VITTORIO BACCELLI - C.P.132 - 55100 LUCCA - ITALIA

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-  STORIE DI FINE MILLENNIO - L.10.000  E' uscito in seconda edizione  per la Prospettiva editrice nella  collana I RIDOTTI. In questo volume sono raccolti trenta miei racconti. Potete richiederli in libreria,o al mio indirizzo, o scaricarli gratis dal mio sito (baccelli1) oppure ordinarlo a:

                                                     http://www.prospektiva.it/carrello.htm

-  45 LEZIONI SUL VUOTO  - Fresco di stampa per la MONTEDIT. L.10.000

-   MAINFRAME - Disponibile al mio indirizzo su floppy L.5.000 - e  di prossima uscita per Prospettiva Editrice.

- LA ROSA GIALLA -  di prossima pubblicazione, non so ancora con chi.

-   MILLENNIUM - il progetto è terminato: ha visto la partecipazione di 500 autori di 50 nazioni, sono state allestite oltre 50 piccole mostre. Potete richiedermi la documentazione.

-   LUTHER BLISSETT EXPERIENCE - Questo progetto è ancora in corso. Potete inviarmi i vostri lavori.

-   VITTORIO BACCELLI MAGAZINE - Ho cessato gli invii al novembre 2000. Se ne riparla tra qualche mese (o anno?)

-  ORICALCO CLUB - Caffè letterario - a novembre è uscito un numero sperimentale, finirà anche sul web? per ora è solo su carta, non richiedetemelo, è esaurito, ed al momento non ho voglia di farne uscire un nuovo numero.

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letture:

BARDO THODOL

Il movimento libero, significa che il tuo corpo attuale è un corpo di desiderio poiché il tuo intelletto è stato separato dal suo sostegno, e non un corpo di materia volgare; per modo che tu hai ora la possibilità di passare attraverso complessi rocciosi, colline, pietre, terre case; attraverso il monte Meru stesso, senza essere ostacolato.

 

Con la traduzione dal titolo deviante "Libro tibetano dei morti" questa grande opera scritta nell’VIII o nel IX secolo dal grande maestro Padma Sambhava per i buddisti indiani e tibetani, ha visto da noi numerose traduzioni ed edizioni.

Occorre innanzi tutto sfatare una leggenda che erroneamente si è creata attorno a questo libro, che sia cioè per i morti, una specie d’itinerario per l’aldilà, fatto apposta per chi è già defunto.

Niente è più errato: il Bardo Thodol è un rituale iniziatico, già Plutarco ci ricordava che l’anima, al momento del trapasso, ha le stesse esperienze di colui che viene iniziato ai grandi misteri.

Non dobbiamo però cadere nell’errore di ritenere l’iniziazione orientale un rituale d’alta magia cerimoniale, com’è in uso nelle società iniziatiche occidentali.

Quello orientale è un percorso interiore, un viaggio all’interno dell’uomo.

Ci troviamo di fronte alla morte mistica, cioè alla massima esperienza iniziatica che all’uomo è dato di accedere.

Dunque non stiamo parlando di un testo funebre: bardo in tibetano significa "stato intermedio dopo la morte", thodol "liberazione attraverso l’ascolto", possiamo quindi definirlo come un manuale per ottenere la liberazione dalla catena delle rinascite.

Scopo del libro è quello di preparare il morente al superamento delle prove che si presentano durante il "bardo".

L’analisi e lo studio sistematico del processo umano di morte, rappresenta una prudente, ma corretta preparazione all’inevitabile: non v’è uomo che non sia destinato a morire.

Non è pratico da parte nostra, evitare d’analizzare questi temi con la massima attenzione e non elaborare metodi per occuparsi della morte e del morire con competenza, compassione ed umanità (Dalai Lama).

Riflettere sul mistero semplice della morte (Pasciuti) non è un fatto morboso, ma anzi liberatorio dalle paure, e perfino benefico per la salute di chi vive.

Questo testo oltre ad esser d’indubbio spessore letterario, costituisce il miglior correttivo alla tendenza della civiltà contemporanea di rimuovere l’esistenza stessa della morte.

L’arte del morire è altrettanto importante dell’arte del vivere.

L’ultima edizione di questo libro per conto dell’editore Neri Pozza del 98, si apre con una interessante prefazione del Dalai Lama e possiede una presentazione che risulta più consona ad un lettore occidentale; ritengo comunque l’edizione Atanor (del 74 e successive) la più fedele allo spirito originale dell’opera, sia nella traduzione che nei commenti.

 

 

letture:

 

 

L’immacolata concezione

 

 

Non mancare di dire al revolver: Molto piacere ma mi sembra di averla già incontrata da qualche parte.

 

Scritto da André Breton e Paul Eluard, "L’immacolata concezione" è stato definito da numerosi critici un classico del surrealismo e della poesia rivoluzionaria, il manifesto della rivolta assoluta.

Questo classico della nostra letteratura europea ha seguito però il fatale destino dei capolavori proibiti, vale a dire di essere conosciuto da tutti ma di non esser stato letto integralmente da nessuno (o quasi).

