- vittorio baccelli - i racconti -

- per la prima volta appare l'Inquisitore, questo racconto vuol essere un omaggio a Evangelisti, ma Eymerich farà la sua comparsa altre volte, ed anche Elisabetta sarà un personaggio destinato ad evolversi- pubblicato nelle edizioni OLFA di ferrara - fa parte della raccolta "storie di fine millennio" -

L’INQUISITORE

Dormivo nella stanza che fu di Giacomo, quella con i muri a stucco di color mattone chiaro e con gli angoli delle pareti stondati. Io adolescente solo nella mia camera coi quadri antichi a tenermi compagnia; quella dei miei genitori dall’altro lato dell’appartamento. Sognai Elisabetta: alta, bionda, con un fisico perfetto, statuario, ma il viso era la cosa più fantastica. Lineamenti sottili ma labbra carnose, il tutto luminosissimo, talmente splendente che i contorni risultavano evanescenti malgrado i miei sforzi di mettere a fuoco la vista. Portava tuniche di seta semitrasparenti, sempre agitate da leggere brezze, che mutavano di colore.

Avevo il suo sorriso stampato nella memoria, il sogno era ricorrente, ogni tre, quattro giorni c’incontravamo in posti sempre diversi: aule con divani, biblioteche stile ‘800, campi di grano dorato, pinete, spiagge assolate. Mai nessuno ci disturbò in quei primi incontri. Se eravamo all’aperto talvolta scorgevo dei bambini in lontananza intenti nei loro giochi. Di notte una volta vidi sorgere due lune.

Devo confessare che non vedevo l’ora di mettermi sotto le coperte e speravo d’incontrarla ancora una volta. Le raccontavo le mie giornate, la scuola, gli amici, cosa avrei voluto fare ed essere da grande. Mi ascoltava interessata, sorrideva, mi dava consigli, mai volle parlare di sé, di dove abitava, cosa faceva quando non eravamo insieme, della sua famiglia, delle sue amicizie, della sua vita: solo il nome sapevo di lei. Passeggiavamo nelle case e nei giardini, sostavamo nei boschi, ci rincorrevamo giocando, alle volte le nostre labbra si sfioravano ed i nostri corpi si toccavano: in quei momenti ero al settimo cielo!

La cosa andava avanti ormai da tre anni, una sera eravamo seduti nel giardino della Torre Guinigi, quando dalle scale salì un frate, alto, severo, incappucciato in un saio bianco. Una sensazione di gelo, mai provata, s’impadronì delle mie membra a quella inattesa intrusione. Mentre mi sentivo a disagio come non mai, vidi il sorriso di Elisabetta scomparire dalle sue labbra. Il frate puntò un dito contro di lei e mormorò una sola parola: “millennium”. Inorridito fissavo i lineamenti di lei che piano piano si dissolvevano emanando una nebbiolina grigia: la tunica e tutto il corpo scomparvero, la nebbiolina grigia divenne dorata e la brezza del tramonto la portò via. Rimasi attonito, pietrificato ….. mi girai, anche il frate non c’era più. Seppi che era l’inquisitore ed anche il suo nome fu chiaro nella mia mente. Dalla Torre non si vedeva più il bellissimo panorama al tramonto che avevamo ammirato fino a pochi istanti prima, ma in basso si stava formando una enorme, incomprensibile macchina con lame rotanti in ogni direzione che si espandeva velocissima finché non coprì l’orizzonte che si era fatto di un minaccioso rosso cupo. Mi accorsi con stupore che anche la torre era cambiata, era divenuta molto più grande ed era costituita da enormi pietre di un nero totale.

Un brontolio di tuoni s’udiva in lontananza e s’avvicinava mentre i primi lampi sfolgoravano. Madido di sudore mi risvegliai, ero in preda alla febbre. Fu l’ultima volta che vidi Elisabetta in sogno.

Dopo pochi giorni la mia famiglia lasciò la bellissima casa di Puccini per trasferirsi in una orrenda villetta a Sant’Anna, alla periferia di Lucca. In quella che fu la mia bellissima casa di corte San Lorenzo ora c’è il museo pucciniano. Sono passati quaranta anni ed io ho incontrato Elisabetta altre due volte: a Urbino nel castello di Re Federico ed in Villa Bottini.