- vittorio baccelli - i racconti -
- fa parte della raccolta "daemon" - inedito -
EXPRESS TRAMWAY
o giorno che sorgi! danzano gli
atomi di sabbia e le anime
perse nell’estasi danzano – ti dirò
in un orecchio per chi danzano
le sfere celesti ed il vento
(rumi)
E’ passata già da un po’ la mezzanotte e quel maledetto tram non arriva. Ma perché sto aspettando un tram? Non dovevo essere a cena con mio fratello e con gli amici? Ed invece sono qui sulla pensilina, da solo e chissà in quale parte della città, mi pare in periferia, ma non ne sono del tutto sicuro. La strada è ora quasi completamente al buio a parte due fiochi lampioni là in fondo. Non mi piace proprio questo quartiere, è così tetro, penso lo sia anche di giorno, tra l’altro comincio ad avere pure freddo, è sicuramente più di mezz’ora che me ne sto qui impalato, su questa pensilina sgangherata con disegnato in terra il gioco della campana, questo dev’essere un posto poco trafficato ove i ragazzi durante il giorno giocano: ho visto uno scheletro d’aquilone che penzolava dai fili della luce, prima quando è passata una mercedes.
Qui c’è un foglio con gli orari, vedo che una linea doveva passare alle 11.50 ed adesso solo le 12.45, un ritardo così non si verifica mai. Non c’è un pedone e dopo la mercedes passata mezz’ora fa, nessun’auto è transitata: adesso una leggera nebbia comincia pure a salire dall’asfalto.
Mi sono quasi rassegnato a rientrare a casa a piedi (sapessi solo da che parte andare) quando vedo da dietro la curva della strada, in fondo alla piazza, spuntare un paio di fari rotondi: è il tram, finalmente, sono salvo, esco da qui.
Arriva sferragliando un po’ più del solito nel silenzio di tomba della notte e lentamente s’arresta davanti alla pensilina dove sono, con un sibilo d’aria compressa che sfugge s’apre la portiera, nessuno scende, e chi vuoi che scenda a quest’ora in questo posto del cazzo?
Salgo, c’è parecchia gente stanotte sul tram, mi scelgo un sedile vuoto e mi siedo accanto al finestrino. Sferragliando il tram riparte per il giro panoramico notturno della città, guardo fuori del finestrino, rilassandomi e cercando di scorgere prima o poi un luogo familiare, sì da riprendermi con l’orientamento. C’è seduta davanti a me un’anziana signora con una radiolina accesa, anche se il volume è basso la sento distintamente, parla di alcuni scritti postumi di Padre Pio, sarà sicuramente Radio Maria, quella radio lì entra in tutte le frequenze…..
"……..
ma dico di portare seriamente all'attenzioneGhandi, Mahatma Ghandi: il mite eroe della Pace
e per la Pace - dava in spirito più che in armi
a sue genti la forza per vincere e rimanere
nell'integrità' Civile e Spirituale di loro cultura.
Come da memoria storica dal passato al futuro
non più armati ma miti, ispirati eroi, pii forti e vincenti
poiché uno in Dio e con il Popolo nella verità di più
alti ideali - Civili e Spirituali.
Tanto che gente comune deviata or non ben comprende -
perché guarda al mondo con occhi illusi e bramosi
d’avere e potere che viene loro a modello.
Però insieme ancor più esse genti comuni che vedono
e soffrono incubi in sogno e più reali soffrenti condizioni
di or sempre meno sicurante vita buona e futuro.
Mentre ad altri più creditati venduti - finché durano
paganti compensi a suadenti menzogne di
Scienza non Scienza varrà ancora per poco la fama
perché tanto si vedrà solo poi ..."
Sembra una poesia più che una lettura, e poi sarà davvero di Padre Pio? E senza accorgermene scivolo lentamente nel sonno.
