GIORNO TERZO

CAPITOLO 1

Giorno terzo del primo mese di Rinascita.
Calendario gaudiano.

"Ho ricevuto il tuo messaggio lungo la strada. Ho temuto che ti fosse successo qualcosa, di solito non mandi Libres senza un motivo più che valido.
Visto che mi chiedevi ragguagli sulla mia situazione ti accontento.
Dopo un giorno e mezzo di cammino da Vircos sono arrivato, stremato, ad Irmos presso la taverna di cui mi hai scritto..."

La locanda era lungo la strada principale che, dal varco anellare d'Adachi, attraversava l'Anello per Ingmard.
Amorc vi giunse nella notte.
Una notte senza stelle.

"E' buffo, sono nato e cresciuto nel Primo Anello, e non mi ero mai accorto di questa locanda. Quello che più mi ha colpito sono stati i muri, costruiti con pietre di Ghios.
Strano.
Ti assicuro che esitai qualche istante prima d'entrare, ma ero così stanco che, alla fine, mio malgrado, ho varcato la soglia. Il gestore mi venne subito incontro e, parlandogli, appresi del tuo arrivo..."

Amorc si fermò sulla soglia facendo scorrere lo sguardo da una parte all'altra dell'ambiente. Il locale, non molto ampio, era impregnato dagli odori del vino speziato e della carne fritta. L'illuminazione appariva buona anche se, la spessa coltre di fumo dovuta alle torce ed alle pipe, faceva lacrimare gli occhi ed annebbiare la vista.
Amorc calcolò che potessero esserci sei o sette tavoli squadrati e due panconi, ma le sedie erano molto più numerose. Alla sua destra vi era un semplice bancone di legno, con dietro cinque botti, disposte per orizzontale, tre sotto e due sopra, dalle quali fuoriuscivano un paio di spine, mentre alla sua sinistra vi era la sala vera e propria con i clienti che occupavano gran parte dei posti a sedere. Le persone sembravano un miscuglio di contadini, viaggiatori e ubriaconi. Alcuni, con le facce segnate da profonde cicatrici, sembravano portare sulle spalle un passato criminale, altri apparivano come uomini abituati a tutte le fatiche, alle sofferenze e alle privazioni.
Entrò
Alcuni sguardi si spostarono su di lui squadrandolo da capo a piedi, ci fu un breve silenzio rotto dal brusio e poi, lentamente, ognuno riprese a concentrarsi su ciò che stava svolgendo in precedenza. Avanzò d'alcuni passi in corrispondenza del bancone e le stuoie, che ricoprivano il pavimento, scricchiolarono sotto i suoi stivali.
In pochi istanti, fu raggiunto da un uomo dalla figura grottesca che gli allungò la mano in un gesto amichevole.
"Buonasera! Sono Acrof, il gestore del locale..."
Amorc rispose alla stretta di mano e lo guardò meglio: il suo abito logoro era costituito da una camiciola color senape, legata sulla goletta con lacci di cuoio scuro, dal collo scendeva un ciondolo a forma d'occhio gaudiano, usato come amuleto contro i folletti terreni di Rhos; le brache erano verdi così come le scarpe, sporche e consunte dai parecchi lavaggi e per finire, un cinturone di pelle conciata cingeva l'addome evidenziando la vasta prominenza del ventre.
"La stavo aspettando, la prego si accomodi e ordini pure ciò che desidera..." gli indicò un tavolo con un posto libero e si asciugò la fronte dal sudore.
Amorc non si volse a guardare dove Acrof aveva indicato ed ostentò un sorriso di circostanza.
"No grazie! Sono molto stanco... per ora desidererei solo una stanza, se è possibile..." rispose svogliatamente.
Il gestore sorrise ed un ammasso di denti gialli e storti fece capolino tra le labbra carnose.
"Ma certo!" si avvicinò al suo interlocutore parlando sottovoce "Ascolti...una persona che vi è amica è stata qui quattro giorni fa e mi ha chiesto espressamente di aiutarvi, se ce ne fosse stato bisogno...ha pagato in anticipo il vostro vitto e alloggio..." poi, battendosi il palmo della mano destra sulla fronte continuò "...ah! Quasi dimenticavo..."abbassò ulteriormente la voce "...ha lasciato un grosso borsone di cuoio per lei...desidera ritirarlo stasera o domani?" lo guardò attendendo una risposta.
"Domani, se non le è di troppo disturbo." spostò il peso del corpo sulla parte del corpo non dolorante.
Acrof arcuò le folte sopracciglia.
"Ma quale disturbo! Domani provvederò io stesso a consegnarle la roba!" lo prese per una spalla spostandolo di qualche metro "Ora le indico la stanza, così potrà riposarsi."
Amorc si passò pollice e indice sugli occhi e sospirò, si sentiva veramente sfinito.
"Bene, la ringrazio."

"Non so se lo avevi previsto (e preferisco non saperlo!) ma sono stato ferito al fianco destro.
Un mutante che ho incontrato nei pressi di Merit mi ha aggredito. Ma ti spiegherò tutto nel nostro prossimo incontro, in ogni caso rimani tranquillo, il taglio non è profondo...
Ho fasciato la ferita cospargendola con una delle tue "pomate miracolose". Mi rendo conto che trovarsi qua, senza forze a porsi domande è una situazione piuttosto ridicola. Sai, non so perché ma ora non mi dispiacerebbe avere accanto quel pazzo di Rilcos a rallegrarmi un po'..."

Sorrise, ma ciò che uscì dalla gola fu piuttosto un suono amaro.
Chiuse le palpebre e ricordò quando giocava con Rilcos, suo migliore amico, sul prato di Selbia, nei pressi d'Ingmard. Quando fingevano d'essere valorosi cavalieri, le loro corte spade di legno si incrociavano nell'aria dando l'abbrivio a fantasiosi vortici d'avventure mentre nel vento echeggiava il loro motto...

"Sempre fianco a fianco,
nel bene e nel male,
mai patiremo dolore e paure..."

Un colpo di tosse lo fece sussultare risvegliandolo violentemente dai suoi pensieri.
Si guardò attorno per la prima volta.
Il tugurio era semibuio, illuminato solo da due candele rette da braccetti di ferro battuto che sbucavano dal muro come serpi da una tana, le pareti, di solida pietra, si aprivano su un'unica inferriata che permetteva, all'impietosa luna, di mostrarsi in quasi tutto il suo splendore.
Il miasma che permeava tutt'attorno era quasi insopportabile, si ricordò di averlo già sentito, probabilmente addosso ad un Gloss, nelle terme d'Aircos o sulla pelle dopo essersi spalmato uno degli unguenti d'Evasio, mago d'Ingmard e suo fidato amico.
Per una strana e masochistica concatenazione di pensieri si ritrovò a ricordare le taglienti parole dello stregone riguardo a Rillegaze, la donna che più amava al mondo.
"Amorc devi dimenticarti di quella fanciulla! E' una prescelta di Rhos!"
Un tremore febbrile attraversò il corpo del giovane. Amorc e Rillegaze furono separati quando erano ancora poco più che fanciulli, Rillegaze era stata prelevata improvvisamente da casa, in una notte di fine estate, da quattro soldati dell'ordine imperiale. Amorc non aveva avuto modo di salutarla e l'unico ricordo tangibile che le era rimasto consisteva in una ciocca dei suoi bei capelli, tagliata furtivamente prima di partire, e lasciata alla madre con un biglietto bagnato di lacrime.
Da allora Amorc non aveva più amato nessun'altra donna. Sì, aveva avuto qualche fugace avventura, dopotutto la sua prestanza fisica non passava di certo inosservata, ma mai nulla di veramente impegnativo. L'idea di creare un legame poco più che amichevole, lo rendeva insofferente.
Si agitò cercando di trovare una posizione più comoda, ma ad ogni inspirazione, la ferita gli lanciava una scossa di dolore che lo raggiungeva al cervello.

