sole, e poi me ne torno a casa.

-         Allora ciao.

E proseguii nella mia passeggiata, ridacchiando tra me e pensando che il Mago è proprio cotto oggi. Dopo aver percorso una cinquantina di metri, mi voltai per vedere se fosse sempre fermo in mezzo al vialetto, e con stupore notai che le nubi si stavano aprendo solo in un punto. Apparve un raggio di sole che illuminò proprio là ove il Bonelli era in attesa. Il raggio rimase visibile per poco più di un minuto, poi le nubi si richiusero, ed il Bonelli scosse col guinzaglio il cane e ripartì verso casa, mi sembrò visibilmente soddisfatto. Dopo circa cinque minuti una pioggerella insistente cominciò a cadere e seguitò per tutto il pomeriggio.

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Ero a Torre Pedrera, sulla riviera adriatica per partecipare ad un convegno che sarebbe durato tre giorni. Una sera i programmi televisivi era non piangere e cominciammo a discutere del più e del meno. Eravamo tutti giovani sui ventenni ed un romano del quale non ricordo il nome ci propose di fare una seduta spiritica. In cinque accettammo l’offerta e ci recammo nella sua camera, facemmo la catena sopra il suo comodino, ma malgrado tutti i nostri sforzi, e soprattutto quelli del romano che diceva d’essere espertissimo in queste cose, non successe nulla per molto tempo. Era ormai notte fonda ed io cadevo dal sonno, e non solo io.

-         Proviamo un’ultima volta – disse il romano, e quell’ultima volta fu decisiva. Il comodino iniziò a ruotare prima lentamente, poi sempre più in fretta. Il romano parlava ma io non ricordo nulla di quello che disse, perché ero tutto concentrato sul comodino, e per la verità anche molto spaventato. Il comodino iniziò poi una lievitazione e rimase sospeso a lungo movendosi anche per la camera.

* * *

 

Lavoravo all’ufficio Anagrafe del Comune di Capannori  ed un signore mi chiese uno stato di famiglia. In quel periodo vi erano delle tessere metalliche con scritto a rilievo i dati di ogni persona. Un marchingegno ricercava le tessere giuste e le stampava a pressione sul foglio del certificato voluto. Quando richiamai la famiglia richiesta, il macchinario s’inceppò iniziando a vibrare. Rifeci l’operazione più volte ottenendo lo stesso risultato. Richiamai allora un’altra famiglia ed il macchinario funzionò alla perfezione. Sicuro d’aver sbloccato l’intoppo ritornai alla richiesta iniziale, ma tutto s’inceppò nuovamente.

Chiesi allora al signore che m’aveva chiesto il certificato, il quale era in attesa al di la dello sportello:

-         Mi scusi, ma a cosa le serve lo stato di famiglia? E’ per lei?

-         No, devo fare altri documenti, è una coppia di sposi che è morta in Sicilia alcuni giorni fa in un incidente stradale.

-         E’ sicuro che si sia trattato proprio d’incidente?

-         Ma cosa sta dicendo?

-         Niente, niente, mi scusi.

Mi allontanai e chiamai un mio collega ed a lui chiesi di servire il signore, perché io avevo dei problemi con la macchina. Lui mi guardò interrogativo, ma chiese al signore che stava attendendo dietro lo sportello il documento richiesto.

Mi allontanai e vidi che quel signore era divenuto molto nervoso, il mio collega attivò la macchina e senza alcun intoppo lo stato di famiglia fu stampato.

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Questa volta ero a San Michele di Moriano, nella scuola elementare. Era tempo d’elezioni ed io ero Presidente del seggio, mi ero portato dietro un Segretario, che non ricordo chi fosse, poi c’erano gli scrutatori.

Per tutto il tempo della durata delle elezioni, duravano due giorni in quegli anni, sia gli scrutatori che la gente che veniva a votare, non fecero altro che parlare di una coppia di sposi del paese che in viaggio di nozze erano morti in un incidente stradale.

Più volte raccontarono che durante lo svolgimento delle elezioni questa coppia veniva sempre al seggio a chiacchierare con i compaesani e con gli scrutatori.

Io non li conoscevo, per la verità non conoscevo nessuno in quel paese a parte un anziano e simpaticissimo giudice in pensione e la cosa mi lasciò indifferente.

Quando finalmente venne il momento di scrutinare le schede, io ero molto contento perché era un seggio di soli trecento votanti ed avrei finito in un baleno.

Quando s’arrivò al risultato finale risultavano due schede votate in più. Rimasi perplesso ma riconteggiai tutto: i votanti dal registro, le schede rimaste, i talloncini. E tutto tornava alla perfezione, solo che s’erano due schede votate in più.

Per tre volte eseguii il controllo, alla fine mi arresi all’evidenza: c’erano due schede in più! Dissi agli scrutatori di togliere dal registro finale due schede bianche, ci fu qualche rimostranza, ma poi lo fecero e tutti rimasero col dubbio che la coppia di sposi fosse venuta a trovarci.

* * *

Ancora al seggio elettorale, questa volta ero Presidente in un paese di montagna, Motrone.

Ancora una volta il seggio era nella scuola elementare del paese; il secondo giorno delle votazioni, ero a prendere il sole, leggendo il giornale seduto sugli scalini esterni che portavano al seggio. A controllare le urne ed ad accogliere i votanti era rimasto un solo scrutatore, gli altri erano andati a mangiare un boccone.

Mentre stavo leggendo vidi entrare un frate, poi il tempo passò ed il frate non usciva. Allora entrai nell’aula delle votazioni e chiesi allo scrutatore dove fosse finito il frate.

Lui cascò dalle nuvole e disse che non era venuto nessun frate a votare.

Rimasi perplesso, poi mi ricordai che nelle selve tra Motrone e Pescaglia talvolta i boscaioli incontrano un frate, che moltissimo tempo prima, si parla di qualche centinaio d’anni, stava in una cappellina che adesso è abbandonate nella selva. Il padre della mia prima moglie, che aveva un metato in quel bosco una volta mi raccontò d’averlo incontrato, d’aver fatto un tratto di strada con lui, chiacchierando del più e del meno.