Uscito nel ’30 a Parigi per i tipi di un piccolo libraio editore (Librairie José Corti), scritto a quattro mani da due poeti d’eccezionale statura stilistica e rivoluzionaria, Breton ed Eluard, questo libro canta la rivolta assoluta contro ogni morale, ogni costrizione, ogni mortifero bisogno d’ordine.

Una proliferazione verbale che stimola la più genuina fantasia esaltando la poesia pura ed i valori umani dell’erotismo, dell’eccesso, della devianza, della deriva, dell’imprevisto, del desiderio di vivere contro ogni imperativo codificato che destina le sue vittime all’avvilente sopravvivenza.

In questo momento in cui i valori delle avanguardie cosiddette storiche sono assimilati alla paccottiglia della civiltà globale dello spettacolo, è bene rimeditare criticamente questa irripetibile avventura della sovversione creativa che ha osato sognare l’impossibile.

Il testo presente in italiano, ma frammentato, in varie antologie sul surrealismo, è ancora reperibile in forma integrale per i tipi dell’Arcana Editrice, nell’edizione del 1979.

Questa pubblicazione economica è presente nelle maggiori biblioteche, e con un po’ di fortuna può essere recuperata nelle librerie specializzate.

 

 

 

letture:

 

DR. ADDER

 

 

Era caduto nelle mani di una specie di scienziato pazzo che estraeva grosse lucertole insanguinate dal cervello della gente per poi tagliarla a pezzi finché non assomigliava a loro. Un chirurgo che estirpava i tumori e buttava via il resto del corpo sano perché non serviva.

 

Il Dr. Adder è lo sconvolgente e controverso romanzo scritto da Kevin Wayne Jeter nel ’72; l’opera è ambientata in una Los Angeles futura, degradata, patria di freak e prostitute, di venditori di droghe e sicari, che rimanda per moltissimi aspetti alla metropoli prossima ricreata da Ridley Scott in Blade Runner.

Jeter è sempre stato un grande appassionato delle opere di Philip Dick, sul quale ha scritto numerosi interventi, fin dai sui tempi di scuola, mostrando altresì personali tendenze iconoclaste sfociate poi nella stesura finale del Dr. Adder.

Il libro comunque, non trova negli anni ’70 alcun editore disposto a pubblicarlo, si guadagna in compenso, all’interno dei circoli letterari americani una certa reputazione, ma come testo maledetto.

La ricerca del punto di fusione del reale, il momento in cui la materia sublima in quella informe e malleabile dell’immagine, è la prima e la più stupefacente delle ossessioni di Jeter: il rimando agli orologi molli di Dalì è d’obbligo.

Il Dr. Adder si muove attraverso le ambivalenze di una megalopoli – o meglio d’un assieme d’urbanizzazioni che ambiscono a riconoscersi nel nome d’una città - che per divenire allegoria d’una civiltà decadente non ha bisogno d’altro che d’essere raccontata.

L’interfaccia che domina queste pagine, non è quella del cyberpunk, tra uomo e macchina, ma una sorta di zona franca che evidenzia l’esistenza d’un attrito tra i desideri e la loro ammissibilità sociale.

L’interfaccia è un argine che s’innerva coi suoi vicoli rizomatici nel corpo di due entità contrapposte, la Los Angeles futura e le campagne abitate dall’autentica borghesia americana; qui si svela l’ipocrisia d’entrambe le entità sociali ed i desideri più imbarazzanti si realizzano nel territorio negato d’una strada, di un qualcosa che non esiste se non come luogo di passaggio, di fuga e quindi privo di tradizione e memoria.

Quello di Jeter è un attacco frontale al puritanesimo americano ed è radicalmente distante dalla letteratura ufficiale made in USA che convive perennemente coi suoi sensi di colpa.

L’assunto di base è che nelle nostre vite la realtà comunemente percepita passi attraverso un filtro di coerenza ed ammissibilità.

Se si perde questa descrizione strutturale, i filtri del sistema percettivo vanno in tilt, in questo mondo una verità sempre più vasta di realtà contigue fa irruzione nel nostro sistema neurale.

Tutto può accadere, tutto è vero.

La realtà coerente diviene indistinguibile da quelle percepite e perciò non più privilegiata e dà origine a fenomeni cancerogeni che traggono il loro momento iniziale dalla schizofrenia morale.

Il Dr. Adder è una grande opera che coraggiosamente anticipa e raccoglie la maggior parte delle tematiche controculturali che si svilupperanno nei decenni successivi.

La tematica del corpo, non più biologicamente e geneticamente assoluto, viene ribadita dalla funzione che il Dr.Adder svolge nell’interfaccia; la sua attività, dà forma ai desideri ed agli incubi, ormai coincidenti in un’unica pulsione libidinosa in ogni strato sociale.

Il corpo rimodellato grazie alla chirurgia, è dotato di nuovi attributi e rimesso in circolazione.

