MOSAICO

 

-         Kiyoko tesoro, ti devo parlare.

-         Sei tu Kawase?

-         Sì.

-         Ma eravamo in casa mezz’ora fa, cosa c’è di tanto importante?

-         Volevo chiederti una cosa, ma prima è giusto che tu sappia…

-         Cosa? Ma al telefono?

-         Scusa, mi torna meglio così.

-         Va bene, ti ascolto.

-         Forse conosci già tutta la mia storia con Asaka ma voglio che tu la senta da me. C’eravamo sposati in campagna nel nostro paese alla periferia Fukui nell’isola di Honshu per trasferirci subito dopo qui a Tokyo ove avevo trovato un buon lavoro alla filiale della Sendai. Tutto sembrava andar bene e abbiamo passato due anni meravigliosi, anche se forse ero un po’ troppo assente da casa perché preso dal mio lavoro. Così ci siamo chiesti perché un figlio non arrivasse e ci siamo sottoposti alle visite di routine in questi casi. È risultato che ero irrimediabilmente sterile.

-         Questo Kawase non lo sapevo, mi dispiace.

-         Da quel momento tutto è cambiato e Asaka è divenuta sempre più distante da me, sembrava che tra noi due una barriera fosse sorta e si stesse ispessendo ogni giorno di più. Spesso tornavo tardi a casa e lei non c’era e neppure tornava fino al giorno dopo. Una sera mi disse che era rimasta incinta, aveva conosciuto un “vero” uomo e se ne sarebbe andata da lui. Rimasi senza parole sconcertato da quel “vero” che lei aveva rimarcato quasi con disprezzo. Non seppi proprio come risponderle, e solo dopo un po’ le augurai con un filo di voce la buona fortuna. L’amavo ancora però capivo che lei aveva tutto il diritto di farsi una famiglia “vera”.

-         Ma perché vuoi ripercorrere questa storia dolorosa? Ormai è tutto superato, non ha più importanza, sei tu che devi rifarti una vita.

-         Hai ragione, ma non è superato tutto un bel niente. Avevo comunque un buon lavoro, guadagnavo assai di più di quello che volessi spendere e poi mi ripetevo che Asaka aveva tutte le ragioni ed era giusto che volesse rifarsi una vita tutta sua.

-         Kawase dai, non proseguire tanto so già tutto, perché vuoi farti ancora male?

-         No che non sai tutto, e poi anche se così fosse devo esser io a dirtelo poiché ho da chiederti una cosa importante.

-         Va bene, continua…

-         Dopo che Asaka se ne fu andata cominciai a frequentare delle vecchie amicizie, gente che come noi abitava a Fukui e nel resto dell’isola di Honshu e che s’erano trasferiti qui a Tokyo o per lavoro o per studio. Rividi così anche Kawase, il tuo povero marito che fu mio amico d’infanzia. Lui dopo averti messo incinta e sposata s’era trasferito qui in città nella speranza  d’un buon lavoro che non aveva mai cercato. Viveva invece d’espedienti e ogni tanto faceva qualche lavoretto per la yakuza, ma tutto quello che riusciva a raccattare lo sputtanava subito dopo in droga, gioco e prostitute, scusami per la franchezza.

-         Sei scusato, sono cose che sapevo.

-         Praticamente ti aveva del tutto dimenticata assieme a sua figlia, e qui era sempre più incasinato e non faceva che chiedere soldi a tutti. Tante volte gliene ho prestati anche se sapevo che non li avrei mai più rivisti. L’hanno poi trovato nella sua casa a faccia in giù in un lago di sangue, la punta della lama gli usciva dal collo, le sue viscere giacevano sparse in terra. Era voluto morire ritualmente, con onore, forse per riscattare una vita dissennata. Indossava la sua vecchia divisa militare, aveva slacciato la giacca, la cintura, i pantaloni ed il colletto della camicia. C’era scritto su un foglio un addio per te e per tua figlia e sotto il mio numero di telefono. La casa era in perfetto ordine, aveva rispettato ogni aspetto del rituale, non so se avesse avuto anche il testimone, ma penso di si.

-         Sei stato tu a trovarlo?

-         No, la porta era stata lasciata volutamente aperta e la donna che accudiva al condominio era entrata. Subito mi ha telefonato, sapeva che ero suo amico, e l’ho trovato così prima ancora che arrivasse la polizia.

-         Poi mi hai chiamato e abbiamo provveduto ai funerali.