"Ma ora, amico mio, devo cercare di dormire, speriamo di rivederci presto. Amorc"
Si avvicinò alla grata della finestra e accostò il fischietto di legno donatogli da Evasio, sulle labbra. Il suono che ne scaturì era flebile ma acuto, quasi fastidioso e si perse nella notte.
Libres, un nobile falco argenteo d'Iceglass, gli volò incontro. Amorc lo carezzò e, sussurrando tenere parole, gli legò attorno alla zampa, con una striscia strappata dal bordo della camicia, il messaggio per Evasio.
Si adagiò nuovamente sul pagliericcio e serrò nella mano il gioiello di Heyless, lo smeraldo dei giusti.
Pronunciò mentalmente le tre benedizioni di Aramit:

La pace dell'anima
La volontà del giusto
La forza nel combattere

Si concentrò sull'energia segreta che emanava dalla gemma e cadde in un sonno profondo e senza sogni.

Nel cuore della notte fu svegliato da uno strepito improvviso.
Rotolò di lato afferrando con agilità la spada abbandonata vicino al bordo del pagliericcio.
"...una buona vecchia abitudine..." mormorò.
Per una frazione di secondo si dimenticò della fitta che lo aveva tormentato tutta la notte e trattenne un gemito, quando il brusco movimento ridestò il dolore.
Cercò di alzarsi, lentamente.
Si avvicinò alla porta, nell'attesa di qualche rumore sospetto.
Nulla.
Tutto sembrava essere tornato alla normalità.
Un'altra fitta.
Accostò la mano al fianco: pulsava dolorosamente. La spartana fasciatura sembrava resistere ma la pomata cicatrizzante d'Evasio non dava i risultati sperati. Alzò il gancio metallico e aprì lentamente l'uscio. Nell'aria risuonò il breve cigolio dei cardini e poi la sua figura, illuminata da una piccola torcia sulla parete, occhieggiò nella stanza.
Tese le orecchie.
Nessun rumore, tranne quello del vento che, spirando impetuoso, sibilava, tra le crepe della pietra, coprendo ogni altro possibile suono.
L'androne era deserto, non sapeva se inoltrarsi sarebbe stato saggio nelle sue condizioni, ma aveva la certezza che fosse meglio affrontare un ipotetico ladro da sveglio piuttosto che essere aggredito e derubato durante il sonno.
Si spinse cautamente fuori.
Accostandosi al muro lasciò che lo sguardo si abituasse alla semi oscurità che stagnava oltre il cerchio illuminato dalla fiaccola. Ammorbidì la presa sull'elsa e proseguì verso la scala, alla sua destra.
Avanzò di qualche mita e intravide il profilo della balaustra. Si fermò, guardandosi attorno.
...forse è stato un falso allarme...pensò ...probabilmente qualcuno ha fatto cadere un oggetto o magari un battente chiuso male...
Tutto poteva essere, ma l'istinto gli suggeriva che c'era qualcosa di più. Possibile che la tensione lo portasse ad avere timore anche di un innocuo tonfo?
La stanchezza lo stava sopraffacendo e, non avendo trovato niente di particolarmente insolito, decise di ritornare verso la stanza.
Fece il percorso a ritroso indietreggiando con le spalle appoggiate alla parete e la spada in guardia diritta davanti a sé.
Entrò.
Chiuse l'uscio, con il gancio, e si sedette sul giaciglio appoggiando l'arma di nuovo accanto a sé.
Chiuse gli occhi rimanendo con i sensi all'erta. Il silenzio sembrava aleggiare su ogni cosa, persino il vento aveva rallentato il suo ululare. Finalmente l'agognato e rassicurante torpore della stanchezza si fece strada in lui ed in un breve istante fu avvolto dalle spire del sonno. La mano sinistra gli scivolò lungo il fianco e nel tragitto urtò qualcosa.
Un brivido lo scosse ma non era il solito tremore che anticipa l'assopimento, era qualcos'altro, qualcosa che Amorc aveva dimenticato.
La visione.
L'immagine prende sopravvento.
Vede ma non è lui, è come se guardasse con gli occhi di un'altra persona. Tutto è confuso. E' buio ed è fuori, sente il rumore dei propri passi sull'acciottolato ma, poco per volta il rumore si spegne attutito dall'erba. Non molto lontano, di fronte a sé, scorge una costruzione, gli sembra di conoscerla, ma va troppo veloce per distinguerla. La fiancheggia lambendo il muro. Ecco una porta, è chiusa ma vede delle mani scure, proprio sotto di lui, che maneggiano con la serratura e, nel giro di pochi istanti, la porta è spalancata. Subito dietro di essa, si apre una buia rampa di scale che sembra perdersi, in alto, nel nulla, sale ed il respiro si fa affannoso. Oramai gli occhi sono abituati all'oscurità, ed alla sua destra distingue chiaramente una porta, questa volta aperta, entra, il pagliericcio...lo riconosce! E' la stanza dove lui sta dormendo! Una mano, che ora capisce essere inguantata, rovista nel suo giaciglio, sembra cercare qualcosa ma poi scopre che l'intenzione è di nascondere qualcosa...un rumore di passi...l'essere si volta di scatto respirando sempre più penosamente. Inquadra la porta e corre in quella direzione per poi... svanire.
Amorc scattò sul giaciglio con il respiro mozzato in gola. La faccia madida di sudore e gli occhi sbarrati. La sua mano sinistra stava stringendo con forza qualcosa. Che cosa diavolo gli era successo? Un incubo? Eppure tutto era così reale!
Si sedette sul letto passandosi le mani tra i capelli e cercando di riprendere il controllo del proprio cuore. Aprì la mano tremante accorgendosi di avere nel palmo di essa, una piccola pergamena chiusa da un nastro rosso.
Slacciò, non senza difficoltà, il cordoncino e stese il foglio.
Per un attimo, colto dalla sorpresa, si dimenticò di respirare.
Il pezzo di carta era completamente bianco. Lo rigirò tra le mani cercando di trovare qualche lettera un disegno, ma nulla. Accese una candela e si avvicinò per cercare di vedere meglio, provò a passare la carta vicino la fiamma per verificare se il contenuto fosse scritto con succo di limone, ma ancora nulla.
Il foglio era intatto, pronto per essere scritto.
Pronto per essere scritto...pensò.



