-          vittorio baccelli – i racconti – terzo sigillo –

 

 

 

 

LA LIMOUSINE

 

Cinzia se n’era appena andata, gli aveva detto che non aveva più voglia di stare con lui e l’aveva lasciato con un bacio in fronte, lui steso ancora sul letto disfatto ove avevano appena finito di fare l’amore. Si addormentò, confuso e un po’ seccato, ma al mattino le idee pian piano si schiarirono e pensò “ Morto un Papa si fa un Papa ed un cardinale. Ne troverò un’altra, e chi se ne frega”.

E dopo una giornata di lavoro, noiosa come sempre, si fece una pizza ai funghi accompagnata da birra scura nella sua pizzeria preferita. Uscendo quasi sbatté contro Rosanna, era da quando un anno prima l’aveva lasciata per mettersi con Cinzia che non la rivedeva. Si fermarono l’uno davanti all’altra, poi si sorrisero e lui le raccontò che con Cinzia era tutto finito mentre quasi meccanicamente, come una volta, si avviarono verso casa sua. Fecero l’amore e dormirono assieme.

Al mattino Rosanna uscì senza dire niente e non volle lasciargli neppure il suo nuovo numero di telefono, malgrado le insistenze.

Di malavoglia si recò al lavoro, senza  radersi e facendo colazione solo con un caffè espresso e dopo la solita giornata di routine aziendale, mentre era uscito in strada e stava rientrando, un auto si accostò al marciapiede accanto a lui e lanciò un colpo di clacson.

Si girò senza fermarsi e vide dal finestrino aperto della Twingo bianca il volto d’Ilaria che lo salutava sorridendo. Aveva avuto una breve storia con lei prima di mettersi con Rosanna. Salì in macchina e si fermarono davanti casa, trascorsero un’ora piacevole assieme, poi lei se ne andò.

Rimasto solo, perplesso, si fece un toast, lesse alcuni capitoli de “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris, pensò che a lui era piaciuto di più il film del libro, e lentamente scivolò nel sonno con la luce sul comodino che rimase per tutta la notte accesa.

Si risvegliò con il pensiero “sto andando indietro nel tempo” ed era quanto mai distratto dai recenti avvenimenti, rifletteva su Laura, la bionda con cui era stato prima d’Ilaria, ma si disse “non è possibile, lei è di Firenze e qui a Lucca non l’ho mai incontrata. Ma all’uscita dal lavoro, nel tardo pomeriggio, Laura lo stava aspettando in piedi sulla strada. Gli disse che aveva l’ultimo treno a mezzanotte e mezzo e “perché non mi porti a casa tua? Possiamo stare insieme qualche ora, poi mi riaccompagni alla stazione” e durante la serata gli raccontò che con il marito si stava annoiando a morte, per questo negli ultimi giorni aveva pensato molto a lui, poi si era decisa di venire a cercarlo. Più tardi, dopo averla accompagnata alla stazione ferroviaria, si fermò in un pub e scolò una birra dietro l’altra.

Lui aveva sempre bevuto molto poco, pertanto al mattino si ritrovò ubriaco perso come mai era stato ed a fatica si trascinò verso casa, molto più tardi ce la fece a telefonare in ufficio per darsi indisposto.

“Prima di Laura c’è stata Ada, e quella era proprio tutta matta, no, non voglio rivederla”.

Nel pomeriggio tirò fuori dal garage la sua moto e schizzò fuori dal quartiere con il casco ben calzato cercando di non vedere la gente che incrociava per strada. Fece il pieno ad un distributore di periferia e si recò su uno dei colli che sorgevano attorno alla città. Dopo una strada sterrata imboccò un tortuoso viottolo che non aveva mai percorso e si ritrovò su un prato in leggera discesa, proprio in cima al colle più alto.

Scese di moto e mentre al sole sonnecchiava, Ada gli stava mordicchiando un orecchio. “Sto sognando” pensò, ma non stava affatto sognando, lei, in carne ed ossa, fin troppa carne, gli era seduta accanto in tenuta da MB e la MB, nuova di color rosso valentino, era lì sul prato accanto alla sua moto.

Lei si tolse in fretta i pantaloncini e la t-shirt, cominciò a succhiargli il membro e poi tutto fu come alcuni anni prima. Dopo che lui venne, lei non godeva se non col vibratore, si rivestì, gli mandò un bacio mentre risaliva sulla bici e con alcune forti pedalate sparì dal prato.

