MAIL ART 11

Quanti imprevisti sono nati dal primo burocrate che non ha retto a fotografarsi la mano tra un documento e l’altro: il più impersonale degli strumenti d’ufficio s’è trasformato così in uno specchio rivolto verso un’altra dimensione. Fin dal primo apparire sul mercato delle macchine fotocopiatrici, artisti e grafici ne hanno esplorato le qualità specifiche, spesso lavorando in stretta collaborazione coi tecnici che ne perfezionavano il funzionamento. I risultati di queste sperimentazioni sono stati spesso organizzati in mostre fin dagli anni ’60, mostre inserite dai critici nel filone dell’arte povera, ma le mostre collettive e personali di copy art rappresentano solo una percentuale esigua delle applicazioni creative della fotocopia: all’interno di riviste, fumetti, manifesti, cartoline, copertine di dischi, ecc. è facile riconoscere le qualità grafiche delle copie fotostatiche, dalla grana al contrasto, dalle striature al trascinamento. La copy art, sempre presente nelle rassegne di arte postale, non è un movimento artistico omogeneo destinato a consumarsi nello spazio di qualche stagione, come avviene per le "tendenze" progettate al tavolino, ma è un’opera creativa vasta e diversificata che trae linfa anche dall’evoluzione costante delle nuove generazioni di copiatori. La fotocopiatrice è stata utilizzata anche da esponenti di spicco delle correnti artistiche autorevoli ed è divenuta uno strumento insostituibile per riprodurre, deformare, ingrandire, rimpiccolire, trasformare e generare nuove idee grafiche, la vitalità della fotocopiatrice come strumento espressivo è inoltre legato alla possibilità offerta da conquiste tecniche sempre più avanzate come telescopie, elettroradiografie, lasercopie, interazioni con schermi video, computer, telefoni, fax, internet, ecc.

La fotocopia riafferma la contraddizione tra unicità dell’opera d’arte e la riproducibilità offerta dai mezzi tecnici (§ Benjamin), da un lato abbiamo le fotocopie d’autore in pezzi unici firmati o tirature limitate per collezioni o esposizioni, create da xeroartisti che operano in circuiti tradizionalmente mercantili con gallerie, musei e giornali patinati, dall’altro riproduzioni a basso costo, fotocopie creative il più delle volte diffuse gratis all’interno del circuito postale, cartoline, riviste fotocopiate poste in vendita solo in librerie specializzate, manifestini pubblicitari affissi sui muri cittadini. Il dualismo tra copy art da galleria e quella povera è in effetti più teorico che reale, infatti gran parte degli operatori che si occupano di ricerche con la fotocopiatrice risultano attivi su entrambi i fronti contemporaneamente affiancando alla produzione seriale una di lavori maggiormente elaborati nell’estetica. Ma è proprio nell’arte postale che la fotocopia creativa si rivela del tutto funzionale alla necessità pratica di mettere in contatto centinaia d’operatori creativi sparpagliati per il pianeta. I formati degli invii postali s’adattano alla perfezione alle dimensioni standard delle fotocopie: moltissimi mailartisti utilizzano la tecnica xerox per creare francobolli, cartoline, collage, ipertesti; per questi lavori sono ovviamente preferite le fotocopie a colori. Concludendo la fotocopiatrice è uno strumento espressivo democratico ed al tempo stesso rivoluzionario. Una curiosità: nei defunti paesi antidemocratici dell’est occorreva una speciale autorizzazione statale per ogni singola riproduzione.

La preferenza ormai universalmente accordata al nome mail art rispetto ai diretti concorrenti di cui avevamo già detto e rispetto anche alle proposte stravaganti e macchinose quali networking art, communications art, process art, ecc. credo si possa attribuire alla maggior semplicità, riconoscibilità, brevità ed anche inclusività di questo termine, usato indifferentemente nelle versioni con trattino intermedio o con le iniziali maiuscole. Secondo Bill Gaglione il termine mail art sarebbe stato coniato all’inizio del ’70 da John Evans, uno dei membri originali della N.Y. Correspondance School, artista rimasto attivo continuativamente fino ai giorni nostri, scampato miracolosamente al disastro delle torri gemelle: faceva il giardiniere all’interno, ed è riuscito ad uscire dalla seconda torre pochi minuti prima del crollo. Per altri il merito andrebbe invece al critico francese Jean-Marc Poinsot, curatore nel ’71 d’una sezione postale alla Biennale de Paris. Quale che sia la verità, più probabile è che il nome sia apparso contemporaneamente da più persone, la cosa comunque non riveste importanza alcuna dato che molte delle neologie e degli slogan coniati all’interno della rete, quali netland, artistamp, decentralized congress, ecc. divengono comunque in breve tempo di pubblico dominio, non di rado con la complicità degli stessi ideatori.

Almeno una di queste definizioni, la più amata e la più frequentemente utilizzata dopo mail art, ha una paternità certa e documentata: Eternal Network, il concetto di rete eterna, di contatti il cui intento è sostituire allo spirito di competitività fra artisti una volontà di collaborazione, coniata dal francese Robert Filliou con l’aiuto del tedesco George Brecht, due artisti d’area FLUXUS della seconda metà degli anni ’60. Ma siamo proprio sicuri che nel circuito di arte postale questa collaborazione sia totale e che manchi ogni spirito agonistico? Credo di no e posso confermarlo con la mia presenza trentennale all’interno della rete, così come posso confermare l’eternità del circuito che non si chiude neppure con la morte dell’artista, ovvero col suo ritorno al mittente, ma prosegue anche dopo la sua scomparsa: in parole povere che cade nella rete, è per sempre.

Un’ultima considerazione sul termine mail art: la traduzione italiana ARTE POSTALE è quantomai azzeccata e degna d’esser presente e livello globale.