- vittorio
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altri deliri -
UNA
SCULTURA DI GRAN PREGIO
La donna al piano sbuffò, aveva dei dipinti da finire e odiava comporre quelle
inutili scale. La musica rallegra gli animi tonti degli ascoltatori, ma lei
aveva ben altri desideri e voleva scappare. I suoi fiori l'attendevano insieme
ai pennelli e alla creazione. Lei amava la solitudine del suo amore per l'arte.
E di fatto viveva in una casa spersa, senza compagni, al centro di un gran campo
coltivato e fiorente d’anno in anno.
Sennonché successe che tutte le forme e i colori e gli odori possibili infine
si ripeterono e mai più la scossero. La noia aveva vinto sul sublime. E la
donna si sentì tradita, fuggita, disillusa. Abbandonò i quadri che doveva
completare e coprì con stracci quelli cui più teneva. E decise che mai più
avrebbe amato, e pregò anzi che ogni residuo di purezza morisse in lei.
Nel timore di se stessa, nella noia, nella sua arte rarefatta, la donna si nutrì
di bruttura. Strappò ogni petalo dei suoi fiori amati, fece sua la bellezza non
più con la creazione ma con la violenza, e si disse saggia e molto giusta. Ogni
momento, interi ricordi svanirono in lei. E allo stesso modo il suo animo
s’intorpidì.
Così passarono le stagioni, e il campo fu stranamente spoglio. Le macchie
variopinte che l'avevano sempre vestito di graziose fantasie erano svanite, e al
posto loro era la terra nuda e molle. Venti aridi portarono polvere, spaccature
nel cielo preannunciarono temporali, e non c'era da stupirsi che la donna fosse
afflitta e pentita, ma ad un tratto, senza alcun preavviso, si riscosse e fu
come se un’intera dose d’adrenalina fosse stata iniettata nelle sue vene.
Balzò in piedi con irruenza e si diresse
veloce verso la finestra della sua camera. Con forza la spalancò lasciando che
le ante sbattessero pure violentemente. Si sporse dalla finestra e fissò a
lungo il fiume che lontano scorreva in fondo al pianoro. Lo fissò a lungo. Poi
uscì dalla casa e si diresse verso le acque che la stavano con insistenza
chiamando, si fermò sopra uno scoglio e si sedette, come aveva fatto moltissime
altre volte, tanti anni prima, quando la voce del fiume le ispirava le opere.
La donna attese che lo sciabordio delle
acque le sussurrasse di nuovo, ed udì ancora una volta la voce del fiume, ma
era diversa da come la ricordava, radicalmente diversa. Il fiume stava parlando
alla “donna del fiume”, ma non a lei, n’era sicura. E sentì una voce
rispondere, adesso erano due richiami che si sovrapponevano intrecciandosi anche
allo sciabordio delle acque, come un canto a più voci. Lei fu presa dalla
polifonia, sempre più penetrante e piacevole nello stesso tempo e solo molte
ore dopo riuscì a comprendere il canto.
Si recò allora nuovamente in casa, scese
in quello che un tempo era stato il suo studio e tolse gli stracci polverosi coi
quali aveva coperto le sue opere. Gettò gli stracci nel caminetto, ci versò
sopra dell’alcool e li incendiò. Ripulì per bene ed appese le tele, anche
quelle incompiute, alle pareti e sui cavalletti. La sua arte, non più celata,
ora inebriava la stanza e si sentiva nuovamente circondata ed in sintonia con
quelle linee-forza che dalle sue opere si sprigionavano ed a lei tornavano in un
feed-beck creativo e senza fine che lei pensava ormai d’aver per sempre
dimenticato.
Solo una piccola scultura incompiuta era
rimasta sul pavimento ricoperta da un polveroso straccio. La scoprì e la posò
sul tavolo: un cilindro d’ottone in parte ossidato, dal quale fuoriusciva dal
lato ricurvo un minuscolo busto umano con le braccia levate al cielo. La
scultura era piccola, alta solo una quindicina di centimetri: la fissò a lungo
ed attraverso i suoi occhi seppe che veniva osservata con interesse anche dal
“fiume” e dalla “donna del fiume”. Si mise le mani in tasca e sentì il
contatto con tre piccole pietre che automaticamente aveva raccolto poco prima
sulla riva del fiume. Le posò sul tavolo accanto al cilindro, poi da un
sacchetto posato su una mensola, trasse un vecchio biochip, la cui piastra era
ossidata da tempo.
