- vittorio
baccelli - i racconti - daemon - pixel ed
altri deliri -
LA
LAMIA
L’imponente struttura in pietra s’ergeva al limitare di un’area verdeggiante composta quasi esclusivamente da prati che erano avvolti da una perenne nebbia. I pascoli bruscamente terminavano con un dirupo a picco sul mare, un oceano sempre grigio ed agitato che con violenza si frangeva contro gli scogli sottostanti. Un lato del mastio era proprio a picco sulla scogliera.
All’interno,
nella sua stanza, la lamia attendeva com’era nella sua natura: sapeva sempre
chi sarebbe venuto, se fosse stato uomo o donna, ma chiunque entrava in contatto
con lei restava folgorato dalla sua ipnotica bellezza e veniva colto da un
insano desiderio d’amore e di possesso. Tutti giacevano con lei più volte,
fino al completo sfinimento, poi se n’andavano chini e confusi, lei infatti,
assorbiva le loro energie, i loro desideri, i loro pensieri. Gli amanti,
trasformati in larve vagavano nel mastio per poi uscire senza mai più ricordare
chi fossero. I più fortunati precipitavano dalla torre sulla scogliera
rimanendo uccisi dagli scogli sferzati costantemente da un mare impetuoso
perennemente in tempesta.
La
lamia era bellissima e senza tempo, al pari d’un ragno attendeva immobile le
proprie prede, talvolta passeggiava lenta per la torre, e molto di rado si
recava sugli scogli ad interrogare le impetuose acque che con violenza lì si
frangevano. Girava poi lenta lungo i corridoi, saliva e scendeva le antiche
scale, si soffermava sulla porta dell’aula del tappeto guardava all’interno,
senza mai entrare, ed anche senza curiosità, perché questo stato d’animo non
faceva parte della sua natura.
Appariva
sempre bellissima ed i suoi abiti erano ricchi e preziosi, sempre ben curati, e
questo era difficile da comprendere: come potevano essere sempre perfetti se
nessuno l’aveva mai scorta lavarli o stirarli? Forse in questa torre tutto era
illusione, comunque lei si spogliava solo quando giaceva con un amante, uomo o
donna che fosse, e la sua biancheria, anche quella intima, era sempre in ordine,
perfettamente pulita e profumata. Come la sua pelle d'altronde, e lei amava,
amava fortemente ed appassionatamente, il suo amore era così intenso, così
totale che assorbiva, svuotando l’essere amato, e lei era insaziabile. Dopo
aver assimilato un amante, era pronta a riceverne un altro, se questo era
scritto nel libro del destino. Gli amanti erano le sue vittime, il suo
nutrimento, questa l’energia che le permetteva d’esistere. I suoi pensieri
erano estremamente semplici, la cattiveria e la bontà erano per lei parametri
senza significato alcuno, solo l’amore che lei donava aveva un senso e veniva
pagato con l’energia tolta.
Gisberto
era andato in ferie con tutta la famiglia al seguito: moglie e figlia. Ed adesso
se la spassavano in quel lontano paese tutto sole, mare e verdi colline.
Un’auto a noleggio li aveva attesi all’aeroporto e proprio con quella, dopo
una giornata di mare incantato, stavano ritornando all’albergo. Gisberto
affrontò a velocità sostenuta una leggera curva a sinistra, la strada era a
sole due corsie, ma ampia e ben tenuta, la visibilità era ottima anche se
stavano allungandosi le prime ombre del tramonto. Subito dopo la curva c’era
un incrocio con un’altra arteria, ma più piccola di quella che stava
percorrendo. Sole all’orizzonte, visibilità perfetta, intorno all’incrocio
solo prati verdi, l’altra strada era completamente libera e Gisberto attraversò
l’incrocio a tutta velocità.
L’impatto
improvviso fu tremendo, Gisberto fu sbalzato via a diecine di metri dalle due
auto che si erano incastrate l’un l’altra.
….ma
non c’era niente, la strada era perfettamente sgombra…
Fece per rialzarsi ma un dolore lancinante al fianco sinistro lo costrinse a rimanere piegato, proprio in quell’istante le due auto innaturalmente allacciate, esplosero, e schegge di metallo e di plastiche combuste sibilarono sopra la sua testa.
…niente,
non c’era niente, come è possibile?
Aveva perso la cognizione del tempo e quando riuscì a rialzarsi vide le fiamme che si levavano dalla strada: una colonna di fumo nera saliva veloce. S’accorse d’essere senza una scarpa, ma la scorse poco lontano. A fatica si spostò per prenderla, poi se la mise mentre guardava le fiamme che continuavano ad ardere, ci fu un colpo sordo ed il fumo aumentò.
