- vittorio baccelli - i racconti -

- apparso per la prima volta su "mainframe"-

vittorio baccelli 

 

INTERFERENZE

 

Il lavoro era estremamente noioso, ma ben retribuito, ormai da tre anni si trovava in questa base sperduta nel mondo, con solo una piccola città a un centinaio di miglia di distanza.

I turni erano di cinque ore, poi il resto della giornata lo passava quasi sempre nella base a leggere, ascoltare musica o guardare qualche film in cassetta.

Ogni tanto finiva a letto con una sua collega francese, più per noia che per divertimento, poi una volta la settimana c’erano le riunioni di tutto lo staff operativo.

E pensare che quattro anni fa, quando fu assunto per un progetto dell’ONU aveva creduto che il lavoro sarebbe stato entusiasmante ed interessante; il progetto riguardava tutta una serie di ricerche sulle trasmissioni provenienti dal cosmo.

Ma il cosmo se ne stava silenzioso, anzi di emissioni ce ne erano in abbondanza e in una gamma infinita di frequenze, ma tutte caotiche e dovute a fatti naturali.

Quando una emissione usciva dai canoni ormai consolidati, iniziavano le ricerche in comune con altri staff operativi sparsi per il globo, finché non si riusciva a comprendere o ad ipotizzare da cosa fossero generate, ed immancabilmente si trattava di eventi naturali.

Il lavoro che avrebbe dovuto essere stimolante si rivelò di una noia mortale, sembrava proprio che di intelligenze aliene vogliose di comunicare non ce ne fosse neppure l’ombra.

Solo una volta, per alcuni giorni giunsero dallo spazio profondo una serie di segnali che si ripetevano in sequenze identiche, tutto il mondo scientifico fu mobilitato, ma la trasmissione così come era iniziata, cessò senza mai più ricomparire.

Era passato più di un anno da quel falso allarme quando si verificò una interferenza contemporaneamente nei sei schermi che lui stava distrattamente osservando.

Subito si mise in allerta, ma tutto era già ormai cessato, in seguito sugli schermi che lui controllava l’interferenza si ripeté almeno una volta al giorno, ma quando riguardava le registrazioni dell’interferenza non vi era mai traccia.

Cominciò a pensare che quel lavoro tedioso fosse la causa di quelle piccole allucinazioni.

Poi iniziò a vedere ed anche a sentire la stessa interferenza mentre guardava le videocassette, era come se per un attimo lo schermo presentasse dei cerchi concentrici in movimento, mentre udiva dei secchi schiocchi o dei crepitii.

L’interferenza auditiva si verificava ora anche quando parlava con il cellulare o mentre ascoltava musica registrata.

Ne parlò con i suoi colleghi, ma a loro non era mai successo niente di simile, così si convinse che era un fatto nervoso e si ripromise di parlarne al medico durante il prossimo controllo.

Poi l’interferenza cominciò a suggerirgli delle cose, la prima volta successe nel suo alloggio mentre stava lavorando al computer, per tutto il giorno aveva cercato una tessera magnetica senza esser riuscito a trovarla, ad un certo punto lo schermo si riempì per un solo attimo di cerchi colorati e lui istantaneamente seppe dove trovare la tessera: aprì la custodia di una videocassetta, tra le tante dello scaffale, e la tessera era proprio lì dentro assieme alla cassetta.

Ora quando appariva l’interferenza, lui veniva sempre a sapere qualcosa e quel qualcosa era sempre reale: un accredito, chi stava per venire nel suo alloggio, da chi stava per ricevere un messaggio, il tipo di ascolto che si sarebbe verificato durante il turno di lavoro, chi si sarebbe assentato dal servizio, ed altre cose sempre di piccola importanza.

Ormai si era abituato a questi fatti e quando passò il controllo medico si dimenticò di parlare di quei disturbi che sicuramente, pensava, erano neurologici ma di scarsa rilevanza.

La convivenza con l’interferenza era ormai consolidata e lui seguiva sempre come oro colato tutto ciò che gli veniva suggerito, anche perché ogni suggerimento era esatto.

Poi questo contatto iniziò anche durante il sonno, una mattina si svegliò sapendo che doveva recarsi in città in una determinata via, che doveva entrare in un portone, salire due rampe di scale e suonare un campanello.

Prese un giorno di ferie e con la jeep si recò dove gli era stato suggerito di andare, infilò il portone, salì di corsa le scale e suonò il campanello, cosa sarebbe successo poi non gli era stato sussurrato, ma sapeva che sarebbe accaduta una cosa che lui desiderava.