Mutilazioni, innesti protesici , tatuaggi, piercing, perforazioni, tutto diviene un’idea di corpo pronta ad assumere un’identità sociale non predeterminata.

Jeter restituisce prevalenza al potere generante del desiderio, facendolo apparire eversivo, poiché nasce da una insicurezza anche istituzionale che si contrappone all’ipocrisia delle convenzioni sociali e che ristabilisce nelle differenze, portate ai loro massimi estremi, nuovi termini per una dialettica sociale.

Nulla è più uguale a se stesso, nulla ha senso prevalente.

E’evidente l’influenza del surrealismo pittorico soprattutto nelle sequenze finali con la comparsa della bambola che nei progetti dei suoi costruttori dovrà essere sostitutiva delle prostitute mutilate e modificate.

Chiude il romanzo una postfazione di Philip Dick che aveva con estremo interesse letto il manoscritto già nel ’72.

Questo libro pubblicato in Italia solo nel ’95 per Fanucci Editore, sta conoscendo anche da noi un meritato, pur se tardivo, interesse.

Da segnalare inoltre la recente pubblicazione (gennaio 2000) sempre per i tipi della Fanucci, di "Noir" l’ultima fatica letteraria di Jeter

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racconti:

 

NERA CONCHIGLIA

 

E’ una perla nascosta in una conchiglia

Nera come l’ambra nera

Una perla per cui l’uomo si tuffa

E resta imprigionata negli abissi

(Ibn’Arabi)

 

- Via! Via! Tutti di corsa nel modulo, andiamo all’Iper, è il giorno di devozione obbligatoria, andiamo!

E’ d’obbligo, ma è anche una gioia, ci stipiamo tutti nel modulo familiare, quello che adopero quando tutta la tribù si sposta, cane da settanta chili compreso.

Sì, un meticcio: padre pastore maremmano e madre pastore dei Pirenei, ma nonostante le parentele, lui le pecore, le rare volte che l’ha incontrate, le ignora, come se non esistessero.

La stazza, quella sì che l’ha ereditata geneticamente: l’ho già detto siamo sui settanta chili.

Una belva di color nocciola chiaro, con sfumature rosa quando il sole lo centra.

Tutti di corsa dentro il modulo, dunque che a pieno carico schizza via con un sordo ronzio appena udibile nel fracasso dei passeggeri, dei file musicali scaricati a pieno volume…..

Sopra l’Iper il modulo si ferma, ondeggia incerto nella scelta del posto per l’atterraggio-parcheggio, poi punta decisamente e scende, noi schizziamo tutti fuori con l’unica eccezione del cagnone che all’interno rassegnato s’accuccia sui sedili, guarda fuori con lo sguardo mesto da cane bastonato, ma finalmente ha capito quando deve rimanere nel modulo e limitarsi a fare da antifurto.

I ragazzi intanto sono letteralmente balzati via dal piazzale e si sono messi in processione con altri loro coetanei pronti a salire sui tapis roulant che li porteranno all’interno nelle aree tatoo e tribali a loro destinate.

Stanno intanto salmodiando:

t’adoriam merce divina

t’adoriam merce d’amor

Salgo intanto lentamente dalla rampa principale d’accesso, quella degli uomini adulti, ho perso di vista la mia compagna, che dopo essersi devozionalmente coperta i capelli con un foulard di seta s’è sicuramente incolonnata con le altre donne maritate in attesa.

Entro e gironzolo nell’immenso Iper-santuario, lo ammiro nella sua architettura neo postmoderna d’ispirazione gotica, con il cemento armato che sapientemente s’intreccia ai marmi più preziosi.

Giro nel reparto schermi ed oggetti al plasma e sono circondato dai nuovi giochi olografici, quelli di gran moda, a definizione densa.

Una ballerina del ventre nuda sotto due o tre straccetti di seta colorati e svolazzanti, mi danza attorno canticchiando sensualmente:

comprami amore mio

sarò tutta tua amore mio

potrai farmi come vorrai amore mio

Le volute di fumo degli incensi stanno intanto invadendo l’ala dell’Iper ove ora mi trovo, scorgo delle anguste scale, che mai avevano colto la mia attenzione, sarà forse un nuovo reparto?

Il canto corale adesso è al culmine, siamo vicini al momento della estrazione, quando il capo-commesso estrarrà dal computer il nome d’uno dei presenti che vincerà una gran quantità d’omaggi, di buoni sconto e di gadget dell’Iper.

hare compro hare compro

compro compro hare hare

hare acquisto hare acquisto

acquisto acquisto hare hare

Salmi, musica rock, incenso, vapori di droghe…sono quasi in cima alla scala ed ora davanti a me c’è una porta di cristallo nera con una scritta grigioperla metallizzata: "entrata libera".

Entro in una stanza di un color indefinito ma metallico, nel mezzo vi sono nere teche chiuse, sopra di loro appaiono le immagini olografiche dei loro contenuti: cuori, polmoni, fegati, intestini, mani ed altri innumerevoli pezzi umani.

E’ il reparto dei ricambi, qui non c’ero mai stato e lo guardo con attenzione.