….mia
figlia….mia moglie…..
Girò attonito più volte attorno al rogo, s’appoggiò ad un palo piantato ai bordi della strada, il dolore al fianco era lancinante, il fumo sempre più denso, il calore insopportabile. Guardò il cielo, neppure una nuvola, solo la colonna di fumo nero che s’innalzava ed un lontano grosso uccello che volava lento in cerchi concentrici. Nell’aria ronzavano piccoli insetti e qualche fiocco di cenere scendeva volteggiando.Il luogo dell’incidente non era più deserto, Gisberto scorse ombre d’auto che si fermavano, e fantasmi d’uomini scendere.
“ROUTE
166” e sotto “KM.73” diceva un cartello in metallo smaltato, arrugginito e
scheggiato in più parti, piantato al lato della strada. Proprio accanto al
cartello un viottolo partiva dalla strada e si dirigeva serpeggiando verso i
verdi colli, che ora, al tramonto, erano divenuti rosso scuro.
Gisberto,
incurante del movimento che stava aumentando attorno a lui, adesso c’erano
anche luci intermittenti azzurre e rumore di sirene, imboccò lentamente il
viottolo, strascicando i piedi e s’allontanò dal luogo dell’incidente.
…non
c’era niente…niente…rivoglio la mia famiglia…
Ma si sa, un dio, se c’è, è sempre occupato da qualche altra parte, e Gisberto proseguì la sua passeggiata allucinata fino a tarda notte, il sentiero proseguiva trai colli ben disegnato nell’erba bassa, ma fitta, senza mai incontrare alcun altro viottolo. La notte era quasi al termine quando Gisberto sempre seguendo il sentiero passò vicino ad un’antica costruzione in pietra.
La
lamia da una finestra scorse l’uomo che si stava avvicinando, conosceva la sua
storia ed era stata allertata dalla frattura che lui aveva subito. E lei era
molto sensibile alle fratture, la costruzione stessa si muoveva tra radianti e
fratture. Con i suoi poteri ammalianti chiamò l’uomo a sé, già sapeva che
l’avrebbe avuto. Infatti l’uomo abbandonò il sentiero e dopo poco attraversò
il portale di un grande edificio di pietra, sapeva che era atteso e la
confusione che aveva nella testa, l’impossibilità dell’incidente, la morte
della figlia e della moglie, tutto questo lentamente stava svanendo sostituito
da una eccitazione ovattata e da un piacere inatteso. L’oblio lo stava
raggiungendo, salvandolo così dalla pazzia, ma sprofondandolo prima nel piacere
e poi nel nulla. Salì le scale e giunse nella stanza ove il richiamo d’amore
era più forte. Su un immenso divano una bellissima donna nuda lo stava con
ansia attendendo. La sua mente era ormai svuotata, l’incidente, l’assurdità
dell’evento, la morte dei suoi cari, tutto era stato pietosamente coperto dal
drappo della dimenticanza. Si denudò e giacque con la bellissima donna. Per
quanto tempo? chissà l’amore della lamia bloccava anche il tempo, ma quando
lui fu totalmente svuotato, nudo se ne andò ed imboccò il sentiero, nella sua
mente c’era solo il vuoto assoluto. La lamia sapeva che sarebbe sopravvissuto,
una tribù l’avrebbe accolto ed accudito. Seppe anche che avrebbe ricevuto,
tra poco, il frutto di un’altra frattura che si era già aperta.
Si
era allontanato per tutta la notte dal luogo dell’incidente e ad un tratto tra
i prati ondeggianti scorse tra le nebbie un’antica costruzione in pietra e
seppe che qualcosa o qualcuno lo stava osservando con morboso interesse. Ne ebbe
paura e proseguì inquieto lungo il sentiero guardandosi spesso alle spalle, ma
senza mai scorgere niente. Prosegui stancamente per ore, forse giorni, vide poi
in lontananza un villaggio, si schiarì la vista e scorse case rotonde in pietra
con tetti di paglia. Dallo sforzo la vista gli si annebbiò e cadde svenuto di
traverso al sentiero. Molto tempo dopo si risvegliò in una grotta, no si ricordò
delle case, era in una di quelle capanne rotonde che aveva scorto: era su un
giaciglio, con pelli addosso.
In
un angolo una luce ad olio rischiarava appena l’ambiente…ma era troppo
stanco e gli occhi si richiusero.