CAPITOLO 2

La luce del sole filtrò attraverso l'inferriata, lasciata libera dagli scuri, investendo Amorc in pieno volto. D'istinto si portò il dorso della mano sugli occhi, emettendo un gemito.
Aveva dormito poco e male. Per tutta la notte era stato assillato dal pensiero di quello che gli era accaduto.
Portò il braccio sinistro sotto la nuca e fissò il soffitto. Non vedeva l'ora di tornare al suo tranquillo lavoro d'erborista; in questi ultimi giorni gli era successo di tutto e lui non era certo abituato a quel genere d'avventure. Aveva raggiunto il Confine per raccogliere delle preziose erbe che sarebbero servite sia ad Evasio che a lui, anche se per motivi diversi, naturalmente. Tutto era andato per il meglio, un viaggio tranquillo con l'ausilio di un cavallo preso a prestito da un contadino che gli doveva dei soldi. Poi l'imprevedibile: un mutante aggredisce una piccola contadina a pochi passi dal suo tragitto. Che fare? Non poteva certo girarsi dall'altra parte e continuare, così intervenne.
E cosa ne ricavò da quel cavalleresco gesto? Ne ottenne una ferita, per fortuna superficiale, al fianco destro, il cavallo disperso, fuggito chissà dove ed il mutante azzoppato, ma per nulla impedito dal darsela a gambe verso un posto più sicuro. La bimba, se non altro, ne uscì indenne anzi, dopo un timido ringraziamento elargito bisbigliando tra le labbra tremanti, si diresse, con la stessa velocità di chi ha un demone alle caviglie, nella direzione opposta a quella dell'aggressore, probabilmente verso casa.
Fino a qui tutto poteva essere abbastanza regolare ma la "visione" avuta nella stanza? Quella lo aveva profondamente sconvolto, quelle "cose" non potevano accadere proprio a lui, essere equilibrato ed "ordinario", quelle erano "cose" da Evasio o da qualche drogato soldato imperiale.
Sospirò e decise di alzarsi, dopotutto ora non era in grado di darsi una spiegazione dell'accaduto, si ripromise che, una volta giunto ad Ingmard, n'avrebbe discusso con Evasio, lui avrebbe chiarito tutto, in un modo o nell'altro...sì perché l'importante non era la "visione", l'essenziale era il "perché" ed il "come funziona" della visione. Doveva pur esserci un'interpretazione logica per questi curiosi eventi.
Prese fiato e si raddrizzò cercando di non fare movimenti che avrebbero potuto ridestare il dolore. Si sedette sul bordo del letto, sbadigliando. Appoggiò le mani al limite del pagliericcio e, facendosi forza su di esse, s'issò in piedi. Assicurò l'arma alla grossa cintura e controllò che la piccola pergamena fosse ancora nella tasca interna della giacca di pelle.
C'era.
Si avvicinò alla piccola finestra e guardò fuori socchiudendo le palpebre, per non rimanere abbagliato dall'accecante luce del mattino. Il cielo era azzurro, macchiato qua e là, da nubi di modeste dimensioni, qualche astore solitario si librava in cielo mentre un cervo incuriosito brucava l'erba ai bordi della fitta foresta d'Arghentia. Non aveva idea di che ora fosse ma, dall'altezza del sole nel cielo, non doveva essere più tardi delle sette.
Si scostò e tese le braccia in avanti accorgendosi, con gioia, che quello sforzo non gli causava troppo dolore.
Aprì la porta con l'intenzione di scendere al piano inferiore.
Oltrepassata la soglia si guardò a sinistra e notò una seconda scala. Ieri notte, nella confusione degli eventi, non si era accorto di quell'ulteriore passaggio ma si ricordò che, nella visione, era proprio da lì che era passato il misterioso messaggero; sempre che la sua cosiddetta "visione" fosse vera, naturalmente. Scacciò nuovamente il pensiero e, chiudendo la porta dietro di sé, scese le scale.
Giunto al piano inferiore si accorse, con piacere, che la cortina di fumo della sera precedente, non esisteva più; l'aria era più respirabile anche se già si cominciava a fiutare un lieve olezzo di fritto e bevande stantie. Gli stivali toccarono le stuoie del pavimento, facendolo lievemente crepitare e si diressero verso un tavolino vuoto vicino ad un grosso camino con braci ancora palpitanti di fuoco. Quella mattina gli avventori erano pochi. Ne contò sei di cui due seduti ad un tavolino di fronte al suo, gli altri quattro sparsi qua e là.
Amorc notò che i due uomini seduti davanti a lui erano soldati imperiali. Avevano abbandonato il tabarro scuro sulle due sedie laterali e la divisa, dai colori così forti e funesti, non poteva certo passare inosservata. Il rosso ed il nero, i colori dell'Impero Arketon. Colori scelti per comodità oltre che per bellezza. Il rosso copriva le macchie di sangue e sul nero certo non risaltavano. Sospirò. Quando si è giovani, si è convinti di poter cambiare il mondo, si anela a creare una civiltà dove nessuna creatura, umana o meno, possa mai morire per le mani di un altro individuo. Poi, crescendo, ti rendi conto di avere poche possibilità, di non possedere mezzi appropriati con cui lottare e, forse per paura o vigliaccheria, di non volerti sporcare le mani. L'Impero degli Arketon spadroneggiava in tutti i territori di Brokenland. In tutti e Sette gli Anelli per la precisione ma, forse un giorno, avrebbe trovato un modo per superare il Confine e colonizzare le aree sconosciute di là da esso. Erano zenith che, i vari imperatori si succedevano in questo ambizioso tentativo ma i morti, a migliaia, e le truppe imperiali decimate, costrinsero a rimandare gli intenti.
Scosse la testa.
Un tempo si era chiesto come fosse possibile che, uomini nati in una terra sottomessa e devastata come Brokenland, potessero decidere di arruolarsi nell'esercito. La realtà era terrificante e surrealistica al tempo stesso, questi individui decidevano di mettersi contro famiglia ed amici esclusivamente per la fame dell'oro, l'incantesimo dell'Ixous, la droga che li rendeva schiavi e la magia.
Lo stomaco emise un rumore sommesso e questo fu sufficiente a ridestarlo dai suoi pensieri. Non vide nessuno servire ai tavoli, così decise di alzarsi per cercare il gestore o l'eventuale cameriere. Proprio mentre sollevò le natiche dalla sedia, una ragazza sbucò da una porticina laterale vicino al bancone. La giovane donna aveva tra le mani un paio di ciotole e si avvicinò, di gran carriera, a due uomini che, finita la prima porzione, probabilmente avevano chiesto il bis. I capelli della ragazza erano raccolti all'interno di una cuffia chiara, ma alcuni boccoli scuri le scendevano maliziosamente davanti alle orecchie, ed era proprio da sopra una di esse che, una volta posate le tazze, raccolse una scheggia allungata e bianca. Un gesso. Utilizzò il gesso ed una piccola lastra d'ardesia per fare un breve calcolo, poi lo mostrò al cliente, che con tutta probabilità non sapeva nemmeno leggere, e pronunciò la cifra a voce alta. Il contadino slacciò il portamonete e n'estrasse cinque Arketi di bronzo. La giovane raccolse le monete dal tavolo facendo leva con il medio ed il pollice e se le infilò sotto il grembiule candido e parzialmente sollevato sui fianchi.
Appena sollevò lo sguardo, Amorc le fece un cenno con la mano e la ragazza si avvicinò, sorridendo.
"Eccomi, signore. Desidera?"
Da buon osservatore di donne Amorc non poté fare a meno di notare la bellezza umile ma procace della locandiera: il suo sorriso era dolce e pulito come tutto il volto. La fanciulla aveva la carnagione leggermente abbronzata e gli occhi scuri dello stesso colore dei capelli. Il suo abito profumava di fresco ed era semplice: una camicia bianca stretta sotto il seno e fino alla vita da un bustino di un verde tenue. La lunga gonna aveva lo stesso colore del busto e sotto di essa spuntavano due buffi zoccoli con la punta rivolta verso l'alto. Sembrava snella nonostante il bustino riuscisse a trattenere a stento il seno prorompente.