S’avvicina un commesso in alto di grado, indossa infatti una stola dorata.

- Serve qualcosa?

- No grazie, stavo solo curiosando.

- Abbiamo anche organi sintetici, migliori assai degli originali ed a prezzi imbattibili.

- No, per ora ho sempre tutto in buon ordine, grazie.

- Le faccio lo stesso vedere: oggi abbiamo opportunità incredibili.

- Va bene, non sono venuto però per comprare.

- C’è poi l’offerta della settimana. Veramente da non perdere: le forniamo un corpo interamente sintetico, e le diamo pure una rendita mensile, vitalizia, di 1.000 crediti. Roba da non crederci, vero?

- Mi faccia capire, io vi lascio tutti gli organi miei, vecchi e un po’ consumati, e voi mi mettete tutto nuovo, e mi date anche una rendita. Dov’è l’imbroglio?

- - Nessun imbroglio, molti vogliono solo pezzi di ricambio umani, anche se sono peggiori assai di quelli sintetici. E così dalla permuta sia noi che lei ci guadagniamo alla grande.

- Vorrei prima pensarci sopra.

- Ci pensi su quanto le pare, ora lei sa dov’è il reparto, inoltre mi trova qui tutte le mattine.

- E per la sostituzione, quanto tempo ci vuole?

- E’ un procedimento standard ambulatoriale, meno di tre ore e non c’è convalescenza: lei se ne torna a casa subito dopo con le sue nuove gambe!

- Mi sa che ci rivedremo presto.

- Quando crede, come lei vuole.

Lo saluto e ridiscendo le scale, l’idea mi piace, tra l’altro il mio corpo sembra sano, ma con tutte le droghe che ho preso….

I polmoni, poi….è vent’anni che fumo un paio di pacchetti al giorno. 40 sigarette al giorno, sono 400 ogni dieci giorni, arrotondando 1.200 al mese, siamo sulle 15.000 all’anno, 150.000 in dieci anni: cazzo! ho fumato all’incirca 300.000 sigarette nella mia vita!

Ci penso oggi e domani….certo che 1.000 al mese sono di più di quello che guadagno ora in ufficio. Potrei sommarli allo stipendio e fanno 1.800 il mese, oppure smettere del tutto di lavorare e dedicarmi ai cazzi miei.

Scendo negli ampi saloni del piano terra circondato da milioni d’oggetti in vendita e vado nel reparto "inutilità totali" ove sono esposte cose assolutamente inservibili, e più sono inutili più sono rare e ricercate.

evviva la merce

la merce evviva

evviva la merce

e chi la inventò

Voglio riflettere, aspetterò gli altri nel modulo, m’avvio attraverso il comparto liquori, con i suoi milioni di bottiglie accatastate, poi quasi di corsa taglio lo scaffale dell’eros zeppo dei soliti aggeggi a vibrazione o a stimolo elettronico. Sono d’ogni forma e dimensione, qui i costruttori si sbizzarriscono sempre a trovare nuovi aspetti e grandezze. Sfuggo per un pelo alle commesse nude che vogliono che tu provi gli oggetti, o almeno loro, basta che tu compri qualcosa.

Arrivo infine al piazzale e poi dentro il modulo, chiudo la porta ed il cagnone con la lingua sgocciolante m’accoglie guardandomi affettuosamente.

Penso sempre più insistentemente alle possibilità che mi si aprono con un corpo totalmente nuovo….torna vociante il resto della famiglia e stanno tutti cicaleggiando sulle novità, si mostrano a vicenda le inutilità acquistate, la mia compagna mi fa vedere giubilante due confezioni di droghe formato famiglia che erano in offerta speciale, prendi due paghi uno.

C’è pure un omaggio svolazzante dentro l’abitacolo

e poi è ricominciata anche la musica rock. Uno dei ragazzi m’infila in mano la scatola in cui era rinchiusa la farfalla omaggio, prima d’accartocciarla e gettarla via dal finestrino ci leggo sopra: "quello che il bruca chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla".

Il ritorno è senza storia, il modulo pensa lui alla guida, io sono immerso nei miei pensieri, a valutare i pro (tanti) ed i contro (non me ne viene in mente nessuno) della sostituzione.

…e soprattutto niente più lavoro…e sono giunto a casa, senza attenzione butto giù un paio di schifezze energetiche acquistate all’Iper, mi chiudo a riflettere in camera, metto in sottofondo vecchia musica classica, mi accorgo che la farfalla olografica mi ha seguito e sbatte le ali soddisfatta per la camera.

Con l’oloproiettore denso materializzo tre prostitute minorenni orientali che iniziano subito a fare il loro lavoro, mentre me ne sto buttato sul letto a riflettere, stimolato da qualche tirata di neococa, ed a farmi fare.

Al mattino comunico a tutti che ho un forte mal di testa e non andrò al lavoro: gli altri partono chi verso l’ufficio, che verso la scuola, resto solo col cagnone e la farfalla che non ne vuol sapere di lasciarmi un minuto.