Fu
curato, pulito e rivestito, gli fu dato del cibo da uomini e donne silenziosi,
vestiti con lunghe tuniche di tela colorata. Gisberto riprese le forze, cercò
di farsi capire, ma invano, tutti erano muti e comunicavano tra loro con lenti
ed armoniosi gesti. Smise di tentare di parlare con loro e con sorpresa
s’accorse che riuscivano ugualmente a comprenderlo, ed anche lui pian piano
avvertiva le loro silenziose domande. Una giovane era quasi sempre con lui,
l’accompagnava, gli portava il cibo…..ma sentiva che doveva tornare, tornare
alla sua casa, capire cos’era accaduto, riprendere le proprie cose, parlare
con gli amici ed i parenti dell’accaduto….capire cos’era
accaduto..ritrovare….
ritrovare
cosa? Moglie e figlia sono morte…perché?
Ma una mattina imboccò il sentiero e tornò indietro fino al cartello ROUTE 663 – KM.73. Sull’asfalto tracce di bruciato, fece l’autostop, ma non tornò all’albergo, si diresse subito all’aeroporto ed acquistò un biglietto per tornare in Europa.
Il
giorno successivo era all’aeroporto della sua città, si recò al parcheggio,
ma l’auto che aveva lasciato, non c’era più: quanti giorni erano passati da
quando l’aveva parcheggiata lì?
Fermò
un taxi e si fece portare vicino a casa sua, meno male che aveva conservato il
portafogli con le carte di credito. Scese all’imbocco della strada ove si
trovava la sua abitazione: aveva una strano presentimento, voleva osservare
tutto attentamente prima di decidersi di rientrare in casa. Fermo all’angolo
vide in fondo al viale la sua auto parcheggiata, proprio di fronte alla casa,
ove lui la lasciava sempre. Poi….ma si disse “non è possibile”, vide
uscire sua figlia dalla casa ed anche sua moglie…..e si infilarono in
macchina. Gisberto quasi svenne e s’afferrò ad un cancello per non cadere, ed
esterrefatto scorse la sua auto partire e venire verso di lui.
L’auto
passò silenziosa rasente il marciapiede vicino a lui che se ne stava aggrappato
al cancello e lo stringeva così con forza che le sue unghie erano penetrate
nella carne e stava sanguinando. Occhi stralunati, vestiti spiegazzati, barba
lunga, osservava atterrito l’auto che ora quasi lo sforava e vide…al
volante….al volante….lui era al volante, accanto a sua moglie, dietro la
figlia che si girò verso il lunotto e gli strizzò un occhio sorridendo.
Gisberto
per poco non svenne ed a lungo rimase aggrappato al cancello. Ed una voce entro
di lui gli diceva che qui era ormai totalmente fuori posto e gli sussurrava di
tornare…di tornare….
A
piedi, lentamente s’avvio verso l’aeroporto……
Il
volo di ritorno fu senza storia, lui era svuotato, non riusciva più a pensare
mentre gli altri passeggeri lo guardavano strano e lanciavano occhiate
preoccupate nei suoi confronti.
Si
ritrovò nella città esotica ed imboccò la route statale 663 pian piano giunse
al KM.73 e con le ultime forze, erano giorno che non mangiava, che non bevevo e
che camminava…dopo molto tempo giunse il vista del villaggio ed ancora una
volta svenne. Si ritrovò nella solita capanna di pietra rotonda con lei che
amorevolmente l’accudiva. Quando si fu ripreso arrotolò i suoi vestiti
occidentali con dentro portafogli, orologio, spiccioli, chiavi, ecc. e gettò
tutto nel fuoco sacro che sempre ardeva ai margini del villaggio accudito sempre
da due giovani.
La
lamia lo sentì passare ed avvertì una nuova frattura, o forse questa volta fu
lei stessa a procurarla, lui si dirigeva zoppicante verso il villaggio, ma cadde
sul sentiero accanto alla torre. Era svenuto, immobile, la lamia allora scese le
scale e si diresse in direzione dei prati, erano secoli che non imboccava questa
direzione e giunse di fronte a lui, lo scosse, lo fece rinvenire ed
abbracciandolo lo condusse all’interno sull’enorme divano.
Il
suo seme e la sua mente si svuotarono mentre con lei giaceva ed una sensazione
piacevole di déjà vu lo avvolgeva. Quando la lamia terminò il multiplo
amplesso con lui, contrariamente alle sue abitudini, lo accompagnò al sentiero
e lo avviò in direzione del villaggio. Lei sapeva che l’avrebbero accolto e
curato e che una giovane mora di capelli e con gli occhi d’oro l’avrebbe
amato. Le tre fratture si sarebbero ricomposte: poi la lamia dimenticò,
com’era sua natura e si soffermò davanti alla porta dell’aula del tappeto,
una giovane si dibatteva intrappolata su di lui.