- vittorio baccelli - i racconti -

- segnalato nella sezione narrativa al premio "surrentinum 2000", finalista nel "racconto in giallo" della città di Fossano,pubblicato per la prima volta su "evasion", fa parte della raccolta "mainframe"-

vittorio baccelli

 

 

                                              FIOCCO DI NEVE A FARGO

 

 

       Il mondo di un uomo d’azione consiste nell’immaginare di avere sempre sotto gli occhi un cerchio incompiuto ma che sarà compiuto con l’aggiunta di un ultimo punto. In ogni istante egli si prospetta altri cerchi, abbandonando un cerchio incompiuto nel quale lascia un punto finale.

                                                                          (Y. Mishima)

Questo senso estetico della Scienza, che seleziona l’eleganza in certe formule matematiche, permette all’errore di risaltare come una nota sbagliata in un ritmo di pensieri e schemi creativi. Il ritmo che troviamo nei numeri, nella Natura e nell’Arte “è la base” come dice anche M.Pavel “delle figurazioni in ambito temporale ed auditivo (musica, canto) spaziale o visivo (arte, architettura)”. Si pensi a questo proposito a certe decorazioni arabo-islamiche ed allo yantra (immagine che conduce alla meditazione) induista nepalese risalente al 1750 circa oppure all’emblema religioso ebraico: la stella a sei punte di David, che ricordano in modo incredibile le elaborazioni generate per iterazione di una delle figure frattali più famose, descritta per la prima volta nel 1904: la curva di Helga von Koch detta a “Fiocco di neve”.           (R. Maggi)                                                                                                                                                                                                                        

Ero un killer della yakuza, anzi ero proprio il miglior killer ed il più sofisticato sulla piazza.

Avevo con la yakuza un contratto  iniziato da più di quindici anni, ed il mio datore di lavoro aveva investito su di me, come avevo cominciato, invece, è un’altra storia.

Ero in possesso di un fisico invidiabile e quasi indistruttibile grazie a tutta una serie di impianti, erano in me incorporate protesi sia d’attacco che di difesa.

Avevo possibilità di visione notturna e telescopica, armi letali innestate sia da taglio che laser, ero una perfetta macchina per uccidere con addestramento militare, potevo togliere la vita con le mie protesi, con le arti marziali, con ogni tipo di arma, dar la morte per me era un’arte.

Quella domenica mattina mentre alla TRI-TV stavo guardando una telenovela s’accesero i led dell’elaboratore e mentre la stampante entrava in funzione apparve sul video una piantina della città con un percorso dettagliatamente segnato che dal mio appartamento portava ad una abitazione a circa cinque chilometri di distanza, seguivano poi i codici d’accesso all’appartamento contrassegnato, che si trovava al dodicesimo piano, la foto dell’eliminando, l’indicazione “è solo in casa”, il tipo d’arma da usare “coagulatore a raggio”, ed il momento dell’operazione “subito”.

Disattivai la piastra e l’oloproiettore, le immagini dello spettacolo che stavo seguendo lentamente si dissolsero.

Memorizzai i due codici d’accesso, portone ed appartamento, poi distrussi il foglio della stampante gettandolo nell’inceneritore.

Mi sedetti sulla poltrona ed iniziai esercizi respiratori di rilassamento, dopo alcuni minuti il computer di casa annunciò: “Postacity in arrivo”.

Aprii la cassetta postale, i cui led avevano iniziato a lampeggiare, ed all’interno vi trovai un pacchetto che subito iniziai a scartare, il coagulatore era arrivato, indossai una giacca a vento e lo sistemai in una tasca interna.

Scesi in garage, avviai il mio modulo di trasporto ed in pochi minuti giunsi ad un isolato dall’indirizzo, parcheggiai, mi applicai una maschera facciale ed infilai un paio di guanti, anch’essi in pelle sintetica e con impronte digitali ben differenti dalle mie.

Finito il travestimento mi osservai nello specchietto retrovisore, sembravo molto più vecchio, mi sorrisi compiaciuto ed uscii dal modulo.

Giunto all’indirizzo ove dovevo compiere il lavoro, vidi che il portone era già spalancato, entrai e con l’ascensore salii al dodicesimo piano. C’era una sola porta a quel piano, digitai la combinazione che avevo memorizzato e l’anta silenziosamente si scostò.