Attivò il cannello del fusore molecolare
ed inserì l’oggetto all’interno della scultura facendo sì che le
rispettive molecole s’integrassero vicendevolmente. I tre sassolini furono
integrati all’interno del corpo metallico solo parzialmente, infatti alcune
parti di essi affioravano dalla compattezza della scultura. Col fusore trattò a
lungo le molecole dell’oggetto ed a lavoro finito la scultura, anche
all’esterno, aveva cambiato radicalmente aspetto ed oltre metà di essa
appariva cristallizzata. Il piccolo busto umano che usciva dal cilindro adesso
era quasi del tutto scomparso, solo la testa era visibile, ma riflessa
all’interno dei cristalli.
La donna terminò l’opera, salì in
cucina e si cibò, non sapeva quanto tempo fosse passato dal suo risveglio, ma
cedette alla profonda stanchezza che la stava assalendo.
Dormì a lungo, in posizione fetale su un
tappeto del salotto, poi si recò in bagno e dopo una doccia ed una risistemata
generale, scese nuda nello studio, afferrò la scultura (?) risalì le scale
questa volta fino alla sua camera e la posò sul suo letto. Si distese pure lei
accanto all’oggetto e cadde in trance. Non era stata colta nuovamente dal
sonno, ma da qualcosa di simile, e giacque accanto all’oggetto a lungo, molto
a lungo.
Quando tornò in stato di veglia corse
nuovamente alla finestra, ed il panorama che vide era profondamente mutato, i
campi erano tornati verdi e puntellati di fiori variopinti, ma oltre il fiume
scorreva la striscia scura di una strada sulla quale scivolavano veloci mezzi
colorati, forse metallici. Dalla strada un fastidioso ronzio arrivava fino a lei
che tranquilla stava osservando, poi iniziò a vestirsi. Le due voci che si
erano insinuate in lei l’avvertivano, la stavano seguendo e la consigliavano.
Si rese conto, sempre più nitidamente che anche la scultura che lei aveva
realizzato faceva da tramite.
Si era lasciata per troppo tempo travolgere
dal fato, ma ora la stasi era cessata ed una nuova vita la stava aspettando.
Trascorsero molti anni dal giorno del suo
recupero ed adesso lei abitava in una città assai lontana dalla casa vicino al
fiume: risiedeva in un cuballoggio munito d’ogni confort di proprietà del
grande magazzino ove lei lavorava. Della sua passata esistenza aveva conservato
solo la scultura, che faceva bella mostra di sé su una mensola in alto nella
sua abitazione. La sua vecchia casa più non c’era, aveva tentato di
rintracciarla, ma al suo posto c’era solo una sequenza di campi incolti. Era
stata sbalzata in una società tecnologica che non era la sua, ma ci si trovava
molto bene, la lingua era diversa, ma non troppo, e lei fingendosi straniera (ma
in realtà lo era) s’era pian piano inserita e quasi aveva dimenticato le sue
origini ed anche le voci.
Un doppio lavoro le fece salire scalini in
quella società: aveva infatti ripreso a dipingere e le sue opere venivano
acquistate a prezzi sempre più alti. Ed un collezionista un giorno vide la sua
scultura e le offrì una di quelle cifre che è impossibile rifiutare.
Le fu accreditata tutta quella grana e
mentre la sua banca provvedeva agli investimenti, lei si era trasferita in una
villetta alla periferia dell’agglomerato ove aveva il cuballoggio. Pienamente
soddisfatta stava lavorando nel suo nuovo studio ad un’innovativa opera, la
scultura olografica di una bellissima donna nuda che con le sue movenze, ma
anche con le irradiazioni che emanava, sarebbe riuscita ad eccitare chiunque.
Era immersa nel lavoro quando sentì
intorpidirsi le sue membra, si era come bloccata, non riusciva più a muoversi.
La luce era improvvisamente divenuta opalescente e davanti a lei vedeva solo
spesse lenti che rifrangevano linee distorte, senza senso. La luce giungeva a
lei colorata e filtrata dai cristalli: mutava lentamente ma costantemente
intensità e colorazione.
I suoi movimenti erano estremamente
rallentati, non era bloccata, come aveva all’inizio creduto, ma
lentissimamente poteva eseguire piccoli spostamenti, anche con gli occhi. Solo
dopo tantissimo tempo, la donna si rese conto d’essere intrappolata
all’interno della sua scultura, in quella che con troppa leggerezza ed avidità
aveva venduto al ricco collezionista.
La scultrice che era misteriosamente
scomparsa anche da quel mondo, dopo una breve serie d’infruttuose indagini, fu
completamente dimenticata, ma le sue opere, tra le quali la famosa scultura,
furono sistemate in una sala della severa galleria civica cittadina.