Carico il cagnone sul modulo, ovviamente entra anche la farfalla e m’indirizzo all’Iper.

Atterrato nel piazzale, entro, attraverso il salone centrale, salgo spedito e arrivo alla rivendita degli organi.

Il solito commesso mi sorride.

- Buongiorno, allora si è deciso?

- Sì.

- Mi occorre solo un suo documento d’identità.

- Eccolo.

Porgo la mia carta ed il commesso l’infila per un attimo in una fessura, poi me la restituisce.

- Lei è molto fortunato.

- Dice?

- Sì, oggi c’è una promozione speciale. Per coloro che optano per una sostituzione integrale, la rendita vitalizia viene portata a 1.500 il mese, ma solo per oggi.

- Meglio così, tanto ero già deciso, si può cominciare anche subito.

- Allora venga con me in ambulatorio, che l’accontento immediatamente.

Apre una porta che era nascosta nella parete da un ologramma di fondali marini e la stanza che mi trovo davanti e simile ad un gabinetto dentistico, con una gigantesca poltrona circondata da protesi incomprensibili piazzata proprio nel mezzo alla stanza.

- Si metta comodo sulla poltrona.

- Sembra quella del mio dentista

- E’ vero, l’ho sempre pensato anch’io.

Mi ci siedo, è morbida, sembra di pelle, è anatomica ed aderisce perfettamente al mio corpo.

Il commesso ha in mano una specie di casco motociclistico con visiera, me lo infila in testa e lentamente vedo la luminosità della stanza sparire, poi è il buio più totale.

Sto per chiedere al commesso cosa mi succederà….ma non ho idea di quanto tempo sia già trascorso…sto tornando in me.

Mi sento diverso, diffuso, ho una strana sensazione di grandi spazi e d’immortalità.

Cerco di aprire gli occhi ed all’istante mi rendo conto che sono in migliaia di posti contemporaneamente, sono in rete, anzi sono la rete.

Una parte della mia mente controlla la distribuzione delle acque della mia città, un’altra assicura la sicurezza in molte strade e case.

Sono un guardiano, assieme ad altri come me, mandiamo avanti tutti i servizi della città, anzi di tutte le città del mondo: siamo noi i veri padroni e i controllori.

Penetro in quella che era la mia casa e mi vedo, ma non sono io, è un sintetico completo, di mio ha solo la memoria registrata.

Io lavorerò in eterno, senza posa e lui si godrà il mio vitalizio…non è giusto…sono stato imbrogliato….ma io sono immortale ed ho infinito potere…ci avrò guadagnato?

In un’area sorvegliatissima, fuori città, c’è una centrale di comando: ho scoperto che ciò che rimane della mia parte fisica – un bel mucchietto di neuroni – si trova lì.

La visualizzo, è una cella con luce azzurrina diffusa, il mio io è in un cilindro posto su una specie di scrivania: in effetti non è una scrivania, è un cubo nero.

C’è una porticina rotonda che da all’esterno ed avverto presenze amiche la fuori.

Per me è un gioco aprire la porta e resto meravigliato a vedere il mio cagnaccio che con sforzo riesce ad entrare dalla piccola porta rotonda, abbaia, sbava, scodinzola, si struscia al cubo e poi si acciambella per terra.

Incredibile, ma mi ha riconosciuto, la porta sarà sempre aperta per lui e troverò la maniera di fargli avere acqua e cibo: la mia stanza per me può anche divenire la sua cuccia.

Resto meravigliato al nuovo ingresso

anche la farfalla olografica è arrivata e delicatamente si posa sul cilindro di cristallo fluorescente ove il mio io ininterrottamente lavora….e pensare che volevo smettere…..

 

 

 

racconti:

 

 

LUNA DEMONE

 

Il pittore garfagnino, del quale non ricordo il nome, stava in una via del centro, per l’esattezza in via San Paolino, quasi in fondo, a ridosso delle Mura.

Era un tipetto basso, biondo, tutto pepe e saltellante.

Aveva iniziato un’attività redditizia in quel di Venezia: vendeva ai turisti, che lì non mancavano, acquerelli disegnati su carta e poi, faceva anche ritratti, per strada, su richiesta.

Poi si era messo assieme ad altri pittori, tutti giovanissimi, ed i quadri li facevano collettivamente, tipo catena di montaggio.

Praticamente a lui, la casa a Lucca in via San Paolino non serviva proprio più, e così l’aveva subaffittata ad un altro amico pittore, Ferruccio A….. che era poi divenuto, pure lui, amico nostro.

Ferruccio ci abitava con una bella ragazza – un po’ troia, dicevano le malelingue – di Livorno, ma dopo un certo tempo non è che andassero poi tanto d’accordo, per la verità cominciarono a litigare in continuazione.

Bisticciavano così alla grande che Ferruccio decise di tornare dalle sue parti, in Sicilia, lei invece decollò per quel di Livorno.

La casa, d’accordo col pittore garfagnino, fu lasciata a noi, con l’impegno che avremmo pagato puntuali affitto e bollette varie e che avremmo pure ospitato loro tre (Ferruccio, il pittore garfagnino e la ragazza di Livorno) ogni volta che fossero capitati a Lucca.

