- vittorio baccelli - mail art -

MAIL ART 5. parte

 

 

Timbrarte viene da noi comunemente chiamata la RUBBER STAMP ART e con questa definizione s’intendono i risultati artistici ottenuti con l’uso di timbri di gomma. La timbrarte veniva dapprima considerata una forma espressiva marginale, ma oggi è oggetto di studio da parte di critici specializzati ed anch’essa viene identificata come un importante mezzo contemporaneo di veicolazione artistica. Il sospetto d’esser strumento della diffusione d’idee sovversive è impressione derivata da coloro che ne identificarono la funzione di simbolo del contro-uso dei sigilli della burocrazia. L’utilizzo del timbro come mezzo artistico è da attribuirsi ai futuristi coi loro guazzi, ma è il tedesco Kurt Scwitters che fece nello stesso periodo un uso sistematico dei timbri incorporandoli nei suoi collage.

E’ doveroso ricordare come anche l’idea dei collaggi postali appare quasi contemporanea sia nei futuristi che in analoghe esperienze dell’artista tedesco (1922). Comunque la timbrarte non è emersa a livelli di una certa popolarità fino agli anni ’60, anni che segnano la diffusione dell’arte postale.

Nell’arte postale uno dei mezzi più utilizzati è la cartolina postale personalizzata da disegni, o grafici, o collage, o versi poetici, ecc. Essa arriva al destinatario stracolma di simbologia, spesso non facilmente riconoscibile, sempre aperta a varie interpretazioni, usufruibile, carica di timbri e francobolli, sia ufficiali – quelli delle poste nazionali – o personali, questo perché molti artisti postali si costruiscono il proprio francobollo, che diviene così un messaggio nel messaggio. E tutti gli artisti postali usano almeno un proprio annullo che diviene un messaggio sul messaggio nel messaggio. E il messaggio può anche essere NULLA, cioè nullo, ossia annullato, il tutto nel rispetto della più banale prassi postale, ma anche nel rispetto delle nuove regole di questa forma artistica totalmente antiburocratica che è la timbrarte.

Fermiamoci ora un attimo a riflettere su coloro che si riempiono la bocca di arte di frontiera, di sconfinamenti, di attraversamenti, di contaminazioni e di rimescolamenti magari con rivisitazioni: dovrebbero, questi signori, abbassare le loro creste di saputoni ed occuparsi di chi da tempo pratica l’unica vera arte in grado d’eludere dogane, di farsi clandestina, piccolina, minimale, povera, un’arte che s’accontenta delle dimensioni d’un francobollo per poter viaggiare più comodamente e gratuitamente con falsi d’autore o bolli riciclati, su buste, cartoline, ed altri talvolta fantasiosi supporti.

 

 

 

La mail art si contrappone ai normali canali delle poste nazionali (nazional onaniste) che c’impongono le loro emissioni colorate ed altre assurdità adesive concepite solo per compiacere le idiozie collezionistiche del mercato filatelico, le poste funzionano, insomma, come subdole supposte dentellate per introiettare in noi le loro imposte dirette, assieme alla celebrazione di personaggi, di ricorrenze, di scemenze ufficiali di cui al cittadino normale (non massone) non può importarne di meno.

Operazioni dunque nazional-celebrative, ma affrancare vuol dire invece liberare, emancipare, non timbrare il cartellino, ed imbucare può significare imboccare la via della conoscenza, non per vidimare il reale, ma per inceppare il vuoto pneumatico totale. Ogni mailartista si pone in una posizione antagonista nei confronti degli apparati verticistici, ed il suo scopo è d’eludere il controllo di chi vuol mettere il francobollo di stato ad ogni autonomia, visitare, obliterare, sorvegliare ogni antinomia.

Inviare, invitare, donare, annullare le distanze delle separatezze imposte dalle autorità reali. Nei circuiti postali alternativi, di posta opposta, s’aggirano gruppi di simulatori, falsificatori, sabotatori della burontocrazia, inventori anche d’una geografia di fantasia fatta di stati immaginari ed immaginifici, di stati alterati di coscienza, di stati inventati di sana pianta. Ed ecco: Hurruh, Republic of Kemp Land, Soviet Nation, Uto+pia, Myofer, l’isola di Zenovia, Eurosland, Placet Petal, Isle Napoleon e la madre di tutti gli stati onirici – il sultanato dell’Occussi Ambeno!

 

 

Tutte queste patrie senza patria con città aperte a tutti gli apolidi creativi ed abitate da fantastiche comunità si ritrovano nella planetaria rete della mail art.

Ma torniamo al padre di tutto questo, a Ray Johnson che non è stato come Marinetti o Breton un leader in senso gerarchico o politico, né come Maciunas o Friedman un teorico o coordinatore razionale. Non ha redatto manifesti, bensì ha elevato il frammentario ed il pettegolezzo a forma d’arte, e le espulsioni dal suo giro di corrispondenti non sono state vere epurazioni, ma piuttosto parodie delle lotte all’interno delle avanguardie storiche. La sua è sempre stata una presenza enigmatica e defilata. Un eremita che pareva conoscere tutto di tutti, un convinto individualista capace d’imprevedibili atti di generosità, una figura mitica già al suo primo apparire sulla scena artistica. Una leggenda da tramandare, piuttosto che un maestro da riverire.

Nato a Detroit nel ’27 studiò negli anni ’40 con insegnanti quali Josef Albers e Robert Motherwel al Black Mountain College nel North Carolina, un laboratorio che ha partorito nomi di spicco nell’avanguardia americana, da Merce Cunnigham a John Cage. Nel ’48 Johnson si trasferì a New York ove mise a punto, dopo alcune esperienze astratto-espressionistiche, la sua strategia originale, capace pur nel suo piccolo di ribaltare assunti fondamentali del sistema dell’arte, oltre che ad anticipare diverse tendenze, dalla pop art – fu trai primi ad integrare nei collage volti di celebrità come Elvis Presley e James Dean – al graffitismo – immagini visive lasciate su mura urbane e vignettistici animali onnipresenti nelle sue opere, il coniglietto, una sorta di suo marchio di fabbrica – precorrendo di 30 anni gli omini di Keith Haring.

 

 

Johnson preferì sempre lavorare in copia unica e su piccoli formati, precludendosi così l’appoggio del gran mercato dell’arte, verso cui nutrì in ogni modo sentimenti contrastanti, rifiutando spesso d’esporre o di vendere i propri lavori. A volte associato a FLUXUS per il carattere minimal concettuale dei suoi progetti, è stato in realtà un talento unico facente scuola a se stante, un collagista e disegnatore dal tratto elegante ed essenziale, un artista "vecchia maniera" che ha saputo vedere ben oltre la propria formazione accademica presagendo ed evolvendo con le sue liste di contatti epistolari l’esistenza di una nuova figura nell’ambito culturale: l’operatore di rete o di network, una sorta d’animatore che crea contesti per l’esperienza artistica collettiva.

L’arte viene da Johnson intesa senza alcun intento socio-rivoluzionario teorizzato a monte, ma come processo attivo ed in progress di scambio tra individui e non come operazione commerciale, scavalcando così le figure istituzionali del critico e del gallerista.

 

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