Gli aprì una bellissima mulatta con addosso solo un baby doll trasparente, e lui ormai fattosi sicuro dalle premonizioni, dolcemente l’afferrò e la spinse verso di sé cominciando a baciarla.

Cosa successe dopo, potete immaginarlo, ed il nostro tornò all’indirizzo almeno una volta la settimana o per fare l’amore o per portarsela a spasso in città nei rari locali che lì esistevano.

Passarono i mesi e ad ogni interferenza veniva a lui trasmessa una piccola conoscenza, adesso i suggerimenti iniziarono anche a giungere in ogni momento del giorno, senza preavviso, e lui ciecamente li seguiva perché certo della loro veridicità.

Si trovò in un pokerino serale coi colleghi a vincere una discreta sommetta, perché conosceva già ogni gioco prima che si verificasse.

Provò poi a dialogare con l’interferenza, e faceva questo mentre seguiva i monitor durante il suo noioso lavoro di routine.

E cominciò a chiedere, chiese una promozione e dopo una settimana l’ottenne, chiese un alloggio più grande ed anche quello gli fu assegnato, poi si fece coraggio e chiese i numeri della lotteria, ma quelli non arrivarono.

Passarono i giorni e già si era dimenticato della richiesta quando un mattino si svegliò con una sequenza di sei numeri in testa.

Si recò subito dopo colazione in città per giocarli, ed il sabato sera quei numeri furono estratti.

Si dimise dal lavoro e si trasferì in un attico della più intrigante città del pianeta, la sua vita divenne quella del jet set, la sua esistenza era totalmente cambiata, non solo dalla vincita ma anche da tutta una serie di operazioni in borsa che andarono a buon fine, grazie sempre ai suggerimenti ottenuti.

Aveva dato un nome al suo consigliere, lo chiamava Granmaestro e si rivolgeva costantemente a lui, che non rispondeva né subito, né a tutte le sue richieste, ma quelle che lui consigliava bastavano ed avanzavano per donare una carriera ed una vita da sogno.

Un giorno Granmaestro gli consigliò di acquistare un videogioco per ragazzi, era una arena tachionica ove tutta una serie di personaggi virtuali vivevano, ed il tempo della loro esistenza poteva scorrere con la velocità desiderata, ed anche procedere a ritroso a piacimento dell’operatore.

Anche i personaggi venivano creati uno ad uno dal giocatore, così come il paesaggio circostante, inoltre il gioco poteva anche dare delle proiezioni olografiche a grandezza naturale del set.

Era costosissimo, ma molto richiesto dai ragazzi delle famiglie che se lo potevano permettere.

Ad esempio, uno poteva costruire una foresta amazzonica creando uno ad uno gli animali e le piante da immettervi e poteva anche inserire tutta una tribù di aborigeni.

La vita della foresta  scorreva in tempo reale, o poteva a piacimento essere accelerata, o comandata a scorrere all’indietro nel tempo, non solo, ma col proiettore olografico l’operatore si trovava immerso nella foresta stessa a scorrere nel tempo programmato.

Il set poteva anche rappresentare un insediamento urbano, di qualsiasi epoca e le varianti, quasi infinite, dipendevano da chi lo programmava.

Il gioco fu acquistato e lui non si chiese perché avesse dovuto comperarlo, glielo aveva suggerito Granmaestro, dunque una buona ragione ci doveva essere.

Si appassionò anch’egli a questo gioco e passava molto del suo tempo a divertirsi con esso.

Infine gli fu suggerito di apportare alcune modifiche e lui le compì con scrupolo, gli fu detto di ritirare una valigetta alla stazione ferroviaria e gli fu anche indicato ove avrebbe trovato la chiave per aprire l’armadietto della stazione ove la valigetta era collocata.

Il mattino successivo dopo aver fatto colazione in un bar della sua strada risalì in casa, si vestì con jeans, t-shirt e scarpe da tennis, prese con la mano sinistra la valigetta ed attivò il gioco modificato.

Si ritrovò in una grande stanza semivuota in penombra, c’erano delle casse e delle scatole chiuse, un grande schedario di metallo era appoggiato ad una parete e sugli scaffali vi era solo qualche scatola di cartone sigillata con lo scotch.