Un lavoro veramente semplicissimo, non avevo neppure incontrato nessuno - tra pochi minuti mi ritroverò a casa a riprendere la visione che ho interrotto – ricordo di aver pensato.

Estrassi silenziosamente il coagulatore e mi introdussi nell’appartamento, ero a metà corridoio quando da una porta accostata avvertii lievi rumori.

Aprii lentamente e vidi l’eliminando in piedi, di spalle dietro ad una scrivania, attivai il raggio e lui si accasciò sul pavimento, quasi senza alcun rumore, un folto tappeto aveva attutito l’impatto, tutto si era svolto come al rallentatore.

Lo voltai per vederlo in faccia, si era proprio lui, fu in quel preciso istante che i miei sensi potenziati avvertirono una presenza dietro le mie spalle, istantaneamente feci scattare la lama impiantata nel medio della mano sinistra mentre roteando veloce squarciai la gola ad una ragazza che col laser spianato era proprio dietro di me.

Osservai la rossa macchia che andava spandendosi sul tappeto, poi guardai attentamente l’eliminato, meno male che doveva essere solo!

Mi soffermai sull’arma della ragazza e notai perplesso che quel tipo di laser normalmente è in dotazione alla yakuza.

Attivai l’elaboratore personale ed attraverso la visione retinale rividi, rallentando, la scena nei minuti dettagli e non potei far a meno di ammirare la precisione del colpo di lama.

Osservai poi minuziosamente il set con la visione scannerizzata e scoprii che l’eliminando non stava guardando il quadro posto dietro la sua scrivania, il quadro era solo un ologramma che mascherava una cassaforte già aperta.

L’eliminando stava guardando lì dentro, ecco perché mi voltava le spalle.

Mi avvicinai, la cassaforte era zeppa di grosse mazzette di crediti, nell’ultimo ripiano c’erano dei microchips stranissimi di tipo militare con sopra stampigliati degli ideogrammi cinesi.

Aprii un armadio a muro e trovai una grossa borsa nera di tela, la riempii con le mazzette e misi dentro pure i microchips, scesi dalle scale dopo aver richiuso cassaforte ed appartamento, notai che la cassaforte aveva una sofisticatissima apertura a scanner retinale.

Giunto a casa misi le mazzette nel mio ripostiglio segreto, ma una me la infilai in tasca.

Chiusi i microchips in una busta sigillata e li inviai tramite postacity al mio ricettatore di fiducia, non a quello che usavo ufficialmente, sulla busta era stampigliato a barre colorate il mio codice segreto, se valevano qualcosa mi sarebbe stato accreditato sul  conto un decimo del valore reale.

Borsa, guanti e maschera facciale finirono subito dopo nell’inceneritore.

Terminai la visione dell’oloprogramma e passai il resto della domenica in compagnia di una studentessa che avevo conosciuto al parco qualche settimana prima.

Anche se aveva solo sedici anni, riuscii a divertirmi abbastanza.

Il giorno successivo non ricevetti alcuna comunicazione e così con la piastra neurale ed il diffusore delta mi interfacciai con una delle migliori professioniste della città.

Alla sera decisi di controllare il mio conto e con gran sorpresa lessi un versamento che aveva dell’incredibile.

-Cazzo! – pensai, - ho avuto buon naso a portar via quei circuiti!

Tutto felice ed anche un po’ schizzato di neococa a piedi raggiunsi il Cronodrome, che era stato in fretta ricostruito ancor più complicato di prima.

Passai lì tutta la notte, prima giocando al casinò e fatto strano, vinsi, poi mi fermai all’orgia olografica, infine ricordo d’esser passato al computer bar, quello degli hacker.

Uscii a mattino inoltrato ed ero a piedi giunto vicino alla mia casa….. e qui i ricordi s’interrompono.

Mi ritrovo in una cabina di un autodoctor pubblico, completamente nudo, con una ragazza che ha il terzo occhio impiantato, dal poco abbigliamento che indossa è sicuramente una prestatrice di sesso, ma è tutta imbrattata di sangue. Mi aiuta a restare in piedi.

E qui ho il primo trauma, la parete a specchio rimanda l’immagine di un giovane ventenne, biondo, alto circa uno e settantacinque, esile ma benfatto: cerco di scannerizzare la visione, ma niente succede.