Mi risveglio di soprassalto, ho avuto un incubo, mi sono sognato un incidente con mio fratello morto schiacciato dall’auto che s’è ribaltata mentre si andava verso una discoteca. Sono tutto sudato, il cuore mi batte all’impazzata, ma non dovevo essere a cena con gli amici? Mi guardo attorno preoccupato: quanto avrò dormito? Sicuramente la mia fermata l’avrò saltata da un bel pezzo. Ma il cielo è sempre nero, d’un nero intenso, la notte è ancora fonda, allora mi sarò appisolato solo per pochi minuti. La vecchia con la radiolina non c’è più, se ne sarà andata in pace con Padre Pio, il Sony e Radio Maria. Guardo l’orologio e con stupore m’accorgo che segna le 9.32. S’è rotto, mai fidarsi di questi swach a cristalli liquidi, non valgono nulla. Sto per chiedere l’ora ad un signore che è seduto poco più avanti, ma mi guardo attorno stupito, il tram sembra ora diverso, più grande, i sedili sono riccamente imbottiti e poi c’è molta gente, troppa.
Non ho mai visto così tanti passeggeri in tram nelle ore notturne. Torno al mio finestrino, cerco di guardare fuori, ma non riesco a distinguere nulla, solo buio, nessuna luce. Provo allora ad aprirlo, ma non vi sono manovelle o pulsanti d’alcun tipo. Il tram (ma sono sempre sul tram?) si è fermato, faccio per alzarmi, voglio scendere, qui c’è qualcosa che non va, ma i miei movimenti avvengono al rallentatore, è entrata dalla porta spalancata una ragazza di colore, molto giovane con una grossa borsa di plastica bianca ed una minigonna vertiginosa. Sicuramente una zoccola che rientra dal lavoro per strada. Si guarda attorno un po’ sorpresa, penso per l’affluenza, mi guarda, sorride e s’avvicina verso di me. Sono in piedi davanti al sedile, la porta aperta a pochi metri da me, voglio raggiungere l’uscita, ma i miei movimenti sono lentissimi, praticamente sono bloccato lì. Lei sorride, la porta si chiude, mi risiedo, lei si accomoda proprio accanto a me, ora i movimenti sono tornati normali: posa il borsone sul pavimento, estrae un pacchetto di sigarette ed un accendino, mi fa cenno se ne voglio una e mi rivolge alcune parole incomprensibili: ovvio, è un’extracomunitaria, è qui da noi per darla e farci un po’ di grana. Però non è poi male, le sorrido ed accetto la sigaretta, lei me l’accende. Stiamo entrambi fumando, ma non era vietato sui servizi pubblici? E chi se ne frega, se qualcuno si risente faccio anch’io l’extracomunitario e poi la spengo. Sto fumando, ma io fumo? Onestamente non me lo ricordo, intanto lei seguita a sorridermi, ogni tanto dice qualche parola in quella sua strana lingua ed io le rispondo con sorrisi o le faccio cenno che non ho capito un bel niente di quello che mi vorrebbe dire. Do un’occhiata al finestrino, ma seguito a vedere nero: buio totale. C’è qualcosa che non va, anzi ci sono parecchie cose che non vanno: questa notte è troppo lunga, fuori è troppo buio, il tram è troppo grande. Tiro fuori di tasca il cellulare e digito il numero di mio fratello: non c’è rete, e ti pareva?
Mi sento sempre più inquieto, lei intanto s’è tolta i sandali alti di quelli con le zeppe ed ha disteso le gambe sul sedile accanto a me, butta la cenere sul pavimento con la massima indifferenza. La osservo, le sue gambe sono proprio ben fatte, lei si lascia osservare e sorride. La minigonna è già salita fin troppo in alto ed i miei occhi s’incollano proprio lì, lei allora la tira su del tutto ed il suo sesso è proprio davanti a me, niente biancheria intima. Imbarazzato mi guardo attorno e non c’è più nessuno nello scompartimento, non c’è proprio niente di normale stanotte. Il tram sì è nuovamente fermato, tento d’alzarmi, ma è inutile, sono nuovamente rallentato, accarezzo allora le gambe alla mia bella extracomunitaria ed ad ogni carezza m’avvicino sempre di più alla sua cosina: bella nera e col pelo lì biondo! Sono entrati due giovani e stanno animatamente parlando in napoletano, ci sorpassano e non ci degnano d’uno sguardo anche se lei è sempre lì con la fica di fuori, e si dirigono verso gli scompartimenti più avanti. Lei intanto sta accarezzando il suo sesso e mi lancia gridolini d’invito, poi decisamente mi prende una mano e la struscia contro di lei. Sento la sua pelle morbida ed a quel punto non mi frega più niente di niente: mi sbottono i pantaloni e la penetro, lei bagnata m’accoglie. Vengo dopo soli quattro o cinque colpi, la situazione è troppo strampalata ed eccitante. Le chiedo scusa d’esser venuto subito, ma tanto questa qui non capisce un cazzo, mi rimetto in ordine, mi guardo intorno, seguita a non esserci più nessuno, le prendo un’altra sigaretta, l’accendo, le faccio un cenno come dire ritorno subito, e m’avvio verso un altro vagone, mi sembrava fossero solo altri due, il tram era composto di tre vagoni, ed io ero salito sull’ultimo. Riesco a muovermi con facilità, non sono per niente rallentato, tiro un’altra boccata dalla mia sigaretta e mi trovo in un altro vagone con molta gente ed alcuni hanno dei vestiti proprio strani, sembrano abiti del secolo scorso.
