MYRIAM

 

"Questo era il nome con cui l’inquisitore conobbe per la prima volta Elisabetta. E lei forse era un demone o forse era un angelo: sicuramente era posseduta. E lui l’amò assieme a Leonor e fu amore, fu sesso, ma non era in sé e solo ora può ammettere ciò che realmente accadde. Adesso che lei è sul pianeta felice, adesso che l’imperatore con Gian sta per tornare ai suoi mondi, adesso che il tessitore ha in mano i fili dell’arazzo e li crede sogni, ispirazione letteraria. Ma ha dei dubbi, forti dubbi, le sue fantasie, i suoi racconti troppo spesso sono con violenza entrati nella realtà, nel mondo reale."

Ma chi ha realmente scritto queste ermetiche righe che sto leggendo? Materialmente io le ho scritte, ma quale messaggio autentico è scattato dal mio inconscio per indurmi a scrivere queste cose? Scrittura automatica si chiama, ho imparato le tecniche alle lezioni dell’università e così ho fatto il vuoto nella mia mente usando un metodo zen, mentre ero davanti ad un foglio bianco con una penna in mano. Come faccio a fare il vuoto nella mente? È facilissimo, pensate d’essere in una grande stanza buia, completamente buia, nera addirittura, appena giunge un qualsiasi pensiero dategli la forma di una bianca pallina da ping pong e sbattetela fuori dalla stanza. Pian piano ogni pensiero sarà così cacciato e voi vi troverete nel buio più totale, pensieri nisba, assenza totale. Quando vi riprenderete guardate il foglio e leggete cosa automaticamente avete scritto. A me succedeva che le prime volte c’erano solo girigogoli e scarabocchi che non significavano assolutamente nulla, poi iniziarono a comparire frasi leggibili, ed erano frasi note: mi ricordo le prime due. "Vi sarà sangue dicono:sangue vuole sangue" questa fu la prima ed era di Shakespeare, la riconobbi subito, la seconda dovetti ammattire un po’ per scoprire di chi fosse "Possiede tutte le virtù che detesto e nessuno dei vizi che adoro". All’inizio pensai che fosse mia, originale, ma poi scoprì che era di Winston Churchill. Poi iniziai a scrivere frasi del tutto originali come quest’ultima su Myriam e tutta quell’altra gente che non so proprio chi sia. Ma ora basta con queste esperienze più o meno parapsicologiche, ho materiale a sufficienza per trarne una tesina ed ora la batterò al PC, ma prima voglio uscire a respirare una boccata d’aria fresca e prima ancora che riesca a rendermene conto sono già fuori a passeggio per le strade del mio quartiere. Prendo un caffè al solito bar d’angolo, proseguo lungo la via principale e do occhiate distratte alle vetrine. Giungo in piazza grande e mi sembra più vuota del solito. Li per lì non capisco, sarà un’idea, ma poi mi accorgo che non c’è più la statua equestre nel mezzo alla piazza, ma al suo posto un’aiola trascurata con pochi fiori e molte erbacce. Attorno il solito parcheggio con tutte le auto in sosta. Ma fino ad ieri la statua c’era, molto alta, molto grande, in bronzo con cavallo e cavaliere che con una mano impugnava una bandiera, di bronzo pure quella. Possibile che in nottata abbiano smontato tutto? Mi avvicino al centro della piazza e mi guardo attorno, proprio della statua non c’è traccia . Chiamo il parcheggiatore che conosco di vista e gli chiedo:

- Che fine ha fatto la statua?

- La statua?

- Sì quella equestre che era qui nel mezzo.

- Nel mezzo c’è un’aiola, anzi se la levassero ci starebbero più macchine.

- Ma c’era una grandissima statua in bronzo con tanto di piedistallo di marmo.

- Mai vista

- Sei sicuro?

- Che dici! Sto qui otto ore il giorno da anni.

Mi accorgo che si sono avvicinati alcuni pensionati, di quelli che stazionano sempre sulle panchine di pietra ai lati della piazza, e mi stanno guardando scotendo la testa. Sono perplesso ed incredulo, vado al bar di fronte, ci sono fuori le colonnine con le cartoline illustrate per i turisti. Le guardo, quelle della piazza non mostrano la statua, ma l’aiola. Il gruppetto dei pensionati mi sta ancora osservando, sono ancora in mezzo alla piazza e parlano tra loro. Entro nel bar e mi rivolgo al cassiere.

- Avete mica delle cartoline della piazza con la statua?

- Quale piazza?

- Questa, piazza grande.

- Con la statua?

- C’era una statua equestre, no?

- Non me la ricordo, c’è sempre stato quello schifo d’aiola.Non so perché non la levano, così c’entrerebbe qualche auto in più.

- Ma una volta non c’era una statua?

- Mai sentito dire, e neppure nelle vecchie foto c’è.

I pensionati intanto, ed anche il posteggiatore stanno entrando nel bar e continuano ad osservarmi. Imbarazzato e sempre più confuso esco e riprendo la mia passeggiata lungo il corso principale guardando distrattamente le vetrine. Mi saluta un vecchio amico e di colpo mi ricordo che quando s’era ragazzi una volta colorammo la statua con vernice rossa, non mi viene in mente il perché, ma c’era un motivo di protesta politica: e lui era nel gruppo degli imbrattatori, con me.

- Ciao.

- Chi si rivede!

- Volevo chiederti una cosa.

- Dimmi.

- Ti ricordi di quando colorammo in rosso la statua equestre di piazza grande?

- Di piazza grande? No era quella in piazza della stazione, quella di Garibaldi.

- No! quella equestre!

- Ma in piazza grande non ci sono statue, c’è quello schifo d’aiola.

- Ah già.

Proseguo rassegnato la mia passeggiata, anche perché con la coda dell’occhio mi è sembrato veder arrivare i pensionati, che sono aumentati di numero ed il posteggiatore, ed anche sono sicuro che nessuno si ricorda più della statua equestre, eppure fino ad ieri era al suo solito posto. Torno in casa e quando imbuco il portone dietro di me c’è l’amico col quale parlavo, il posteggiatore, il cassiere del bar con due camerieri ed un po’ più lontano i pensionati, e tutti mi stanno guardando. Faccio un cenno di saluto con il braccio ed entro. In casa mi siedo davanti al foglio con la biro in mano e mi dico, facciamo un’ultima esperienza e poi si batte la tesina per l’università sulle esperienze di scrittura automatica. Chiudo gli occhi e mi concentro sulla stanza buia cacciando ogni pensiero che si affaccia alla mente: trasformo in bianche palline da ping pong legioni di piazze grandi, statue equestri, amici, parcheggiatori, cassieri, baristi e pensionati, e le scaglio fuori dal mio set. Quando riapro gli occhi non so quanto tempo sia passato, ma fuori comincia a farsi scuro. Guardo il foglio e leggo lo scritto redatto in una calligrafia tondeggiante di tipo femminile che non è certo la mia, leggo.

"Dalla negazione del soggetto creatore alla traslazione dell’io poetante (terziarietà dell’io); attribuzione della voce ad un io inconsapevole ma fortemente identitario. Estendere l’abito delle connotazioni – il raggio del cerchio del senso - oltre il testo poetico propriamente detto".

Sono perplesso e mi chiedo se tutto ciò abbia un senso, anzi se abbia un senso tutto ciò che mi è capitato in queste ultime ore, scuoto la testa e telefono ad una mia amica. Stasera cenerò in pizzeria con lei.