Amorc si schiarì la voce mentre la fanciulla arrossì vistosamente.
"Non so, portatemi quello che avete." la guardò sorridendo e sfoderando quello sguardo che, lui sapeva, destava un non so che di particolare sul genere femminile "E' da ieri sera che non mangio e ho un certo appetito...".
La ragazza non riuscì a comprendere di che cosa stesse parlando l'affascinante ragazzo che aveva di fronte. Diceva "appetito" ma, da come la guardava, sembrava che fosse lei il piatto forte e, per un attimo, fu tentata di dirgli che oggi la casa offriva un solo piatto: Lucinda in vassoio d'argento.
Arrossì.
Si sentiva veramente sciocca, era la prima volta che incontrava un uomo con un fascino così avvolgente...non che lei n'avesse incontrato molti. Certo, alla locanda entrava ed usciva gente d'ogni tipo ma lui aveva qualcosa di particolare, qualcosa che lo rendeva diverso...ecco, era un po' come l'uomo che sognava spesso la notte...quello dal viso oscurato ma dal corpo forte e vigoroso, l'uomo che la faceva fremere di piacere anche solo passandole un dito sul collo, l'uomo...
"Ho detto qualcosa che non va?" Amorc assunse un'espressione interrogativa rompendo l'imbarazzante silenzio che si era venuto a creare.
Lucinda sussultò.
"Oh, bé no! Mi scusi, ero soprappensiero...ehm...va bene le porterò...lo stufato d'asino, le va bene?" rise cercando di ridarsi un contegno, ma ciò che uscì fu piuttosto un suono stridulo che la fece sentire stupida. Senza aspettare una risposta, si volse di scatto allontanandosi verso la porta dalla quale era in uscita precedenza.
Amorc si appoggiò allo schienale battendo ritmicamente le dita sul tavolo. Fece un mezzo sorriso compiaciuto, era riuscito a confonderla e questo lo soddisfaceva, allora dopotutto era ancora in forma. Non sapeva che aspetto avesse, erano più di due giorni che non si lavava, l'ultima volta che si era fatto un bagno era stato nelle acque gelide del fiume vicino alla Foresta del Passo. Finito di cibarsi avrebbe domandato se ci fosse stata la possibilità di darsi una sciacquata anzi, appena fosse giunta la giovane, lo avrebbe chiesto direttamente a lei.
Non attese molto. La cameriera aprì la porta uscendo di schiena, in una mano aveva una brocca con un bicchiere e nell'altra la ciotola con il cibo. Si avvicinò con una destrezza da vero giocoliere ed appoggiò le vettovaglie sul tavolo.
"Ecco qui!" si sfilò il gessetto e prese la lavagnetta scrivendo sopra delle cifre "Fanno due Arketi e mezzo!" disse mostrandogli la piccola lastra "Si paga subito..." aggiunse, arrossendo.
Amorc la guardò serio "Mi dispiace gentile fanciulla ma devo contraddirla!". Lei fece per parlare ma Amorc alzò una mano "No, non mi fraintenda, i suoi calcoli sono corretti, è solo che mi è stato detto dal locandiere, ieri sera, che il mio conto era già stato saldato." rimase in attesa.
La ragazza rimase a bocca aperta.
"Ma allora lei è il signore del borsone!" si diede una leggera pacca sulla fronte "Mi scusi tanto, non sapevo. Non c'è problema, mangi pure e, se ne ha bisogno ne chieda pure dell'altro. Spero che sia di suo gradimento." fece per allontanarsi ma Amorc la richiamò "Mi scusi, le volevo chiedere un'informazione..." la giovane si avvicinò nuovamente "...anzitutto sarei lieto di conoscere il suo nome e poi mi domandavo se esiste la possibilità di farsi un bagno o, per lo meno, darsi una lavata.".
La ragazza arrossì nuovamente e prese a sistemarsi il copricapo.
"Il mio nome è Lucinda, sono la nipote del locandiere e per ciò che riguarda il lavarsi...sì, dietro la casa abbiamo un trogolo con una piccola vasca, se vuole può utilizzare quello." sorrise.
"Bene, ed ora se non ti dispiace, ci possiamo dare del "tu"? Avremo pressappoco la stessa età...ed in caso contrario mi faresti sentire troppo vecchio!" fece una pausa "Io sono Amorc..." la guardò di nuovo, intensamente.
"Va bene, Amorc, buon appetito!" strofinò le mani sulla gonna come per stirarla e si allontanò.
Amorc terminò il suo cibo e trattenne dentro di sé un singulto d'apprezzamento, il vino era un po' acido nonostante le spezie ma la carne era buona. Le due grosse guardie imperiali si erano allontanate, lasciando sul tavolo poche monete se rapportate a ciò che avevano mangiato. Quasi certamente avevano diritto a degli sconti o con più probabilità, nessuno osava contraddirli affermando che non erano abbastanza, e così ne approfittavano.
Proprio mentre stava formulando quel pensiero, nella locanda entrò un uomo piuttosto robusto di un'età indefinibile, poteva avere quaranta come cinquanta zenith. Amorc notò che doveva essere mancino poiché portava una rozza spada sul fianco destro. La mano sinistra era come fasciata in una sorta di bendatura di colore scuro, probabilmente sporca. I capelli, così come la barba, erano lunghi ma, su nuca e tempie, sottili e radi dello stesso colore rosso della lanugine intorno al viso.
Le stuoie scricchiolarono pesantemente al suo passaggio e alcuni dei pochi uomini che erano rimasti, si voltarono a guardarlo. L'omone si guardò attorno, prese una sedia con una mano grossa almeno una volta e mezza quella di Amorc ed, emettendo un grugnito sommesso, si sedette. Non vedendo giungere nessuno, picchiò più volte il pugno sul tavolo ed emise altri suoni più simili al ringhio di un cane che al bofonchiare di un uomo. Da lì a pochi istanti Lucinda entrò accogliendo il nuovo arrivato con un sorriso che spiazzò letteralmente Amorc.
"Ciao Bronto!" gli diede una pacca sulla spalla "Hai fame, eh?" gli stampò un bacio sulla fronte "Vado subito a prenderti qualcosa!" si allontanò.
Amorc era allibito, l'omone aveva risposto alla ragazza con un sorriso sdentato ed era addirittura arrossito dopo il bacio. Questo era uno dei più invidiabili poteri femminili, riuscire a rendere ogni uomo, anche il più forsennato, un timido passerotto.
Amorc si rese conto di essersi eccessivamente attardato al tavolo e si alzò, anche se a malincuore; il prossimo paio d'ore lo avrebbe dedicato ad una rinfrescata ed alla ricerca di un cavallo, giacché il suo era scomparso. Da quando aveva perso l'animale, aveva coperto il percorso fino alla locanda a piedi ma non era più consigliabile proseguire con quel criterio e soprattutto nelle sue condizioni fisiche.
Lucinda entrò con il cibo per il suo singolare amico. Si sedette al tavolo con lui rivolgendogli le solite frasi di circostanza, come quelle che normalmente s'indirizzano ad una persona alla quale sei affezionato ma che non vedi da qualche tempo, tipo "come stai?", "tutto bene?", "vedo che sei dimagrito!", "ma no, non è vero ti trovo in piena forma!".
Amorc si avvicinò al bancone e passò proprio dietro alla schiena di Lucinda, cercò di non disturbare, non conosceva il carattere dell'omone e non aveva intenzione di farlo arrabbiare. Appoggiò i gomiti al ripiano di legno e attese che i due terminassero il loro interessante colloquio.
La discussione sembrava andare per le lunghe ed Amorc aveva una gran fretta di recuperare il proprio bagaglio e partirsene alla volta d'Ingmard. Davanti a sé aveva ancora qualche giorno di viaggio e l'idea d'incontrare altri problemi lungo la strada di ritorno, lo rendeva nervoso. Non fece in tempo a muoversi che fu raggiunto dall'eco di una tonante voce maschile che proveniva da fuori. Lucinda ed il suo amico Bronto trasecolarono, l'unica differenza era che il cavernicolo appariva furioso mentre la giovane spaventata.
La voce si fece sempre più vicina tanto che Amorc riuscì ad estrapolarne alcune parole, come "ti ucciderò" e "bastardo scimmione faccio a fette a te e a tutti quelli come te!". Non ci voleva un genio per capire che l'uomo fuori stava parlando del buon caro Bronto.