Ferruccio non tornò mai più, la sua ex ragazza invece fece qualche capatina, anche per riprendersi le sue cose: una volta dovevo passare la notte con lei, ma Marinella, la mia donna di allora, s’ammoscò di qualcosa e mi spompò alla grande non lasciandomi libero quella notte, se non quasi al mattino. E così l’incontro andò a farsi benedire.

Un pomeriggio, il pittore garfagnino capitò all’improvviso con una scarica d’amici che s’accamparono in casa col sacco a pelo.

Disegnarono per tutto un giorno intero ed il successivo l’appartamento era zeppo di fogli acquerellati appesi ad asciugare.

Ogni tanto capitava qualche sconosciuto, mandato da uno dei tre ex abitanti, a ritirare qualcosa: pian piano se ne andarono vestiti, asciugamani, lenzuola, piatti, posate, pentole, cianfrusaglie, qualche quadro, piccoli mobili, un lampadario di ferro battuto (che cedemmo di malavoglia) ecc.

Mi ero alloggiato in una parte di una stanza alla quale ci si accedeva dalla cucina, scendendo quattro scalini; questa stanza normalmente la dividevo con Elio, ma qualche volta anche con Massimo.

La Marinella, che un sera voleva portarmi fuori per forza, mentre invece ero impegnato in una partita a carte, al mio rifiuto mi menò di brutto.

Scappai da quella che allora era la mia casa mentre lei stava spaccando piattini e tazzine, e gli amici esterrefatti assistettero paralizzati alla scena.

Ad una parete della stanza che avevo occupato, affissi un poster che raffigurava una gran nave e misi pure accessori da nave nella stanza.

- Ci siamo imbarcati, siamo in una cabina, la nave è partita, dove arriveremo?

Dissi più volte, ma nessuno sembrò mai farci attenzione.

Ed in quella cabina Daniela propose lo scambio di coppie, ma il mio ed il suo partner rifiutarono categoricamente.

Vidi la neve dall’oblò dopo aver fatto l’amore con Patrizia, mi feci Daniela mentre lei aveva ancora addosso un impermeabile giallo, ed una volta, solo una volta, la cedetti a Ciccio e Johnny.

L’ingresso era una delle parti più strane di quella casa, eravamo all’ultimo piano ed il pianerottolo aveva una grande apertura sul lato che dava all’esterno della casa, praticamente era quasi un terrazzo fatto a elle.

Alla fine della elle, iniziava una rampa di scale, più piccole e di mattoni sconnessi, che saliva fino ad un appartamento sito a tetto sull’edificio accanto che era più alto del nostro.

Entrare in questa parte del palazzo era come spiccare un salto all’indietro nel tempo: mattoni vecchissimi, pareti scrostate, impianto luce a treccia con isolatori ceramici, tanto per rendere l’idea.

Il portone, verde screpolato, di quell’appartamento sembrava quello di una vecchia casa di campagna, e la casa era abitata da una coppia di vecchietti: addirittura erano anni che lui non scendeva.

Io vidi solo l’ingresso e mai mi spinsi oltre: c’era una cucina annerita da stagioni di fumo, con un gran camino sempre acceso, sul quale pendeva un paiolo nero anch’esso.

C’era un massiccio tavolo quadrato in legno con quattro sedie impagliate attorno, una credenza ad un lato ed una vecchia madia appoggiata alla parete opposta.

Assuero invece aveva fatto amicizia con l’anziano signore e spesso, munito di un fiasco di vino andava a trovarlo, ed allora si sentivano cantare in piena notte.

La moglie però non era contenta di queste sbronze, e qualche volta scendeva a lamentarsi.

Una notte, dopo che Assuero se ne fu andato, sentii della confusione sulle scale, mi affacciai alla porta e vidi alcuni infermieri della Croce Verde (aveva il presidio proprio sull’altro lato della strada, di fronte al nostro portone) che con un lenzuolo stavano portando giù qualcuno: era l’anziano signore.

Dopo il vocio, il silenzio, ed io rimasi sul pianerottolo ad osservare i tetti illuminati nella notte dalla luna demone che quella sera splendeva impietosa, spargendo sinistri riflessi argentati che dalle tegole rimbalzavano sulle canale di scolo dell’acqua, ritornando poi alle rade nubi anch’esse argentate Accesi una sigaretta ed ebbi il presentimento della morte.

Il Manca ed il Carozzi vennero a trovarci spesso e facemmo la loro conoscenza.

Una sera capitò anche Tonino e la sua donna, passarono da noi la notte, a distanza di tempo, quando loro due si sposarono, sapemmo che si trattava della vedova C……i.

Cene, feste, incontri, qualche viaggio in acido con il sottoscritto che leggeva al buio il quotidiano e che suonava un flauto dolce, assieme a Marco (lui il flauto lo sapeva suonare, io no).