-         Sei venuta con la bimba, tanto lei doveva fare degli accertamenti all’ospedale. Ti sei trasferita con la bambina da me, te l’ho chiesto io e sono stato felice che tu abbia accettato.Adempiuti gli obblighi funerari abbiamo portato assieme la bambina in ospedale e tu hai cominciato a curare la casa, a lavare e stirare i miei vestiti, a fare la spesa: ti sei presa pensiero di me, mentre l’ospedale si prendeva cura della bimba.Non ti avevo chiesto nulla, anche perché di preoccupazioni n’avevi fin troppe dal suicidio di tuo marito alla malattia della bimba, tu eri mia ospite potevi guardar la bambina e non fare altro.

-         Ho fatto solo quello che ritenevo fosse giusto fare.

-         Ma avevi nel cuore il dolore per la morte di tuo marito e l’ansia per i risultati delle analisi di tua figlia. Ieri poi c’è stato il responso dei medici, tua figlia non ha niente di grave, nulla di quello che tutti temevano, non si trattava di leucemia ma di una banalissima infezione che ci ha fatto temere il peggio, con le nuove cure lei sta già infatti molto meglio e forse tra una settimana potrà esser dimessa. Noi eravamo felici alla buona notizia e abbiamo iniziato col bere sakè in casa mia, poi siamo usciti e al bar dietro l’angolo abbiamo proseguito con le birre europee, abbiamo fatto in seguito il giro di tutti i locali aperti fino a tarda notte. Siamo tornati a casa mia un po’ brilli, forse io sbronzo del tutto e ci siamo ritrovati assieme nel mio letto, quel letto matrimoniale da troppo tempo occupato da una sola persona. I vestiti sono scivolati via sul pavimento come se volessero scappare dai nostri corpi accaldati e abbiamo fatto l’amore finchè il sonno non ci ha colti.

-         Sei pentito per quello che abbiamo fatto? Guarda che anch’io l’ho voluto fortemente e non ne sono affatto pentita.

-          È stato bellissimo ma ho da dirti un’ultima cosa prima di chiedertene un’altra. È una cosa che ti ho nascosto e non so se mi perdonerai.

-         Guarda che se vuoi dirmi che mio marito t’aveva chiesto un altro prestito che gli hai negato la sera prima di uccidersi, lo so già, mi telefonò lui. Questo prestito te lo chiese per portare la bambina qui a Tokyo all’ospedale per le analisi. Lui non ti disse a cosa sarebbero serviti quei soldi, né ti disse che ero stata io a chiedergli di trovarli. E poi anche se te l’avesse detto, ci avresti creduto? Non puoi fartene una colpa, l’ultimo prestito l’ha chiesto anche a tanti altri, ma nessuno glielo ha concesso, di lui non si fidavano più. D'altronde mio marito da quando venne qua a Tokyo non ha più cercato né me né sua figlia, noi a Fukui non siamo morte di fame perché i miei genitori ci hanno accolto nella loro casa, ma anche loro sono poveri, sono contadini. Dovevo in tutti i modi portare qui mia figlia per curarla, per questo non ho potuto fare a meno di chiedere i soldi a mio marito. Comunque ormai tutto è risolto, ho portato la bambina all’ospedale, le hanno diagnosticato una malattia non grave ed è in via di guarigione. Quando sarà dimessa torneremo alla casa dei miei e sarò sempre grata a te che hai agito in maniera onorevole in tutto. Ciò che volevo principalmente fare, è stato fatto. Era questo che volevi dirmi? Che avevi rifiutato l’ennesimo prestito a Masaru? Lo sapevo già e ti ho sempre compreso, non te ne ho fatto una colpa. Se così non fosse stato mai e poi mai avrei fatto l’amore con te.

-         Se sapevi già tutto perché non me ne hai parlato?

-         Non volevo farti pesare nulla, tu mi hai fatto venire qua, hai provveduto ai funerali di Masaru, mi hai aiutato a risolvere la malattia di mia figlia, il tuo agire è stato senza pecca.

-         Mi togli un macigno dal cuore, ma non volevo scusarmi prima che tu te n’andassi, volevo chiederti un’altra cosa.

-         Ti ascolto.

-         Non potrò mai avere figli, ma la figlia tua e di Masaru potrà essere anche mia figlia: vuoi sposarmi?

-         Sì, torna subito a casa, ti sto aspettando.

-         Vengo immediatamente, amore.

 

~ SIPARIO ~