"Ci risiamo..." mormorò Amorc tra sé "...lo sapevo che dovevo andarmene." avvicinò la mano al coltello che teneva sempre allacciato alla cintura e slacciò la sicura di cuoio, doveva tenersi pronto non si poteva mai dire come degenerassero discussioni di quel genere.
Finalmente l'attesa fu spezzata dal violento sbattere della porta, seguito dall'entrata in sala di un giovane signorotto, a giudicare dall'abbigliamento, piuttosto ben piazzato. Nella mano destra aveva un'ascia mentre sulla sinistra serrava le dita a pugno.
Il giovane uomo era molto alto e robusto, aveva i capelli rasati ed un pizzetto nero come le sopracciglia. Anche l'abito di pelle era nero e la sua ascia brillava come argento. Amorc notò che sulla lama aveva una sorta d'incisione a ghirigoro, forse il simbolo della sua casata.
Il bestione si guardò attorno dilatando furiosamente le narici come un toro che si prepara a caricare.
"Dov'è quel puzzolente bastardo!" urlò.
Nessuno si mosse, tutti si paralizzarono sul posto, un anziano contadino vomitò per terra mentre un altro, più giovane, si nascose sotto il tavolo. Lucinda rimase a bocca aperta e si alzò lentamente cercando di mantenere il controllo della situazione oltre che della propria voce "Mi...mi scusi signore, questa è una locanda rispettabile e non credo che possa trovare fra noi la persona che cerca..." deglutì.
L'uomo si avvicinò e il suo sguardo cadde su Bronto, che se ne stava beatamente seduto a mangiare la sua porzione di stufato d'asino.
"Credo che ti sbagli sgualdrinella, quello che cerco è proprio accanto a te! Eccolo qui il maledetto topo di fogna. Alzati in piedi e affrontami, brutto bastardo, hai paura, eh?" la sua voce ora era in falsetto "Ti tremano le gonne, donnicciola?" guardò Lucinda nello stesso modo in cui si guarda una bistecca dopo settimane di digiuno "Ti nascondi dietro questa sguattera? Eh? Lo so che ti piace questa stupida giumenta e...se ti dicessi che quasi quasi la cavalco proprio davanti ai tuoi occhi?".
Quella fu la frase che fece nascere l'interesse in Bronto. Lasciò lo stufato e, grugnendo, spinse lontano la ciotola. Si alzò in tutta la sua altezza sovrastando di qualche centimetro il giovane pelato.
"Lascia perdere Lucinda, Zagor, o ti faccio a pezzi come lo stufato che stavo mangiando..." la sua voce era baritonale e tranquilla. Amorc si stupì del fatto che potesse possederne una visto che, gli ultimi suoni giunti al suo orecchio, non erano altro che mugolii e grugniti sommessi.
Zagor rise fortemente mostrando una fila di denti perfetti.
"Credi che abbia paura di te, sterco di maiale?" sollevò l'ascia "Lo vuoi un taglio di capelli più corto? Lo sai quanto vadano di moda oggi come oggi!".
Lucinda si avvicinò ad Amorc, aveva il viso terrorizzato ed il labbro inferiore che le tremava "Ti prego Amorc fai qualcosa, Bronto è grande e grosso ma è così lento...aiutalo, ti prego!".
Amorc la guardò come per chiederle tacitamente se stesse parlando sul serio "Ma vorrai scherzare, hai visto che razza di bestie sono? Quelli mi faranno a pezzi in un battito di ciglia!".
Lucinda lo guardò con lo sguardo colmo di lacrime "Bronto è come un fratello per me, mi è sempre stato accanto, mi ha aiutato quando i miei genitori sono morti...ti prego lui fa parte della mia famiglia...ti prego, chiedimi tutto quello che vuoi. Hai bisogno di denaro? Ti darò tutto quello che possiedo, dimmi qual è il tuo prezzo, ma muoviti!".
Amorc la guardò serio e scrollò la testa "Lo sapevo, se riesco a sopravvivere a questa settimana, passerà del tempo prima che mi rimetta ancora in viaggio!" dopo aver detto ciò si staccò dal bancone avvicinandosi a Zagor che era voltato di spalle.
"Scusate se interrompo la vostra amichevole chiacchierata ma suggerirei di continuare l'alterco fuori, qui c'è gente dallo stomaco debole e dalle orecchie delicate.".
Zagor, si volse lentamente a guardare in faccia la persona che aveva osato intromettersi fra lui ed il suo avversario.
"Fatti gli affari tuoi formica se non vuoi che schiacci quel tuo brutto muso pizzolato!" le sopracciglia scure s'incurvarono sopra il naso aquilino.
Amorc raddrizzò la schiena "Ehi dico, ma non ti sei mai visto allo specchio? Hai forse paura del riverbero sulla tua testa?" storse le labbra con derisione.
Zagor grugnì emettendo un energico soffio dalle narici.
"Stai giocando con il fuoco ragazzo e credo che presto ti brucerai!" detto questo si lanciò in direzione del suo interlocutore, ma appena fu a pochi passi da lui, Amorc si spostò e l'omone sbatté con l'ascia contro il bancone, incastrandola.
"Ti credi furbo lucertola dei miei stivali?" sbottò il pelato "Posso lavorarti anche a mani nude, non ho certo bisogno di uno strumento!" abbandonò l'arma e, sorridendo, si crocchiò le dita "Fatti sotto, piccioncino!".
Amorc assunse la posizione di difesa e attese una mossa d'attacco. Zagor gli allungò un pugno ma Amorc si fletté sulle ginocchia, schivandolo. Il pelato grugnì e, urlando, si buttò letteralmente su di lui, cadendogli addosso. Per un attimo Amorc rimase senza fiato, l'uomo, nel frattempo, lo afferrò con ambedue le mani per la gola e cominciò a stringere con forza "Non canti più, usignolo?" lo schernì l'aggressore. Lo sguardo di Amorc cominciò a sfuocarsi, stava perdendo conoscenza, doveva agire al più presto. Cercò di sferrargli una ginocchiata nel basso ventre ma era spostato troppo in alto per riuscire a colpirlo, allora prese con forza i polsi del pelato cercando di allentare almeno un poco la presa, ma nulla. Ad un tratto sentì una voce femminile fuori campo urlare, subito dopo vide schegge di legno che gli sprizzarono tutt'attorno a cascata. Lucinda aveva spaccato una sedia sulla schiena dell'uomo non sortendo alcun risultato; Amorc si ricordò di aver slacciato il coltello, non avrebbe voluto ucciderlo ma a questo punto non aveva altra difesa. Le sue forze stavano languendo, doveva agire ora o mai più, allungò la mano lungo il fianco destro e tastò il cinturone subito si accorse, con un tuffo al cuore, che il coltello si era sfilato. Cercò, con notevole sforzo, di guardarsi attorno e lo vide proprio alla sua destra ma poco più distante, tentò di raggiungerlo con le dita ma era troppo lontano. Doveva spostarsi ancora un poco. Fece forza sugli addominali e si sollevò quel tanto che bastava per far perdere l'equilibrio a Zagor. L'omone ondeggiò, cadendo lateralmente sulla sinistra. Amorc rotolò su se stesso, verso destra e raccolse l'arma, appena fu in piedi si passò una mano sulla gola, il bruciore era fortissimo ma la sensazione di nausea ancor di più. La testa gli girava e la figura del pelato era sdoppiata. Allargò le gambe per non sbilanciarsi e attese una contromossa. Zagor prese fiato e si lanciò nuovamente contro il suo avversario, fu una frazione di secondo, Amorc gli corse incontro e, con il coltello tenuto di taglio, lo scostò sulla destra sferrando il colpo in profondità su parte dell'addome e del fianco sinistro dell'aggressore. A giudicare dall'urlo che scaturì dalla bocca del pelato, doveva avergli fatto parecchio male. Lucinda si nascose la bocca tra le mani trattenendo un urlo mentre Bronto guardò la scena con aria divertita. Amorc si girò, Zagor era inginocchiato con le mani premute sull'anca, le stuoie erano zuppe di sangue. Amorc teneva ancora il coltello, gocciolante di liquido rosso, stretto fra le falangi, respirava a fatica e rantolando, guardò Lucinda con aria supplice. Quel breve silenzio fu infranto da un tonfo sordo, il pelato si accasciò su di un fianco, svenuto o privo di vita. Amorc ripose il coltello nella sua custodia e corse, con Lucinda, al capezzale di Zagor.
Era morto.