Ma già, in periferia ci sono gli studi cinematografici e delle volte anche per strada se ne vedono di tutti i colori. Vado avanti: i vagoni sono troppi e poi sembra un treno invece che un tram. In uno scompartimento in fondo al vagone ci sono due che fanno l’amore, completamente nudi, torno indietro per vedere meglio e solo allora mi rendo conto che questo vagone non è per niente come quello dei tram, è un vero e proprio vagone ferroviario come quelli d’una volta, quasi tutti in legno, col corridoio e gli scompartimenti a lato.
Trovo uno scompartimento vuoto, entro, i sedili sono in legno chiaro, così come i portabagagli in alto, vi sono poi tre finestrini stretti e lunghi, con le maniglie d’ottone per aprirli e chiuderli. Afferro una maniglia e tiro giù il vetro: fuori c’è il solito buio, malgrado il movimento del treno (?) il vento non entra, ma la sensazione di velocità è evidente, così come lo sferragliare delle carrozze. Sporgo la testa fuori dal finestrino e mi ritrovo a spingere in una sostanza densa che oppone pure un po’ di resistenza e mi lascia appena respirare.
Impaurito mi ritraggo di scatto e chiudo il finestrino spingendo la maniglia verso l’alto. Mi accascio sul sedile, panca di legno, sul pavimento vedo dei cellulari abbandonati ed un giornale, lo prendo e l’apro: è scritto, mi sembra in cirillico. Lo poso sul sedile di fronte al mio, afferro un cellulare, l’accendo, è fuori rete, lo metto sopra il giornale e scoraggiato mi prendo la testa tra le mani. Dal lato che da sul corridoio, semioscurato da pesanti tende nocciola, vedo passare un uomo alto con un berretto con fregi rossi e mi è sembrato in uniforme, è il bigliettaio mi dico, se mi chiede il biglietto voglio ridere…
Mi fiondo comunque fuori dal compartimento per parlare con lui, per dirgli che voglio scendere, non m’importa a quale fermata, voglio scendere e basta…
Ma il corridoio è completamente deserto ed anche esageratamente lungo. Avrei a questo punto voglia di un’altra sigaretta, ed anche d’un caffè: il caffè sarà un po’ improbabile trovarlo, ma la sigaretta, la tipa che ho scopato prima, anzi che m’ha scopato, ne aveva un pacchetto quasi pieno, quasi quasi torno a cercarla.
Mi scuoto e m’avvio verso l’altro vagone, ma questo sembra non finire mai, più cammino, più il corridoio sembra allungarsi, mi ricorda l’interno dell’Orient Express, sì il vecchio film in bianco e nero, anche qui sembra tutto in bianco e nero, fuori poi c’è solo il nero.
E vedo una porta strana la in fondo, sono sicuro che prima non c’era….la raggiungo e la apro: incedibile! È un vagone ristorante!
Ma non ero su un tram? E c’è anche un bar. Un cameriere dietro al banco sta preparando degli aperitivi, mentre ai tavoli vi sono solo quattro persone il resto è vuoto.