Ma come una nube temporalesca a ciel sereno, all’improvviso ci capitò lo sfratto: il proprietario aveva saputo del sub sub affitto e non n’era rimasto per niente entusiasta, tra l’altro aveva intenzione di rimettere in sesto l’appartamento e d’affittarlo a prezzo pieno.

Così assieme alla nave affondò pure la mia cabina.

Chi prese qualche mobile, chi un quadro, chi cianfrusaglie per ricordo, chi non volle nulla.

Roberto, che stava mettendo su casa con Giovanna, prese un po’ più degli altri, soprattutto mobili e quadri.

Io arraffai qualche disegno, una toilette da camera e varie cianfrusaglie.

La vecchietta del piano di sopra, dopo la notte di luna demone nella quale morì il marito, non l’ho più rivista e l’appartamento fuori del tempo è rimasto sempre chiuso.

Ferruccio A….. l’ho ritrovato sulle pagine pubblicitarie di Flash Art, ho saputo che abita sempre in Sicilia, oggi è un pittore affermato impegnatissimo con le mostre e con la vendita dei suoi quadri.

L’ex ragazza di Ferruccio la ritrovai a Livorno - stavo accompagnando mia madre ed eravamo in un laboratorio odontotecnico ove lei doveva ritirare una sua dentiera che era lì in riparazione - la vidi in camice bianco, non mi riconobbe o fece finta di nulla; quel giorno io rimasi indifferente.

Daniela è morta d’embolia.

Il Manca fotografa un po’ di tutto e realizza mostre, fotolibri e calendari: faceva parte dei Bambini di Satana e questo gli ha creato qualche problema.

Il Carozzi era bibliotecario alla biblioteca di Stato ed è morto di AIDS.

Patrizia gira per Lucca in auto col suo attuale, e penso definitivo, tipo.

Tonino dopo esser divenuto comunista, aver disegnato la bandiera arcobaleno della pace, è oggi un pittore di grido e si è maritato come vi ho già detto.

Ciccio, l’ultima volta che l’ho visto, faceva il contadino e difendeva l’uso dei fitofarmaci; forse così la marhjuana che coltiva per uso proprio, coi fitofarmaci avrà più sprint! De gustibus…

Johnny se ne è tornato in America con suo fratello, in quel quartiere di N.Y. ove la sua famiglia abitava e dove si parlava solo il capannorese stretto.

Del pittore garfagnino non ho più saputo nulla.

L’ultima notte che avevamo il possesso dell’appartamento, io la trascorsi da solo sul pianerottolo davanti al grande portale che dava una visione totale dei tetti del quartiere. Anche quella fu una notte di luna demone, coi suoi argentei malefici influssi. Miagolii di gatti e versi di civette dalle vicine mura.

 

 

racconti:

 

 

LA CUPOLA

 

Corre oggi la festa dell’antico dio Eros, in tutto l’Impero si celebra alla grande il nome di questa remota divinità del pianeta originario: è però una ricorrenza che per scelta più non m’interessa.

Ho lasciato alle spalle da decenni le avventure amorose, poi pure quelle di sesso m’hanno mortalmente annoiato.

Sarà forse un effetto secondario del prolungamento della giovinezza?

Forse sì ne è la conseguenza, o più semplicemente ho amato così tante volte che la cosa in sé ha perso ogni attrazione. O ancora più terra terra: ho fatto tante mai di quelle scopate, con donne sempre diverse (ma sempre uguali), che ne ho la nausea.

Oggi dunque è la celebrazione del vecchio dio, è la festa dell’amore e tutti sono felici e s’inviano regali e messaggi.

Per evitare ogni rottura di palle mi sono alzato all’alba e teletrasportato su un lontano pianeta che conosco benissimo perché coi miei amici questo era, tanto, tanto tempo fa, uno dei nostri punti d’incontro e di svago.

Sto passeggiando lungo i bastioni di una antica rocca fortificata, abbandonata da tempi immemorabili, ma per me foriera di graditi ricordi.

Ammiro lo scorrere lento delle nubi, mi sdraio su una panchina di pietra e sono piacevolmente riscaldato da un sole che rilascia vaghi riflessi arancione.

Ad un tratto vedo apparire tre e-mail volanti in fila indiana che come lucciole si dirigono verso di me: maledette bastarde, sono riuscite a seguirmi fin qui!

- Oggi sono disconnesso del tutto, neppure la piastra neurale è attivata, non voglio contatti.

Dico questo ad alta voce come se parlassi con qualcuno, in effetti sto inutilmente parlando ai tre puntini luminosi lampeggianti che mi stanno girando attorno, grido allora "RIFIUTATE!" ma proseguono il loro ballo, adesso attorno alla mia testa, come se niente fosse.

Esclamo "IN MEMORIA!" e cazzo! non succede niente, sono e-mail d’urgenza rottenculo e se non le apro non se ne andranno.

Attivo quindi la matita-raggio ed assorbo tutta l’energia delle tre, che finalmente prima smettono di lampeggiare e poi si dissolvono del tutto.