CAPITOLO 3

Ferdinando entrò nel Gran Salone degli Arazzi e, battendo fra loro i talloni rivestiti di metallo degli stivali, si presentò al cospetto dell'Imperatore.
"Mio Signore?" esordì a capo chino.
Mordered non si volse, era assorto ad osservare i carpentieri che si affaccendavano alla manutenzione ordinaria del primo muro di cinta. Ormai erano già trascorsi cinque zenith dall'ultimo controllo, incredibile come il tempo volasse. Cinque zenith fa era solo il figlio del grande Imperatore di Brokenland mentre un lustro più tardi, Imperatore stesso.
Sorrise, socchiudendo le palpebre.
Da pochi mesi aveva seppellito il padre, Mordered Primo e, da allora, tutto era stato più semplice, più fluido: niente più ordini, niente più spiegazioni, niente più umiliazioni. Odiava il genitore, non meno di quanto lui odiasse il figlio e, se non fosse stato per la paura di perdere i Poteri, lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani, di notte o magari durante una delle sue solitarie battuta di caccia. Mosse la testa su e giù come un tacito compiacimento a se stesso. Bé se non altro aveva ottimi rapporti con la sorella, più grande di qualche zenith, Dianna, con lei aveva assaporato le prime sottomissioni al Potere...ma, per fortuna, da diversi zenith a questa parte le cose erano cambiate. Imparò molto da quelle esperienze. Ogni evento era stato immagazzinato, elaborato e, in un secondo tempo, utilizzato...
"Ehm..." l'ufficiale si schiarì la gola.
Mordered si girò, con un sorriso amaro impresso sulle labbra.
"Perché mi disturbi, Zinar?" il suo volto era di nuovo serio.
Il sottoposto irrigidì la mascella.
"Ci tenevo solo ad avvisarla che l'operazione è andata a buon fine, Signore." rimase rigido e sull'attenti, senza battere ciglio.
"Comodo Zinar, comodo..." Mordered si allontanò dalla bifora con i vetri in alabastro ed incrociò le braccia sul petto "...dunque, Lindel è stato condotto nei sotterranei?" chiese con un sinistro bagliore negli occhi.
Il corpulento Generale Supremo divaricò leggermente le gambe portando le braccia dietro alla schiena.
"Sì, Signore. E' stato condotto nei sotterranei. Ad un suo comando, potremo cominciare l'interrogatorio." alzò un sopracciglio mentre un lampo, d'intimo piacere, gli attraversò le iridi.
Mordered portò l'indice sotto il naso con fare meditativo.
"Bene. Cominciate pure senza di me, ti lascio in mano il divertimento. Ma, ti prego..." fece uno sguardo stanco "...sii più sollecito e, se necessario, usa lo Skìot, sai bene quanto renda loquaci." fece una pausa "Puoi andare." lo licenziò con un gesto stanco della mano e sorrise, mostrando una fila di denti perfetti anche se con canini un po' troppo appuntiti.
L'ufficiale batté nuovamente i garretti e chinò la nuca.
"Sì, Signore." si allontanò, a grandi e rumorose falcate, verso la porta.
Appena uscito il gregario, Mordered si mosse in direzione di un arazzo, una volta accanto ci fece scorrere, per un lieve tratto, il palmo della mano aperta e ne assaggiò la morbidezza respirandone l'aroma, leggermente stantio. Era un arazzo dal colore rosso vivo, le simbologie non erano importanti, ma lo era la strana sensazione di fervore che gli trasmetteva. Guardarlo era come farsi un bagno rinfrescante dopo una giornata di calura o come abbeverarsi quando si ha una forte sete...sete di sangue. Infatti, era quello che gli ricordava: il sangue, la vita, il Potere di dare e togliere la vita, il Potere di far soffrire e godere di quella stessa sofferenza. Cominciò a figurarsi battaglie e stragi, immaginò fiumi di sangue scorrere sotto i suoi piedi ed il respiro gli divenne affannoso. Desiderò di assaporare quel brivido di terrore e disperazione che scaturiva da coloro che lo temevano e dei quali aveva la vita in pugno.
Deglutì e si allontanò, ora si sentiva più rilassato, quello era sempre stato ciò di cui aveva avuto bisogno, il dolore. Non riusciva ad immaginare un'esistenza senza di esso, era naturale come bere o mangiare, la sofferenza era la linfa stessa della vita.
Si passò le mani tra i capelli corvini e respirò a pieni polmoni, oggi si prospettava una giornata piuttosto importante visto che, proprio in questo giorno, avrebbe avuto l'onere di dare inizio al Victa, la festa di fidanzamento. Uscì, salendo l'ampio scalone di marmo che lo conduceva al piano superiore entrando nella sua stanza da letto. Chiamò un paio di servitori che lo aiutarono a vestirsi e scese nuovamente le scale ma questa volta verso la Sala delle Udienze, due piani sotto.
Il Salone delle Udienze era una delle più vaste stanze dell'edificio ma, nello stesso tempo, era anche quella meno adornata. Aveva forma rettangolare e la sua vastità copriva circa i milleduecento metri quadri in ampiezza e quindici in altezza; dai due lati più lunghi si ergevano quattro supreme colonne di marmo bianco con basi quadrangolari che reggevano, al loro culmine, due corridoi per i matronei. Verso nord, quattro ampi ma bassi gradini, anch'essi dello stesso materiale delle colonne e del pavimento, permettevano l'accesso all'imponente scranna dell'Imperatore; dietro di essa, in alto, il simbolo della casata Arketon, tre cerchi neri concentrici in sfondo rosso, dominava, in tutta la sua prepotente semplicità.
Mordered raggiunse la sala, accompagnato da sei tenenti disposti intorno a lui. Il rumore degli stivali chiodati dei soldati e dell'Imperatore rimbombò in tutto il salone. All'evento convennero la famiglia Arketon, con il seguito di paggi e dame di compagnia. Furono invitati sei Centraco su sette. Lindel era segregato nei sotterranei. Parteciparono i Dhal, sette stregoni, ciascuno come rappresentante per ogni Anello, grandi conoscitori di magia nonché responsabili e conduttori della famosa Accademia delle Magie, sita proprio nel Primo Anello. I Sacerdoti Neri furono dispensati in quanto impossibilitati dagli uffici religiosi. Anche il Generale con i colonnelli non partecipò, l'uno e gli altri assorbiti in mansioni concernenti l'ordine, la vigilanza e l'organizzazione...nonché la punizione, naturalmente. Infine Azygos, il metamorfo, fido braccio destro di Mordered, era presente in tutto il suo oscuro silenzio e avvolto dalla testa ai piedi nel suo saio nero.
L'Imperatore salì le scale ed i soldati si divisero; quattro si affiancarono a lui, due ai lati e altrettanti alle spalle, mentre la restante coppia rimase a guardia dello scalone. Tutti e sei erano armati fino ai denti ed ognuno di loro indossava la divisa dell'Impero di pelle rossa e nera contrassegnata, sul petto, da due soli cerchi concentrici, che denotavano il loro grado di colonnelli.