Mi rendo conto che quel biondino tipo studente universitario, sono proprio io e che tutti i miei bei muscoli trapiantati ed anche gli impianti sono andati a farsi fottere.

Cazzo! Anni di lavoro e migliaia di crediti, svaniti, sono un semplice ventenne integro, non impiantato come un qualsiasi studentello imberbe.

Che cazzo mi è successo?

-         Io sono Leila, dimmi grazie – e mi mostra ciò che resta dei miei abiti: la tuta

 insanguinata tagliata in sei o sette brandelli.

- Hai avuto proprio un casino di fortuna che il killer t’ha fatto a pezzi col filo monomolecolare proprio davanti ad un autodoctor pubblico, ed ancor più culo hai avuto che io fossi sul marciapiede proprio dall’altro lato della strada. Ti ho visto fare a fette in un attimo ed il killer è sparito nel nulla così velocemente come era apparso. Sono immediatamente corsa da te, ho raccolto i tuoi pezzi fumanti e sanguinanti, otto se ricordo bene, e l’ho scaraventati nell’autodoctor, ho immediatamente richiuso la pseudobara, dal tuo portafoglio che era in terra, ho preso a caso una tessera di credito e l’ho infilata nella fessura dell’autodoctor.  Per tuo sommo culo quella tessera doveva essere zeppa di crediti, infatti tutti i led si sono accesi immediatamente e pulsavano come impazziti mentre l’autodoctor iniziava a lavorare. Da ciò che restava dei tuoi abiti ho estratto anche un casino di crediti, poi ho vomitato anche gli occhi.

Mentre lei parla io seguito a fissarmi allo specchio e solo allora mi rendo conto di dove mi trovo, sono nel bagno dell’autodoctor, poi guardo il mio corpo con gli impianti tutti scomparsi, macchina da guerra addio.

- Da quanto siamo qui? –

- Tre o quattro ore, ho perso la nozione del tempo, comunque mi sembra una vita che sto tentando di ripulirmi dalla tua merdosissima materia organica, ma sono         sicura che mi ripagherai alla grande del disturbo.

-         Vai a comprarmi dei vestiti e compratene di puliti anche per te, poi penseremo al

 da farsi.

Lei se ne va mostrandomi la sua borsetta piena zeppa dei miei crediti, torna dopo una mezz’ora con tutto l’occorrente e miracolosamente della mia nuova misura: scarpe, calzini, boxer, t-shirt, tuta, guanti, giacca a vento, zainetto, vedo che anche lei si è completamente rivestita a nuovo.

Finisco di farmi la doccia, mi asciugo, mi rivesto e le dico – Ho tanti di quei crediti da aprire una banca, ti va di venire con me?

-         Perché no ? – fa lei – io ho tanti di quei debiti che non mi basta lavorare una vita

 per ripianarli.

-         Favoloso, siamo fatti l’uno per l’altra.

Infilo i brandelli degli abiti della mia passata esistenza in un sacchetto di carta, uno di quelli che Leila mi ha portato con lo shopping, metto nel sacchetto anche gli altri involucri e usciamo.

C’è un cassonetto dell’immondizia, getto il sacchetto, poi entriamo nel condominio ove ho l’appartamento, saliamo assieme le scale, montiamo fino al piano sopra il mio, apro l’appartamento battendo il codice, è di una gentile signora che sta sopra di me e che conosco benissimo, so che questa settimana è troppo occupata per stare in casa.

Dalla finestra della sua cucina mi calo fin nel terrazzino sottostante del mio appartamento, mentre Leila mi aspetta.

Rompo il vetro ed entro, la mia casa è tutta sottosopra, cassetti rovesciati, sedie e poltrone sventrate, tutta l’apparecchiatura elettronica fatta a pezzi, il ripostiglio segreto è aperto ma le mazzette di crediti sono sparpagliate sul pavimento, dunque erano i chips che cercavano, ora capisco.

Prendo la mia sacca da ginnastica che è rimasta integra ed in fretta infilo dentro tutte le mazzette, poi torno sul terrazzino ed afferrandomi ad una canala rientro nell'abitazione soprastante.

Leila per un braccio e la pesante sacca a tracolla scendiamo di corsa le scale.

Girato l’angolo della strada entriamo in un computer bar, quello dove vado sempre a far colazione.

