- vittorio baccelli - i racconti -
questo racconto apparso per la prima volta su l'antologia "l'eco del secolo" dell'OLFA di ferrara che raccoglie i selezionati al premio "janus pannonius"- fa parte della raccolta "mainframe" e riprende e modifica "il derviscio"-
ROTEANDO, ROTEANDO
L’importante non è di avere tante
idee, ma di viverne una.
(U. Bernasconi)
Che
può sapere il Secco dell’umido tarlalalà nostro?
Specchio
son io, specchio son io; niente parole, niente parole,
potrai
vedere l’estasi mia, se si fa occhio l’orecchio tuo!
Agito a danza le mani
come albero, turbino in tondo come la luna
il
mio rotare colore di terra è più puro dei cerchi del cielo
O iniziato che parli! […]
Il sama è fatto per l’unione
all’Amato!
Coloro che han sempre il viso volto alla Quibla
per loro il sama è questo mondo e quell’altro,
e quelli poi che danzano nel cerchio del sama
girano rapidi e hanno in mezzo la Ka’ba.
(Gialadad-DinRumi)
Il derviscio roteante aveva iniziato il suo ballo da
bambino, nella sua città c’era una moschea ove i maestri insegnavano
quest’arte che era soprattutto una mistica preghiera.
I dervisci roteanti appartengono alla tradizione sufi
e con la loro danza, indicano ai fedeli come accostarsi alla divinità.
Le lezioni di musica e di danza si alternavano allo
studio profondo dell’islam filtrato attraverso una conoscenza sufi con un
forte sottofondo zoroastriano.
Roteando con la mano sinistra abbassata verso la
terra e con la destra rivolta al cielo, la danza inizia con la preghiera e
diviene sempre più estatica, nelle continue rotazioni che spingono i ballerini
alla trance mentre rappresentano il movimento dei pianeti intorno al sole.
Il derviscio aveva compiuto un’intensa
preparazione, che prevedeva dolorose penitenze e preghiere per caricarsi di
infiniti significati simbolici che si manifestavano anche nella perfezione
dell’abbigliamento, dove il lungo vestito bianco simboleggia il sudario, il
mantello nero la tomba, la sciarpa sulla testa indica il ruolo di mediatore tra
il divino e l’umano.
La musica scaturisce da numerosi flauti ney, il
flauto obliquo con canna a sette fori, strumento dalle forti caratterizzazioni
simboliche, incontro tra il soffio divino e la materia umana.
A quindici anni il derviscio già si esibiva
pubblicamente con altri danzatori più anziani di lui.
Coltivava anche un’altra passione, la pittura.
La sua pittura era astratta, si potrebbe definire
informale con forti assonanze zen ed i quadri erano molto apprezzati anche fuori
del suo paese.
Mentre in estasi roteava si rese conto che il suo
punto di consapevolezza lentamente si spostava ed in quel momento il derviscio
scivolava verso differenti realtà.
Quando riuscì a controllare con sicurezza lo
spostamento, il derviscio decise d’abbandonare i compagni e si trasferì nella
campagna londinese.
Aveva acquistato una casa colonica che trasformò in
uno studio di pittura, una grande stanza fu invece arredata solo per la sua
danza, con tappeti sul pavimento, arazzi e specchi alle pareti ed un imponente
impianto stereo in un angolo.
La vendita dei suoi quadri, affidata ad un gallerista
di grido londinese, stava andando a gonfie vele ed il derviscio sempre più
affinava la sua danza che sapeva essere un atto mistico, mentre le
configurazioni roteanti si facevano di giorno in giorno sempre più complesse.
I flauti ney suonavano per ore ed ore e lui roteava,
roteava al loro ritmo in ellissi che si intersecavano tra loro con funzioni
sempre più mistiche e non comprensibili al profano.
La rotazione spingeva la mente a nuove forme di
preghiera mentre il suo punto di consapevolezza lentamente scivolava, non più
incontrollabile, ma controllato e fluttuava verso le più varie profondità, e
sempre con maggior esattezza riusciva a scegliere i punti che lo trasportavano
nelle dimensioni da lui volute. Dimensioni non tutte gradevoli, una addirittura
risultava terrificante, il panorama sempre mutevole era dominato da un’immensa
torre nera che emanava sensazioni di un disagio inesprimibile.
Altre invece erano irradiate da una gioia profonda:
una in particolare l’attraeva prepotentemente, il suo roteare lo trasportava
su un verde morbido prato colmo di fiori, in questo luogo si scorgevano boschi
lontani, l’aria profumava d’incenso, il caldo sole diffondeva una soffice
luce dorata.
Spesso sul prato bambini giocavano e tutto trasudava
pace e serenità.
Un giorno mentre nella sua stanza roteava davanti a
due suoi amici pittori che se ne stavano seduti su cuscini in un angolo, il
derviscio spostò, al culmine della danza, il punto di consapevolezza verso il
prato ed il mondo da cui tanto si sentiva attratto.
Gli amici esterrefatti lo videro dapprima farsi
trasparente, poi pian piano svanire mentre seguitava a roteare, a roteare sempre
più velocemente in totale sincronia con le mistiche sonorità della danza sufi
titolata “Ruota dell’estasi”.
Il derviscio si trovò sul prato che tanto amava, fu
subito circondato da bambini che lo incitavano a continuare a danzare.
E lui riprese a roteare, a roteare mentre nell’aria
si levavano le melodie dei flauti che lo guidavano nella danza.