Vorrei qualcosa di molto forte e delle sigarette, lo dico al barman, ma lui mi risponde con uno strano linguaggio. Cazzo ma questi fottuti extracomunitari son proprio dappertutto, ci stanno fregando tutti i lavori! Adopero allora il linguaggio universale dei gesti e lui mi mette davanti un aperitivo d’un colore rossastro, un piattino d’olive con gli stuzzicadenti infilati ed un pacchetto di sigarette. Lo prendo e lo guardo con curiosità, è un pacchetto di color azzurro e sopra non c’è scritto nulla, neppure che t’ammazza, solo dei ghirigori in oro che comincio a pensare siano una scritta.
L’apro, sono sigarette sottili col filtro, vedo che accanto al piattino con le ulive c’è anche una bustina di fiammiferi, di quelli che mi sembra si chiamino Minerva e che si scroccano solo sulla loro striscia nera. Anche la bustina è di cartoncino azzurro con gli arabeschi in oro.
Mi accendo la sigaretta, buona (ma fumo? E da quando?) e bevo l’aperitivo tutto in un sorso. Roba buona, mi dico e faccio per pagare, ma il cameriere non c’è più dietro al banco, è sparito.
Mi siedo allora ad uno dei tavoli, il tempo passa e dopo una ventina di minuti un altro cameriere si fa vivo, questo è un orientale. Ordino un primo, lui capisce e distrattamente vengo servito in fretta, chiedo del vino, e questo se ne va senza spiccicare una parola, ma torna poco dopo con una bottiglia di birra bionda formato famiglia: l’etichetta sembra quella del pacchetto di sigarette. Non so l’ora, ma non mi sembra l’ora di pranzo, e neppure quella di cena, forse è per questo che c’è pochissima gente qui.
Finito il primo e scolata la birra, vado al bancone e chiedo un caffè, indicando la macchina in pressione dietro al banco. Me ne servono uno un po’ troppo lungo. Saluto e me ne vado senza pagare, nessuno trova niente da ridire, vago per il corridoio ed a pochi metri dal vagone restaurant vedo uno scompartimento vuoto, mi siedo sui sedile, e meno male che questi sono imbottiti e cerco di riflettere su ciò che mi sta succedendo. Mi guardo intorno: sul portapacchi vi sono due valige, sono polverose e sicuramente abbandonate da tempo, in terra alcuni cellulari spenti ed una banconota da cinque dollari, i finestrini danno sempre sul panorama nero (lo nascondo tirando le pesanti tendine nocciola), le luci sono leggermente azzurrate ed emanano una luminescenza morbida, alle pareti della cabina vi sono affisse sotto vetro delle stampe con disegnati i soliti arabeschi in verde, in celeste ed in oro e senza figure, ma l’ultima stampa a sinistra ha delle scritte normali, mi avvicino e la leggo:
"..Sono una statua mutila
in fondo ad un’acqua chiara
fermato in un gesto – e spezzato.
Soltanto un tremore di cose
specchiate – alberi che si incielano
e rapidi voli – può darmi
delirio di tempo
mutare il nulla in Parola. "
Sotto la poesia, piccolino, piccolino, c’è scritto L.Sciascia, ed è anche tra parentesi, sarà l’autore, L . sta per Leonardo, ma mi sembra che sia stato uno scrittore e non un poeta, ma insomma io per queste cose non ci sono mica, e poi cosa voglia dire coi suoi versi non lo so, non ci capisco un cazzo, non ci sto con la testa per queste cose, per me questa scritta è uguale agli arabeschi, o al giornale in cirillico che ho trovato prima, non mi dicono nulla, non mi spiegano nulla, cazzo ma qui è tutto un enigma, manco c’è la rete. Cellulari ce ne sono in abbondanza, e miracolosamente tutti carichi, anche il mio è carico, ma se la rete non c’è i cellulari te li sbatti sulle palle.
E rimugino, rimugino, e passo al sonno senza neanche accorgermene.