Ovviamente nessuno mi riconosce, ci sediamo ad un tavolo, ordiniamo caffè e neococa.

Le tengo una mano, siamo un’anonima coppietta.

Dopo che il cameriere ci ha serviti, senza farmi notare estraggo la telechiave di tasca e formo la combinazione del mio appartamento, s’ode una sorda esplosione, poi digito la combinazione dell’accensione del mio modulo di trasporto, che è parcheggiato poco lontano ed un’altra esplosione, questa volta più forte, fa tremare la vetrina del bar.

Un cameriere ed un paio di clienti si affacciano alla porta, guardano verso la strada, poi rientrano nel bar indifferenti.

Ordino due pizzette, poi attivo la consolle sul tavolo, digito le mie chiavi ed attuo un trasferimento di tutti i crediti su un nuovo conto crittato.

Usciamo, mi dirigo verso una buca postacity, digito il mio nuovo conto e quando ho la conferma inserisco la sacca coi crediti.

Sul display appare dopo pochi minuti la ratifica dell’arrivo, ma per avere l’importo dell’accredito aspetto più di un quarto d’ora.

Quando infine appare la cifra dell’accredito ed il totale del conto, sicuramente più alto del bilancio annuo di uno stato medio piccolo, sorreggo Leila che sta per svenire.

-         E ora di corsa all’aeroporto, è il momento di cambiare aria.

Lo raggiungiamo con un vecchio taxi, il prossimo aereo in partenza è per New York, due posti liberi ci sono, acquistiamo il biglietto alla reception automatica e pago col mio nuovo esagerato conto.

Tutto OK.

Il viaggio è senza storia, un po’ dormiamo ed un po’ ci colleghiamo con la piastra neurale, siamo insieme ad una festa mascherata a Venezia, ci mettiamo a ballare, ci baciamo, non ho mai avuto una donna con il terzo occhio, dicono che sviluppi facoltà paranormali.

Arrivati a New York mi siedo ad una reception automatica e digito a caso.

Sul monitor leggo Fargo, c’è un volo charter tra quindici minuti che parte dallo scalo centoventuno, fisso due posti e questa volta pago inserendo crediti contanti.

E così due ore dopo siamo a Fargo e ci accoglie un vento gelido e sferzante.

Fargo nel Nord Dakota, meno di centomila abitanti distribuiti su un territorio irragionevolmente vasto.

Tutto è imbiancato di neve, casette basse ad un piano, viali ordinati, l’immancabile distributore di carburanti con la bandiera americana, sembra proprio d’aver spiccato un salto nel passato.

I moduli di trasporto scivolano sulle strade ghiacciate con la distratta perizia dell’abitudine, incontriamo persone dall’aria gentile ma frettolose.

Siamo nella profonda, senza tempo, gelida America dove si cucina il tacchino e dove la sera presto tutti si chiudono in casa a spararsi i programmi TRI TV.

E sopra tutto la spettacolare presenza di una neve quieta ed incessante che attutisce i rumori e dilata i profili.

Una coltre umida ma allo stesso tempo consistente che fa di una pianura monotona un oceano abbagliante.

Frastornati dalla diversità climatica e culturale, in questo bianco oceano desolato, senza Cronodrome e senza yakuza, abbiamo affittato una casa, ovviamente ad un piano, ed anche noi mangiamo tacchino, facciamo l’amore, guardiamo dalla finestra la neve scendere, accendiamo la TRI TV ed il proiettore olografico, ci colleghiamo con le stelle del sistim e con il diffusore delta talvolta viviamo situazioni virtuali ma estreme.

Ormai sono abituato al mio corpo ventenne senza protesi e impianti, a parte la piastra neurale che l’autodoctor mi ha risparmiato.

Anzi siamo contenti di questa nuova situazione così morbida, cosi naturale.

Guardo il cielo dello stesso color grigio-bianco un po’ perla dell’abbagliante panorama circostante ed un fiocco di neve solitario scende volteggiando verso la finestra, la apro ed il fiocco entra in casa posandosi delicatamente sopra il tappeto e vedo Leila fissarlo con il suo terzo occhio.

In telepatica sintonia scomponiamo mentalmente la geometria euclidea dei suoi cristalli, poi ci addentriamo nella sua più intima realtà frattale, mentre pian piano il fiocco di neve va liquefacendosi.