PERCORRI IL SERPENTE

 

 

percorri il serpente, percorri il serpente

fino al lago, l’antico lago, ragazzo

scenari magici dentro la miniera d’oro

percorri la strada per occidente, ragazzo

il serpente è lungo sette miglia

percorri il serpente…è vecchio, e la sua

pelle è fredda

 

Per chi non lo sapesse la valle del Wesak si trova nell’Himalaya in una zona impervia fra la catena del Karakorum e quella del Kun Lun, alle pendici del monte Kailash. In questa valle si celebra annualmente il rituale della festa del Wesak e molte migliaia di persone si mettono in cammino per parteciparvi. È una valle chiusa a nord-est da una grande roccia bianca venata da un minerale luccicante. Un grande masso squadrato dell’identico minerale largo quattro metri per due, utilizzato come altare, ne delimita l’imboccatura. Questa è la valle del Wesak, un luogo nel quale non si giunge mai per caso, nel mese di wesak, nella notte del plenilunio migliaia di pellegrini s’incamminano: sono guide spirituali, discepoli e maestri d’ogni ordine e grado appartenenti alle più svariate correnti religiose, filosofiche ed esoteriche. Sono lama, bonzi, guru, sadhi, uomini santi. Raggiunto il luogo si collocano nella posizione che è consona al loro grado. Ciascuno conosce esattamente qual è il suo posto, senza prevaricazioni e discussioni. Pur appartenendo a gruppi etnici radicalmente diversi, a religioni differenti, tutti i partecipanti sono ben consci dell’importanza della funzione unificata dalla conoscenza, poiché la radice della conoscenza è unica. Non esistono né barriere né pregiudizi: quando il momento del plenilunio s’avvicina, sull’altare di pietra viene posata una grande coppa di cristallo piena d’acqua. I convenuti cantano e meditano nell’attesa del grande evento che sta per verificarsi.

Monia tutto questo non lo sapeva, la sua occupazione era d’accogliere i clienti nel suo piccolo appartamento e di soddisfarli il più velocemente possibile per cinquanta euro, prezzo fisso e non trattabile. Stava dunque intrattenendo un cliente ed era sopra di lui col membro entro di lei, quando sentì impellente l’impulso del viaggio e solo allora s’accorse che il cliente era un maestro di sogni. Lo fece godere con un paio di su e giù decisi e cercando di non mettergli fretta, ma decisa, riuscì velocemente a toglierlo dall’appartamento. Lei era ora sola, nuda e si guardò attorno: vide la sua camera come se fosse qui giunta per la prima volta. Cuscini ovunque, tappeti, tutto nella semioscurità, in un angolo una piccola catasta di cellulari, alcuni in rete, mobili da grande magazzino, cianfrusaglie d’ogni tipo, abiti griffati ma acquistati al mercatino sotto casa. Dopo una veloce doccia si rivestì in fretta, chiese un modulo di trasporto e dopo poco era già all’aeroporto. S’infilò nell’aereo mentre alcune e-mail volanti sicuramente di clienti, tentavano di raggiungerla, si spinse fino al suo posto assegnato e si collegò ad un programma sistim scelto a caso. Passò successivamente ad un canale d’informazione religiosa ed esplorò i nuovi monasteri zen che stavano sorgendo un po’ dovunque, con le loro sale di meditazione nelle quali era sempre presente l’ologramma di Santa Klaus pronto a distribuire i suoi regali. Quando l’aereo atterrò all’aeroporto lei era attesa da due bonzi con le tuniche arancione che la fecero salire su una piattaforma anti-g che partì spedita verso le montagne. Monia non si rese conto del tempo che stava passando ma quasi in un attimo si trovò nella valle, che era colma di uomini e donne vestiti nelle più svariate fogge. Alcuni erano addirittura nudi malgrado la temperatura non fosse delle più miti. Si meravigliò di questo e solo allora s’accorse d’essere nuda pure lei e di non provare alcuna sensazione di freddo. In un angolo della valle sul bordo di un lago antico attorno ad un alto falò sciamani navajo con le loro tradizionali vesti stavano danzando al ritmo di musiche antiche attorno al fuoco accompagnati da alcuni giovani nudi. La meraviglia ebbe solo lo spazio d’un attimo, poi si ritrovò a camminare a piedi scalzi sulla ghiaia diretta verso l’altro lato della valle. Tutti si facevano da parte al suo passaggio. Cercò di comprendere in un ultimo stadio di razionalità, se fosse giorno o notte, ma non riuscì a capirlo, tutto sfolgorava di luce, anche lei stessa, ma le stelle erano visibili nel cielo a milioni. Si trovò davanti ad un’ara di pietra sulla quale era posato un calice colmo d’acqua purissima; mentre l’acqua era chiaramente d’una limpidezza assoluta, il calice appariva indistinto ai sensi sembrando ora un manufatto cesellato in oro e pietre preziose, ora un semplice calice in pietra o legno. Lo afferrò con le due mani e cadde in estasi. Mentre il suo corpo riempiva il calice e faceva bere i presenti, lei era sprofondata in una immensità di benessere e di luce.