……..sono in auto, sto guidando, è la solita auto dei miei incubi: è notte, l’auto è piena d’amici si sta tornando dalla cena, eravamo alla Baracca del Nanni, giù in Padule, noto per le tipiche specialità gastronomiche. La cena era stata una favola ed adesso si va verso Firenze e ci si ferma in discoteca. C’è una curva a sinistra, forse la sto prendendo un po’ troppo forte, forse ho bevuto un po’ troppo o forse c’è qualcosa che non va alla trasmissione: l’auto sbanda, sfiora un palo, s’impenna, salta un canale poi si ribalta due volte in un campo di granturco , nella carambola la portiera di destra si spalanca, mio fratello Roberto che è seduto accanto a me viene sbalzato fuori dall’abitacolo. L’auto si ferma infine sulle quattro ruote. Tutto s’è svolto in un attimo, ma lo rivedo come al rallentatore, con mille dettagli che si fanno sempre più nitidi. Usciamo fuori, contusi ma illesi, non vediamo Roberto, lo chiamiamo "ROBERTO….ROBERTINO….DOVE SEI? Non riusciamo a capire dove sia finito.
Solo dopo una diecina di minuti ci accorgiamo che l’auto s’è fermata proprio sopra di lui che giace semiaffondato nel campo, una ruota è proprio sulla sua testa….anzi, è al posto della sua testa….
Cerchiamo di spostare l’auto, ma non c’è più nulla da fare. Disperati giriamo impotenti attorno all’auto……
Mi risveglio all’improvviso col cuore che mi batte all’impazzata, questo sogno, questo maledetto sogno, l’ho già fatto altre volte….è ricorrente.
Ora poi che sono s’un folle tram che s’è trasformato in treno, siamo all’incubo nell’incubo.
Bestemmio sottovoce, cerco un bagno e lo trovo: mi rimetto in sesto anche con l’acqua del bagno che ha uno schifosissimo sapore metallico come l’acqua di tutti i treni e comincio a passeggiare fra gli scompartimenti, un vagone dietro l’altro, su questo treno che sembra proprio non avere mai fine.
Ma qualcosa è cambiato, non c’è più il buio la fuori, ma un bianco lattiginoso, denso, che non lascia scorgere nulla, una nebbia semidensa e lattea. Una ragazza sta fissando il vuoto lattescente, questo nulla bianco, attraverso un finestrino, come ipnotizzata: la raggiungo, le chiedo se sa dove stiamo andando, lei mi guarda con un’espressione seria e mi dice sottovoce due o tre parole intraducibili, in una lingua che non ho mai sentito e che non credo neppure esita….questa qui non è extracomunitaria, sembra un’italiana puro sangue come me, ma perché parla strano?
E’ bella, molto bella, ma i suoi occhi sono assenti, la guardo a lungo, le sorrido, le stringo le mani e chiedo più a me che a lei – Ma cosa cazzo sta succedendo? –
Mi abbraccio a lei cominciando a singhiozzare, inaspettatamente mi porge un fazzolettino pulito di carta, tirato fuori chissà da dove.
Mi asciugo gli occhi ed a braccetto passeggiamo assieme per il treno. Mi indico e a lei dico – Stefano, Stefano – lei annuisce e poi dice – Tefanno – ed io – STEFANO – ben scandito, al che ripete il nome quasi in maniera giusta, poi con un dito indica se stessa e mormora – Haktdell –
Cerco di tradurre e dico – Adele, va bene Adele?
- Haktdell!
- Senti, cerchiamo si semplificarci l’esistenza, io Stefano, tu Adele.
Mi fa cenno come di aver capito, ed io le stringo la mano dicendo a bassa voce, ora ci siamo presentati.
Siamo intanto arrivati ad un vagon lit, troviamo un letto vuoto (sono quasi tutti vuoti) e ci accomodiamo. Lei mi coccola come fossi un bambino, mi accarezza, ma non accenna un sorriso. Chissà da quanto tempo è rinchiusa qua dentro, la vita di treno non dev’essere un granché, ci credo che abbia terminato i sorrisi.
Mi addormento nuovamente mentre lei mi sta accarezzando ed intona una strana nenia.
…..sono nuovamente in quella maledetta auto, Robertino è accanto a me, siamo usciti allegri dalla cena e vogliamo recarci in discoteca. Tra poco ci sarà la curva, lo so, ma non posso far niente se non continuare a guidare, non riesco a frenare e neppure a rallentare: l’auto inizia a sbandare, sfiora un palo, s’impenna, salta un canale, si ribalta due volte in un campo, la portiera di destra si spalanca nella carambola, cerco d’afferrare mio fratello, ma non ce la faccio, viene sbalzato fuori dall’abitacolo mentre l’auto si ferma sulle quattro ruote, gli altri sono solo contusi ma illesi, cercano Robertino, ma non lo trovano: Io so dov’è e non mi muovo dall’abitacolo…sto piangendo….
