- vittorio baccelli - i racconti -
- pubblicato per la prima
volta su "storie di fine millennio"-
Ormai ci sono tutti abituati e nessuno mi dice più niente.
Sono un ragazzo normalissimo di ventidue anni, simpatico, brillante, a scuola sono sempre andato molto bene.
La mia diversità si manifesta solo quando in estate scoppiano quei quindici giorni di caldo infernale, allora io mi cheto, non parlo più, sto in silenzio. Poi prendo lo zaino, il sacco a pelo, inforco la moto e via ... Dopo una quindicina di giorni rientro a casa e normalmente riprendo a parlare. Sono stato in Grecia, in Sardegna, all’Isola d’Elba. Ormai non si preoccupa più nessuno, né i miei genitori, né la mia ragazza, quando inizia il gran caldo ed il mio silenzio tutti sanno che sto per partire. Sento un bisogno mistico, devo compiere il rito e mi preparo per la partenza. Ho preparato l’occorrente, salgo in moto, quest’anno l’Argentario mi sta aspettando.
Mentre il caldo si fa più torrido sto percorrendo il lungomare dopo Livorno ed il paesaggio familiare scorre veloce.
Arrivo a Porto Ercole che è sera, prendo la strada che porta su verso il bosco. Mi fermo in un luogo alto ed appartato, srotolo il sacco a pelo, mi spoglio e mi ci infilo dentro.
Un pungente profumo di erbe aromatiche si diffonde per l’aria tersa. Poi sto ore a guardare il cielo stellato, così vivido, così imponente.
Mi addormento assaporando già il rito che eseguirò all’alba.
Mi sveglio che è già mattino inoltrato, dal thermos mi verso un caffè caldo ed amaro. Sorseggiandolo inizio a meditare sul sole che molte delle religioni del passato hanno considerato sacro, poi la mia meditazione si sposta sul fuoco mentre inizio a passeggiare nella selva. Il fuoco come fonte di vita, il fuoco purificatore. Anche gli aztechi avevano il simbolo dell’ “acqua bruciante” ad indicare la fonte della vita.
Così come le nostre cellule bruciano l’ossigeno per darci l’energia, il soffio vitale. Fuoco e sole, due aspetti della divinità creatrice. E’ dalle ceneri che l’Araba Fenice risorse nella sua possente maestà. E’ dalle ceneri che la natura purificata trae il concime per nuovamente risplendere.
Guardo il volo degli uccelli ed aspiro con voluttà l’aria aromatica e salmastra. Proseguo per il sentiero che ho imboccato e rivedo in lontananza il mare, il nostro mare anch’esso fonte primordiale di vita.
La natura mi avvolge in tutto il suo splendore e sento in me il desiderio del rito farsi sempre più forte.
Sto pregando, invoco gli dei semplici della natura che l’umanità ormai ha dimenticato e piango, piango sommerso dalla compassione per tutto ciò che vive, per tutto ciò che soffre, per tutto ciò che è legato all’eterno dolore del ciclo nascita e morte, per la sofferenza degli uomini dinanzi all’impermanenza ed al mistero semplice della morte.
E mentre medito, prego e piango, estraggo dalla tasca dei pantaloni l’accendino bic usa e getta comprato da un marocchino sorridente e l’accendo. Avvicino la piccola fiammella ad un secco cespuglio che arde sfrigolando. Il fuoco è vita, nasce, si riproduce, si ciba, lascia scorie e muore.
Sulla mia destra c’è una catasta di legna secca, il mio bic s’accende di nuovo ed una nuova pira s’innalza.