Scacciate le intrusioni, mi risdraio sulla panchina e cullato dal tiepido sole m’addormento per qualche tempo.

Nel sonno mi sento osservato ed apro di scatto gli occhi.

Davanti a me una prostituta con la gamba destra amputata mi osserva sorridendo.

- Scopiamo, bell’addormentato nel bosco?

- Voglio star solo, vattene!

- Non ci penso nemmeno, cocco.

Ed i suoi vestiti olografici si smaterializzano con voluta calma, sulla pelle tatuaggi di ragni con teste umane.

- Per dieci crediti ti farò impazzire del tutto.

- Non m’interessa il sesso. Son venuto qui per stare in pace.

- Sei gay? Allora guarda.

I tatuaggi sul moncherino divengono più brillanti, le teste dei ragni sembrano ora facce umane in movimento e tutte insieme s’accendono e si spengono ammiccando in un’unica direzione: il suo delta di venere.

La sua fessura m’attira lo sguardo, quasi mi calamita verso di lei ed il suo organo sessuale si trasforma, da linea rosa e vogliosa in membro eretto circondato da folta peluria nera.

- Vattene!

- …………

Ed oltre a non rispondermi ride, ride pure, ‘sta stronza…

Estraggo per la seconda volta la matita-raggio, la punto verso di lei ed alla potenza minima, le sottraggo energia.

Lancia un urlo e di colpo si trasforma in una piccola storpia nuda, coi capelli scarmigliati e lunghissimi, che le sfiorano il suolo.

Le gambe, anche se sottili e rachitiche, ci sono entrambe, tatuaggi tribali sono disseminati su tutta la sua pelle

- Non dovevi farlo!

Mi urla e schizza via in maniera strana, saltellando come un grande ragno, scappando non prima d’aver raccolto da terra una grossa pietra ed avermela scagliata contro.

Mi ha appena sfiorato, ho solo un piccolo, ma lungo sgraffio sulla fronte.

Questo non è più il posto tranquillo di un tempo.

Mi alzo e decido di fare una passeggiata lungo il perimetro della fortificazione.

Arrivo fin dove, sotto si scorge il lago, un piccolo laghetto sul conto del quale nel passato sono state scritte innumerevoli storie e sul quale sono fiorite leggende.

Giungo fino al ciglio erboso e lascio la mente indugiare libera sui ricordi di gioventù, quando con gli amici qui sostavamo a lungo con donne e droghe: era il nostro punto segreto di ritrovo.

Lì vicino, c’era la cupola di legno e materiale plastico. L’avevamo scoperta proprio noi, l’avevamo liberata dai materiali ferrosi arrugginiti che ne occupavano la superficie interna e l’avevamo pian piano trasformata in un salotto munito di tutti i comfort. Ci sarà ancora?

M’incammino tra la vegetazione, speranzoso nella ricerca. Ed eccola! Tale e quale, fin troppo ben tenuta, con erba tagliata attorno ed aiuole curate.

Mentre mi sto avvicinando la porta si apre ed esce una giovane donna che mi sta fissando appoggiata alla porta.

Il vocabolo "madre" mi viene spontaneo alla mente, ma lei è giovane e bella, solo ora mi accorgo che è nuda, soltanto ai piedi ha delle scarpe color argento con tacchi altissimi, come portavano alcune donne nell’antichità…

- Madre….mormoro ed i miei occhi si soffermano vogliosi sui suoi due piccoli

ed eretti seni con invitanti capezzoli dipinti in viola.

- Figlio mio….finalmente sei giunto, era tanto che ti aspettavo…

In fondo, ma molto in fondo ai miei pensieri qualcosa sta dicendo "…ma quale madre, idiota, non vedi che è giovanissima….potrebbe essere tua figlia…."

C’è confusione ora nelle mie meditazioni, ma ho la sensazione di essere tornato a casa, ed il desiderio della vicinanza con la madre mi avvolge e calma il mio spirito inquieto.

C’è ritorno…c’è affetto…c’è amore…c’è anche voglia sessuale….finalmente tornata dopo grande tempo…

Entro e mi avviluppa con le sue amorose mani, sento la sua carne familiare nuda contro la mia pelle ed una sensazione totalizzante d’amore avvolgente m’ingloba.

Rotoliamo nell’erba del prato, il mio membro è eretto, duro come una pietra, ma si scioglie negli orgasmi plurimi all’interno del suo corpo fasciante, comodo, spazioso….

La mente si culla e s’annulla nell’immensa sensazione dell’amore materno e creatore.

Ogni pensiero si ferma, ogni muscolo collassa, fino alla cessazione dell’essere e tutto si dissolve e si scioglie nella preparazione di nuove esistenze.

La madre-amante riprende allora la sua originale forma aracnoide: ha prima disciolto e poi assimilato l’ospite-figlio-amante: ne è rimasta volutamente incinta.

Entra e sigilla con le sei zampe chitinose l’ingresso alla cupola utilizzando i fili si seta che le sue glandole secernono e si prepara a deporre le uova.

 

 

 

 

vittorio baccelli

baccelli1@interfree.it

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