Mi risveglio che piango, Adele, la mia nuova amica è ancora al mio fianco, m’asciuga le lacrime col lenzuolo, mi accarezza per calmarmi.
- Andiamo a fare colazione.
- …………………………
- Cercheremo un vagon restaurant.
- …………………………
Partiamo alla ricerca del cibo e dopo aver oltrepassato un bel po’ di vagoni, finalmente ne troviamo uno e ci sediamo al bar, ordino un cappuccio con cornetto alla crema per me, e lei con la sua lingua gutturale emette alcune parole in direzione del barman, che si mette subito all’opera e posa davanti a me quello che ho richiesto (incredibile!) e davanti a lei una spremuta d’arancia.
E mentre più tardi passeggiamo insieme senza meta lungo i corridoi del convoglio, il treno nuovamente s’arresta, per poi ripartire quasi subito. C’è una porta, proprio davanti a noi con due ante di cristallo, ma non s’apre.
Fuori la nebbia lattiginosa si squarcia spinta dal vento e ciò che vedo m’angoscia sempre più: ci sono le macerie d’una antica stazione, osservo scheletri d’auto arrugginite e carrelli rovesciati di supermarket, pali della luce e del telefono abbattuti e grovigli di fili attorno ad essi, dei cespugli rotolanti corrono veloci….poi la nebbia ha il sopravvento e chiude la triste visione come un sipario che cala.
Con la mia nuova compagna proseguo la monotona vita da treno non so per quanto tempo. I giorni non sono qui calcolabili perché l’alternanza della luce e del buio all’esterno, sembra casuale, risponde ad algoritmi non commensurabili. Seguito a fare il mio sogno, il mio incubo ogni volta che mi addormento e talvolta anche da sveglio.
E se l’incubo procede, procedono pure le mutazioni che lentamente riesco ad inserire.
All’inizio avevo la coscienza di ciò che stava per accadere, ma non riuscivo ad intervenire in alcun modo, poi pian piano sono riuscito ad introdurre dei piccolissimi movimenti sì da interrompere l’immutabilità della sequenza. Se tentavo di rallentare o di frenare, ciò risultava sempre impossibile, avevo allora, sogno dopo sogno iniziato a variare qualcosa, la prima volta introdussi un colpo di tosse, poi uno sbadiglio, infine una parola, due parole, fu una vittoria quando dissi – Mi accendo una sigaretta – e riuscii realmente ad accenderla prima dell’incidente.
Ho raggiunto il trionfo quando sono riuscito ad accendere una sigaretta anche a mio fratello chiedendogli – Vuoi fumare?
Adesso sono pronto per il vero mutamento, me lo sento, risolverò il problema, so cosa fare.
Ancora con Adele un’abbondante cena (o pranzo?) con vini e birre in una nuova carrozza ristorante, non si riesce mai a ritrovare quella già usata una volta, ma questa volta il ristorante sembra avveniristico, quasi fosse tolto da un film di fantascienza ed ad un tavolo distante dal nostro vedo delle persone che non mi sembrano tanto "persone" hanno delle articolazioni che sembrano sbagliate, ed anche se sono sedute si capisce che devono essere molto alte. Mentre li sto osservando, uno di loro si gira e mi guarda dritto negli occhi, con strani occhi cangianti, e guardandomi mi paralizza per un attimo e mi lancia nella mente un "ma cos’hai da fissare?
Per la durata del pranzo li ignoro, mi sa che è meglio, cerchiamo poi una cuccetta, ne troviamo una superimbottita offerta da queste strane ferrovie dello stato, faccio l’amore in fretta, una sigaretta speziata prima di…
- Buona notte, tesoro..
- Knotte
Sì, qualche parola ha finalmente imparato e poco dopo ecco nuovamente l’incubo, ma affrontato in piena coscienza.
….io guido, l’auto sfreccia veloce e non ci provo neppure a frenare, anzi pigio forse un po’ di più l’acceleratore, ancora due curve prima dell’incidente. Non accendo nessuna sigaretta, non chiedo a Robertino se vuol fumare, ma invece ad alta voce con tono autoritario gli intimo: - Allaccia le cinture!