Rimase solo, mentre il sole s’avvicinava al tramonto e la sua mente si avviluppava in pensieri caotici e sconnessi, riuscì poi a ricomporsi ed a voce alta disse “La prossima dovrebbe essere Wyki, lei la rivedrò molto volentieri, mi arrapava da matto, ma che senso ha tutto ciò?”. Si rasserenò del tutto pensando che quasi niente nella vita ha un senso, ma ti capita tutto così, modello sbrodolata, tanto vale assistere al film dell’esistenza e vedere come la storia va a finire, tanto il prezzo del biglietto non ce lo rimborsa mica nessuno.

Due giorni dopo trovò Wyki seduta al bar sotto casa sua che sorseggiava una cola.

Decise di prendersi quindici giorni di ferie e si trasferì in un albergo a Rimini. “di marzo qui non c’è proprio molto traffico e questa corsa all’indietro mi spaventa” Il giorno dopo il suo arrivo bussò alla porta una cameriera col carrello degli asciugamani puliti. Era Elisabetta e seppe che da due anni lavorava lì. Inutile dire che la mattina successiva lui scappò di corsa dall’albergo e si fermò solo a Venezia. Aveva appena parcheggiato che incrociò Carol che lo condusse a casa sua. Il giorno successivo fuggì anche da Venezia e tornò rassegnato nella sua città.

Aperta la porta di casa si rese conto che nel salotto la TV era accesa, entrò e Naona, una mulatta di tanto tempo prima, che aveva avuto ad un centone al colpo, l’attendeva nuda sdraiata sul divano. Ed anche lei, come tutte le altre, la mattina se ne andò e questa volta non volle esser pagata.

A quel punto lui s’arrese, riempì la casa di casse di birra ed il frigo di cibi surgelati, decidendo di lasciarsi andare completamente agli eventi certo che ogni sforzo per evitarli sarebbe stato inutile. Fece mente locale e stilò la lista delle sue donne, con il pennarello la trascrisse su un muro della cucina, poi man mano che le sue ex capitavano in casa, faceva una croce, sempre col pennarello, sul rispettivo nome: Evelina, July, Mercedes, Lella, Sandra, Claudia, Simona, Celestina, Antonella (trovata su un’inserzione pubblicitaria nella sezione messaggi personali, con il nome di Salice Piangente), Rosanna, Gioela (faceva dei pompini incredibili). Anche tutte queste erano ormai già passate ed avevano la loro brava croce sul rispettivo nome. Ora scorrendo all’indietro era la volta di Liana, Monica, Stefania, Loretta, un’altra Simona, ed anche loro vennero, rispettando il rigoroso ordine inverso, raccontando come erano giunte lì, come avevano avuto il suo indirizzo, ognuna con spiegazioni diverse ma credibili. Venne anche Marco, l’unica esperienza deviata che aveva avuto e con lui fu dolce come ricordava.

Ma adesso era la volta di Monica, così giovane, così bella, ma lei era morta nove anni prima in un incidente stradale.

E lui l’attese, ubriaco come non mai. E Monica giunse con addosso una minigonna che non le copriva niente, come sempre portava. Giovane, bella e simpatica, spregiudicata e un po’ troia, e senza parlare fecero l’amore, come sempre l’avevano fatto, a lungo e con piacere, forse anche, questa volta, con un po’ d’amore. Al mattino lei disse “Devi venire con me” e lui si fece una doccia, si rase la barba ed i capelli, ultimamente incolti, indossò il suo completo più bello ed elegante, prese una camicia bianca coi gemelli (scelse per gemelli quelli con quattro pietre di giada rilegate in argento, che aveva fin da ragazzo), calzò i mocassini lucidi e si annodò la cravatta di Versace, quella che non aveva mai indossato perché eccessivamente impegnativa (o almeno così la giudicava lui). Si profumò col suo aroma preferito (Nino Cerruti, glielo aveva regalato Cinzia), si limò le unghie delle mani che erano state da tempo trascurate, agganciò il Rolex al polso, s’accese una sigaretta ed uscì a braccetto con lei.

Salirono assieme su una nera limousine con i vetri oscurati che li stava aspettando, parcheggiata col silenzioso motore acceso, davanti al portone di casa e che senza alcun rumore partì non appena la portiera si chiuse.

Simona (un’altra ancora con lo stesso nome), Giuliana, Patrizia, Caterina, Alessandra, Elena, Mariella, Rita, Marilù, Patrizina, Anna Rita, Marisina ed Iselda: i loro nomi rimasero scritti sulla parete senza esser cancellati dalla solita croce.