La luce filtrava da due grandi finestre socchiuse, lui appoggiò la valigetta su uno scatolone, la aprì, estrasse i vari pezzi dell’arma ed iniziò a montare un antiquato fucile di precisione con mirino a cannocchiale ma con un silenziatore di foggia ultramoderna che contrastava con la vecchia arma.

Inserì poi tre proiettili nel caricatore ed appoggiò l’arma sullo scatolone.

Lentamente si avvicinò ad una finestra, la socchiuse, ritornò a prendere l’arma, la imbracciò, la puntò verso il corteo che stava sfilando nella strada sottostante, senza alcuna incertezza mirò al Presidente ed esplose i tre colpi, mentre sparava si accorse che da un'altra postazione qualcun altro stava facendo fuoco.

Raccolse i tre bossoli dal pavimento e se li mise in tasca. Subito dopo la stanza si dissolse e si ritrovò nel suo appartamento con l’arma ancora fumante in mano e con la valigetta aperta ai suoi piedi.

“Ben fatto!” sussurrò Granmaestro.

 

Washington, 22 novembre 1963 – Una mano criminale ha assassinato Kennedy. Il Presidente americano è stato ucciso oggi, a Dallas nel Texas, mentre a bordo di un’automobile scoperta attraversava in un lungo corteo di macchine, il centro della città. Il governatore dello Stato, John Connally, che sedeva accanto a lui, è rimasto ferito e versa ora in gravi condizioni. Con i due uomini politici si trovavano nella stessa automobile le mogli, Jaqueline Kennedy e Nellie Connally, che sono rimaste illese. La polizia ha arrestato un giovane di ventiquattro anni e lo sta interrogando. Un fucile tedesco Mauser 7.65, con mirino a cannocchiale, è stato trovato dalla polizia abbandonato al quinto piano di un edificio fronteggiante la zona dell'attentato. L’arma ha una pallottola in canna e sul pavimento sono stati recuperati tre bossoli vuoti. Sembrerebbe l’arma dell’assassino. Tre infatti sono i colpi sparati contro il corteo presidenziale, e tutti e tre sono andati a segno.

Erano le 12.29 e la lunga carovana di macchine procedeva nel centro di Dallas in mezzo ad una folla di duecentocinquantamila persone, che si assiepavano festanti per salutare il presidente. Preceduta e circondata dai motociclisti della polizia presidenziale, la "Bubbletop" di Kennedy (l’automobile scoperta con la cupola di plastica a prova di proiettile) procedeva lentamente in mezzo alla grande strada. A cinquanta metri di distanza veniva la vettura del vice-presidente Lyndon Johnson. Subito dopo le altre, sulle quali avevano trovato posto il seguito del presidente, funzionari della Casa Bianca, uomini politici senatori e deputati del Texas. Era una bella giornata stamani a Dallas e la cupola trasparente di plastica a prova di proiettile della "Bubbletop" era stata abbassata. Il presidente era appena giunto dalla vicina Fort Worth, atterrando col suo grande aereo a reazione al “Love Field”, l’aeroporto dell’amore”. Sebbene la città non fosse mai stata, politicamente, molto favorevole a Kennedy, numerosi cartelli che salutavano l’ospite con grandi scritte di benvenuto erano stati esposti dovunque. Solo alcuni, con “slogans” contrari apparivano qua e là. Una grande folla era scesa nelle strade ed ora acclamava. Il corteo era diretto verso il “Trade Mart”, dove il Presidente avrebbe dovuto partecipare ad una colazione insieme agli esponenti della città e dello Stato e pronunciare un discorso. La lunga fila di automobili aveva raggiunto un triplice sottopassaggio, che guarda su un parco e su una breve collina verde di erba. Non molti edifici si alzano nella zona. Kennedy sedeva sul divano posteriore della vettura e aveva accanto la moglie Jaqueline, vestita di un semplice abito rosa con colletto blu e cappello dello stesso colore: Jaqueline riscuoteva la sua parte di applausi. Al suo arrivo all’aeroporto la “First Lady” aveva ottenuto un successo senza precedenti e il presidente, ridendo, aveva detto di sentirsi come due anni fa a Parigi: ”come l’uomo che accompagna la signora Kennedy per la Francia”. “Jack” e Jaqueline erano di ottimo umore, sorridevano e rispondevano ai saluti della folla. Di fronte a loro sedevano il governatore Connally e la moglie Nellie. Nessuno si è reso conto né ha visto di dove sono venuti gli spari. All’improvviso, tre…….

  (da LA NAZIONE)