Solo molte ore dopo si ritrovò in una stanza di un albergo alla periferia del mondo, accanto a lei un uomo stava russando. Monia non riusciva a mettere a fuoco gli ultimi avvenimenti e fu stupita di ritrovarsi chissà dove. C’erano in terra dei vestiti femminili di foggia indiana e lei li indossò ed uscì all’aperto. La strada era identica a tutte quelle delle periferie metropolitane del pianeta, il pomeriggio era inoltrato.Col comunicatore che aveva incorporato in protesi chiamò un aerotaxi ed attese. Non giunse alcun modulo. Chiese dell’aeroporto ad alcuni passanti vestiti all’occidentale, ma nessuno si degnò di risponderle. Giunse in una piazza nella quale c’era un parcheggio. Alcune auto sembravano veri e propri rottami, vecchie di decenni. Solo un furgone Sendai le sembrò in buone condizioni, dallo zaino (aveva con sé uno zaino? eppure fin’ora non se ne era accorta) tirò fuori un passepartout con una porta ad infrarossi capace di neutralizzare ogni antifurto. Le portiere del Sendai s’aprirono, lei entrò ed ordinò "Aeroporto!" il modulo partì veloce. All’aeroporto acquistò un biglietto per il ritorno, prosciugando il proprio conto tramite il bancomat con lettura retinale, attese la partenza davanti ad alcune tazze di caffè. Seduta al tavolo del bar dell’aeroporto con davanti un caffè fumante, immersa nei suoi pensieri, alzò gli occhi, si sentì osservata e vide seduto davanti a lei il maestro dei sogni.

- Maestro…

- Bentornata Monia.

- Cosa fa lei qui?

- Ti sei guardata attorno?

- Mi trovo da lei, nel suo studio, ma non eravamo in un aeroporto indiano?

- Sì, e stavi appunto rientrando dal sogno.

- Adesso ricordo, ero a Wesak!

- Ed eri pure il maestro dei maestri, il cerimoniere: anch’io ho bevuto l’acqua della purezza dal calice che mi hai offerto.

- Maestro, cosa diavolo mi è successo?

- Talvolta la realtà si frantuma, il tempo s’incasina, la prostituta diviene dio e Santa Klaus distribuisce i doni ai bambini.

- Mi sento confusa.

- Ti riprenderai, togliti quest’abito indiano e fai con me il tuo lavoro.

- Con lei maestro? Ma non l’abbiamo fatto da poco in camera mia?

- Da poco? Ne è passato di tempo, ma talvolta s’incasina, te l’ho già detto.

- Maestro lei ne ha sempre voglia.

- Perché? Dovrei forse essere insensibile alla carne? Ti ordino di spogliarti, guarda sono già nudo.

- Obbedisco maestro, e sarà gratis questa volta.

- Finalmente si regala qualcosa, ma ricorda, era gratis anche il viaggio nel quale ti ho accompagnato.

- Forse è un equo baratto? Ma maestro, adesso siamo nella mia casa, nella mia camera.

- E’ da tre giorni che non ci muoviamo da qui, forse è il momento d’uscire, di andare in un oricalco-bar ed ordinare una serie di strisce di neo-coca.

- Sempre ai suoi voleri maestro.

- Ma prima fammi godere, ed in fretta. Finisci il tuo lavoro.

 

l’occidente è meglio

l’occidente è meglio

vieni qui, e noi faremo il resto

l’autobus triste ci sta chiamando

percorri il serpente, percorri il serpente

fino al lago, l’antico lago ragazzo

il serpente è lungo sette miglia

percorri il serpente…è vecchio, e la sua

pelle è fredda

conducente, dove ci hai portato?