Il tono è perentorio, da comando, lui mi guarda un attimo un po’ stupefatto, sa che non me le allaccio mai, e guardandomi interrogativamente le allaccia, forse perché strafatto, forse perché intimorito dal tono del fratello maggiore che ordina, o forse per riflesso condizionato, influenzabile anche dall’erba che ha fumato prima. Che so io, ma il fatto è che funziona! L’allaccia!
E mentre la cintura scatta, imbocco la maledetta curva a sinistra, ma sto ridendo e non ho neppure le mani sul volante, e l’auto sbanda e urlo – Ce l’ho fatta! VAFFANCULOOO!!!
Sbanda, sfiora il solito palo, s’impenna, salta un canale, si ribalta per due volte in un campo di granturco, nella carambola la portiera di destra questa volta viene strappata del tutto e mio fratello, Roberto, con gli occhi sbarrati resta inchiodato al sedile dalla cintura che lo stringe….l’auto si ferma infine sulle quattro ruote, e gli altri escono ed io seguito a ridere mentre guardo mio fratello che ha sempre gli occhi sbarrati ed una riga di sangue mi scende dalla fronte.
Poi esco, slaccio la cintura di mio fratello, l’aiuto a scendere, l’abbraccio e ballo con lui piangendo e ridendo.
- Che bello! Non ci siamo fatti un cazzo!
Ci avviamo tutti verso la strada, quando siamo sull’asfalto, torno indietro, dall’auto prendo un vecchio giornale, dalle tasche tiro fuori un pacchetto di sigarette, è di color blu con arabeschi oro, una bustina di minerva con gli stessi disegni del pacchetto, accendo prima la sigaretta, poi il giornale che getto accanto all’auto.
Il fuoco divampa prima sull’erba mentre corro verso gli altri, poi gira attorno all’auto infine l’avvolge con una vampa e poi il tutto esplode con un sordo WWOOWW!!!
Corriamo tutti veloci sulla strada mentre s’ode il botto ed altre auto si fermano.
Mi siedo sull’asfalto, ho visioni d’interno di un treno, con un volto femminile che mi sta scrutando stupito, poi la visione s’allenta e mi ritrovo nella strada con l’auto nel campo che brucia, Robertino m’aiuta ad alzarmi e c’infiliamo nell’auto di Sandro, un amico che c’era dietro ed in discoteca andiamo lo stesso, qualcuno ha già telefonato alla stradale ed al carro attrezzi, tanto nessuno s’è fatto nulla, meglio così.
E sono in discoteca seduto ad un tavolo, con accanto una birra e cerco di ricordarmi qualcosa d’importante che è avvenuto prima dell’impatto, ma non mi viene nulla in mente, e se è veramente importante prima o poi lo ricorderò. La serata va avanti senza storia e mi fumo una dopo l’altra, fino a finirle quelle strane, ma buone sigarette, in quel pacchetto azzurro.
Il mattino ormai s’avvicina e questa strana notte m’ha provato abbastanza, e poi ho finito soldi e sigarette…e l’auto è bruciata….appoggio la testa sul tavolo, mi lascio andare al ritmo martellante della musica, mentre tra luci variopinte scorgo gente ballare nella pista.
La discoteca intorno a me ha improvvisamente un sobbalzo, no sono io che sobbalzo e sono nuovamente flippato alla guida dell’auto, in piena velocità a cento metri da quella stramaledetta curva a sinistra, guardo verso mio fratello: le sue cinture sono allacciate. Tiro un respiro di sollievo e lascio il volante, tanto so già cosa sta per accadere: l’auto sbanda, sfiora il palo, s’impenna, salta un canale, si ribalta per due volte in un campo di granturco, la portiera del mio lato viene strappata via e nella carambola sono io che volo fuori, sfiorando l’auto per poi pesantemente cadere sulla terra del campo. La terra è morbida, ma l’urto è violento e vedo l’auto arrivare proprio sopra di me ed una ruota è sul mio capo, mi colpisce e la testa affonda sotto terra ed assieme al buio sento schiocchi di rami secchi che si spezzano, poi il silenzio si somma al buio.