Le sette ragazze, scelte fra le ricche vergini dei sette Anelli erano fuori della sala nell'attesa di un ordine per entrare. La maggior parte di loro erano figlie dei Centraco, altre eredi di ricchi mercanti.
Mordered fece un cenno al ciambellano e, dopo pochi istanti, le sette fanciulle entrarono accompagnate da un paio d'armigeri. Le ragazze furono allineate in fondo allo scalone ed il dignitario di corte consegnò, nelle mani inguantate del regnante, l'elenco dei nomi e la loro appartenenza.
Mordered odiava quel genere di cerimoniale. L'idea di doversi ammogliare era un supplizio al quale però non poteva sottrarsi; non desiderava avere accanto una donna né tanto meno doversela sposare ma, ahimé, alla famiglia era necessario un erede e, almeno che qualcuno non escogitasse un modo diverso per crearlo, quella era l'unica possibilità. Volse lo sguardo verso destra cercando gli occhi della sorella e, quando li trovò, irrigidì la mascella rivolgendole uno sguardo perfido, la odiava profondamente ed a tal punto da trattenersi a stento dall'ucciderla ma, anche qui, non sarebbe stato saggio seguire l'istinto. Lei era forte, non quanto lui ma abbastanza da potergli fare ancora molto male e questo Mordered lo aveva già sperimentato sulla sua pelle, certo a quel tempo era solo un ragazzino...ora però le cose erano cambiate, non ancora come lui desiderava, ma modificate al punto da potersi per lo meno accontentare. Lei era gelosa del fratellino, eccessivamente possessiva e passionale, per questo motivo aveva deciso di non sposarsi, nessuno era mai riuscito a farle battere il cuore come lui ed oggi, in quel funesto giorno, lei era più astiosa che mai...Mordered sorrise maligno, la rabbia nei suoi occhi era quanto di meglio potesse sperare in un'occasione così poco divertente come quella attuale.
L'Imperatore slacciò il nastro che chiudeva le pergamene e diede una sbirciata veloce.
"Bene, bene..." sorrise e sollevò lo sguardo dal foglio puntandolo, come una lama, verso le fanciulle "...sette giovani donne..." si girò nuovamente verso la sorella che digrignò i denti "...vediamo..." lesse il foglio successivo. Le lunghe sopracciglia nere s'incurvarono alla radice del naso come tirate da un filo invisibile "...a quanto leggo abbiamo fra noi la figlia di Jason Lindel, non speravo in cotanta fortuna!" fece scorrere lo sguardo fra le giovani "Chi fra di voi è Rachel Lindel?",
Nessuna si mosse.
Come risposta a quell'ostentato silenzio, un armigero sfoderò il coltello movendosi in direzione delle ragazze "Il vostro Imperatore vi ha chiesto..." non terminò la frase poiché Mordered lo interruppe con un cenno della mano "No, Caio, no..." si alzò lentamente dalla scranna "...così spaventi le fanciulle." sorrise, sorrise nel modo che a sua sorella piaceva tanto, più volte gli aveva fatto notare che quell'espressione metteva in risalto la sua bellezza ed il suo fascino. Riprese "Ed io non voglio che si turbino." mentre il soldato tornò alla sua postazione, Mordered scese la scala. Si avvicinò alle sette ragazze, passò loro davanti e dietro carezzandole con il suo profumo, un profumo forte ed inebriante, il profumo del Potere.
"Vedo che la ragazza è piuttosto coraggiosa ma...non ha paura di mettere in pericolo la vita delle sue sei compagne?" si fermò frontalmente a loro. Passò la mano destra sul pizzetto nero e alzò un sopracciglio mentre, dal fondo del Salone, si sollevò un brusio di disaccordo. Allargò le braccia in un segno d'impotenza "Vedi Rachel, i parenti delle tue amiche non sarebbero molto felici se capitasse loro qualcosa di...spiacevole." fece di nuovo scorrere lo sguardo su di loro sperando in una reazione. A quel punto una delle ragazze non si trattenne e scoppiò a piangere, un'altra presa quest'ultima fra le braccia, le carezzò i capelli, tranquillizzandola. "Diglielo che sei tu, Rachel! Vuoi farci uccidere tutte?" urlò, indicando con lo sguardo la prima giovane a sinistra. In quel momento un'altra ragazza svenne e quella vicino si accasciò per farle un po' d'aria con la mano.
"Caio!" ordinò l'Imperatore "Porta queste giovani dove possano essere curate e rimesse in sesto.." guardò Rachel "...è commovente la lealtà delle tue compagne." ritornò serio "Le altre possono andare..." fece una pausa "...credo di aver trovato la mia sposa." le afferrò una mano sfiorandola con un bacio; fu a quel gesto che Dianna, la sorella, emise un borbottio di disprezzo e, sollevate le gonne dell'elegante vestito, si allontanò velocemente dalla Sala accompagnata dalla possente e sprezzante risata di Mordered.

Rachel Lindel decise che da quel momento sarebbe stata morta, morta dentro e forse, se Graios fosse stato magnanimo, morta anche fuori. Suo padre era stato arrestato quella stessa mattina e, con tutta probabilità doveva essere già morto. Fu prelevato mentre lei, a Palazzo, si preparava con le sue compagne al grande evento. La notizia non la colse di sorpresa, già lo sapeva. Suo padre era Centraco del Sesto Anello, una brava persona, aveva aiutato molta gente a vivere meglio, e solo Dio sapeva quanto fosse difficile anche solo sopravvivere a Brokenland. Jason Lindel era anche un sostenitore dell'antica religione monoteistica Bramina del dio Graios e, naturalmente, anche Rachel. Lindel era riuscito, dopo zenith di duro e clandestino lavoro, a costruire, non senza difficoltà e con l'aiuto di poche persone affidabili, un piccolo tempio nei sotterranei di Agorà, dove coloro che credevano in Graios potevano praticare liberamente il proprio culto; Jason era convinto che qualunque civiltà, degna di essere chiamata tale, dovesse concedere anche la libertà nel culto. La sottomissione ad una religione che non ti apparteneva era soffocante ed ingiusta. Purtroppo fra i pochi difetti che suo padre aveva, l'ingenuità era quello che più faceva arrabbiare Rachel, erano zenith che la figlia lo supplicava di non fidarsi troppo delle persone ed il suo atavico timore, in quei giorni, si realizzò in tutta la sua brutale realtà. Suo padre era stato tradito, per un etto d'Ixous, da uno dei suoi connestabili...ma non era solo quello, era stato designato come traditore ed il suo nome infangato.
Rachel odiava Brokenland e odiava le persone che vi abitavano ma, più che mai, odiava Mordered. Per Rachel il giorno di Victa era stata la prima occasione di vedere il regnante e certo non poté negare, con un certo sconforto, di esserne rimasta sorpresa, ciò che si diceva in giro circa la bellezza dell'Imperatore era verità. Egli aveva una bellezza crudele e spietata, una beltà da demone perché, in sostanza quello lui era, un demone...
Non mosse un capello quando lui le sfiorò la mano con le labbra. Rachel si sentì come una bambola di pezza, un burattino senza anima, era morta dentro. Il suo sguardo rimase fisso e non si volse nemmeno quando portarono via le sue compagne...sì, riuscì a percepire una risata ma fu come se provenisse da molto lontano, da un'altra dimensione e non seppe dire a chi appartenesse.
Mordered spostò un ciuffo di capelli dal collo di Rachel ed avvicinò la bocca al suo orecchio "Non sembra felice, eppure il suo paparino si sta divertendo un mondo giù, nei sotterranei..." si raddrizzò, sorridendo "...se farà la brava l'accompagnerò per una visitina prima..." fece una pausa come per cercare le parole "...prima delle onoranze funebri." sorrise di nuovo.
Una solitaria lacrima scese sul volto di Rachel e bruciò come fuoco sulle gote. Non avrebbe voluto piangere, non avrebbe voluto dargli quella soddisfazione ma era troppo! Tutto era così terribile e per di più lei si sentiva così impotente. Avrebbe desiderato gridare, graffiargli la faccia, prendere una spada e ucciderlo. Lo odiava! Lo odiava! Lo odiava! Mordered aveva scelto lei per rendere più gustoso il piatto di sofferenza che si stava preparando a divorare, aveva appositamente preso la figlia di un uomo che presto avrebbe ucciso solo per trarne più piacere. Che maledetto bastardo!
"Eh no, Rachel!" l'ammonì "Non ci siamo proprio, se mi offende in questo modo, mi vedrò costretto a farle male, molto male.." sottolineò "Ma bando alle ostilità, ora credo sia giunto il momento di annunciare la festa per il nostro prossimo..." si schiarì la voce "...fidanzamento." salì i gradini mentre Rachel fu accompagnata, anzi spinta, da un armigero su per le scale, accanto al sovrano "Ascoltate!" Mordered ruppe il borbottio che si sollevava dalla sala, attendendo il silenzio "Ho penosi impegni ai quali non posso assolutamente sottrarmi, quindi temo, almeno per ora, di dovervi abbandonare. Naturalmente, non per questo, tralascerò di festeggiare, come tradizione, il Victa...quindi vi rinnovo l'invito per questa sera, quando le tenebre saranno calate, nella Sala da Ballo." sorrise "Darò occasione a voi dame di sfoggiare il vostro abito migliore..." alla sua languida affermazione delle risatine chiocce si sollevarono tra gli astanti "Ed ora, se non vi dispiace, temo di dovermi separare da voi." il suo sguardo era addolorato ma le labbra, dischiuse in un mezzo sorriso, lasciavano intendere un'intima soddisfazione. Si avvicinò a Rachel abbassando lo sguardo su di lei "Si faccia bella per stasera..." le sussurrò "...non vorrà farmi sfigurare." fece l'occhiolino e si allontanò, accompagnato dalle sue guardie, verso i grandi portali d'uscita.
Rachel fu percorsa da un brivido, non avevano detto la verità solo in riferimento alla bellezza dell'Imperatore ma anche per ciò che riguardava i suoi presunti Poteri. Mordered Secondo era un incantatore, un indovino, aveva la facoltà di leggere nel pensiero e, probabilmente, non solo quello. Era necessario essere molto cauti altrimenti la sua morte, che percepiva molto vicina, l'avrebbe raggiunta nel peggior modo possibile e con molta, molta sofferenza.

Mordered licenziò i soldati e, appena fu in una delle stanze adibite a suo studio personale, innescò il meccanismo di apertura che lo conduceva, lungo le mura della Fortezza, ai sotterranei, perché era lì che doveva andare...lo attendeva qualche minuto di puro rilassamento.
I corridoi che si snodavano capillarmente all'interno di tutta la struttura, erano stati costruiti appositamente per collegare, tramite le stanze più importanti dell'edificio, ogni parte del Palazzo e delle mura. Gli anditi, ricavati nelle intercapedini degli spessi muri di pietra, permettevano inoltre di raggiungere, in tutta velocità e senza essere scoperti, le sortite ed i luoghi di difesa interni ed esterni. Una sorta di fortezza nella fortezza.
Mordered attraversò un corridoio, alternativamente illuminato da elaborate torce di bronzo, dirigendosi verso le Segrete adibite a prigioni. Più scendeva verso il basso più l'umidità e l'odore di stantio, impregnava gli abiti e aggrediva le narici. Non era un odore piacevole ma all'Imperatore ricordava momenti piuttosto interessanti, tanti esseri umani erano transitati in quei sotterranei e si ricordò che più o meno a quella distanza, solitamente udiva urla di dolore o paura.
Rallentò il passo e l'eco dei suoi stivali si fermò. Era strano non percepire nessun rumore, possibile che il divertimento fosse già terminato? Sollevò rassegnato le sopracciglia, dopotutto si era attardato troppo al Victa per pretendere di trovare ancora vivo quel traditore.
Riprese a scendere le ripide scale irrorate da sottili venature d'acqua e meditò su cosa avrebbe potuto dichiarare a Rachel riguardo la morte del suo caro papà; la sua intenzione principale era quella di raccontarle ogni dettaglio, magari legandola e costringendola ad ascoltare le sue parole ma...non era molto divertente, l'idea non lo emozionava, ci voleva qualcosa di più forte...se solo Lindel fosse stato ancora vivo poteva forzarla a guardare mentre lo torturavano, magari utilizzando gli spilli sotto gli occhi, o qualche altro attrezzo rudimentale creato dal caro Ferdinando.
Si fermò nuovamente, tese le orecchie, oltre al rumore delle gocce che cadevano sulla pietra o in qualche oscuro pozzo della fortezza, s'udiva un lamento, anzi una sorta di mugolio spezzato da risa d'uomini e da schiocchi di...mani?
Socchiuse gli occhi e fece conca con la mano dietro all'orecchio. Mosse, compiaciuto, la testa su e giù, ciò che udiva non era un cozzare di organi tattili ma il dolce suono della frusta! Sorrise, il divertimento non era ancora terminato, dopotutto.

marzio