ULURU
Fino a pochi istanti prima ero nel deserto con le mie due compagne. C’era un grande dosso rossastro, un terreno arido ricoperto di pietre con radi ciuffi d’erba stentata. Tra le pietre s’aggiravano forme di vita primitiva, insetti, rettili e noi stavamo camminando in fila indiana. Adesso per quale motivo mi trovo su questa autovia, perché sto manualmente guidando, dove sto andando? Domande senza risposte, almeno per ora, la mia testa infatti è decisamente vuota: un’amnesia? Il sole sta battendo a perpendicolo sull’asfalto e mi ricorda il deserto ove mi sembra d’essermi trovato solo pochi minuti fa. Davanti a me vi sono altri moduli fermi col motore spento, senza conducenti né passeggeri. Spengo anch’io il motore e mi avvio a piedi verso un cantiere sito ad un centinaio di metri prima dell’ingresso di un tunnel. Giungo sul posto e subito mi accorgo che non c’è alcun operaio al lavoro, l’unico movimento è dato da sporadiche apparizioni di volti semicelati dietro vetri spessi ed oscurati di grosse e vecchie mercedes che procedono nell’altro senso di marcia. Vengo attratto dal rumore di un’auto, ancora una mercedes, ma più grossa delle altre e con tutta una serie di tubi di scappamento cromati che escono dal cofano. La mercedes occupa il senso opposto di marcia scansando i moduli in sosta con manovre bizzarre, poi si ferma all’ingesso della galleria. Da quell’auto da museo scende una ragazza dai capelli rossi e con gli occhiali scuri, la vedo bene solo di spalle, ma mi sembra di averla già conosciuta, la rincorro mentre procede con passo spedito parallela alla parete del tunnel. Dietro di lei scorgo un’altra ragazza che non so da dove sia uscita, questa è bionda ed indossa dei pantaloncini in jeans. Nel buio vedo la sagoma della rossa stagliarsi contro la luce bianca proveniente dall’uscita dal tunnel, l’altra sono certo, è dietro di me. Raggiungo la rossa, sono dietro di lei e sto per toccarla mentre la imploro di fermarsi e la rassicuro che non ho cattive intenzioni, proprio in quell’attimo lei precipita in una voragine che s’apre improvvisamente nel terreno e che solo per un soffio non travolge anche me. Mi metto le mani nei capelli ed urlando torno indietro di corsa, la ragazza bionda è sparita nuovamente, ora sono fuori del tunnel e vi sono operai al lavoro, ma da dove sono usciti? E fermi accanto a loro si trovano le famiglie che tornano dalle vacanze, ecco sono saltati fuori anche gli occupanti dei moduli. Grido loro che una ragazza è stata inghiottita da una voragine, chiedo soccorso, ma nessuno mi presta ascolto perché sto parlando una lingua diversa dalla loro, ed anzi mi cacciano via prendendomi per pazzo. Torno sconsolato al mio modulo, metto in moto e manualmente m’avvio in fila con altre vetture dirette verso l’imboccatura del tunnel, sopra l’apertura c’è una scritta che non avevo visto "Il micio coi suoi luminosi occhi citrini" non capisco cosa voglia dire, scuoto la testa e proseguo quando all’improvviso vedo arrivare nel senso opposto la grossa mercedes rumorosa coi tubi cromati di scappamento, ed attraverso i finestrini semioscurati scorgo la bionda che guida e dietro la ragazza rossa con gli occhiali scuri col viso pallido e pieno di spavento, sta anche piangendo. Adesso sono certo che queste due ragazze le conosco bene, ma intimorito pure io dall’incongrua visione, inverto d’istinto il senso di marcia e seguo la mercedes che come impazzita schizza veloce in avanti e supera auto e moduli a velocità pazzesca procedendo a zig zag. Sono felice che lei sia viva anche se non capisco in quale situazione si sia cacciata, il mezzo sul quale lei viaggia ben presto fa perdere le sue tracce e sparisce nel traffico nonostante tenti in tutti i modi di raggiungerlo. Nubi minacciose all’improvviso s’addensano ed inizia a piovere, ormai ho perso ogni speranza di ritrovarla ed esco al primo svincolo con l’intenzione di tornare indietro, ma i cartelli stradali sono pochi e quei pochi scritti con arabeschi svolazzanti disegnati in oro su sfondo azzurro. Ma che razza di scrittura adoperano in questo posto? Eppure la scritta all’imboccatura del tunnel, anche se era incomprensibile era in italiano e in caratteri romani. Penso d’essermi perso, ma è ovvio al momento non ricordo neppure chi sono, imbocco allora a caso una strada alberata nel tentativo di ritrovare se non la via giusta, almeno la memoria, ma tutto questo mio girare non fa che aumentare la confusione: ero in un deserto con due mie amiche, di questo sono certo, poi mi sono ritrovato istantaneamente alla guida del modulo… Adesso ho imboccato un nuovo rettilineo, dopo una serie quasi infinita di curve, e seguita a piovere a dirotto, il parabrezza è letteralmente sommerso dagli scrosci d’acqua ed il mio viso è sporto in avanti, quasi a sfiorarelo nel tentativo di vedere meglio la strada. L’acquazzone aumenta ulteriormente d’intensità, finchè dopo una serie interminabile di tuoni e lampi giunge improvviso il sereno annunziato da una striscia luminosa all’orizzonte. Davanti a me altri cartelli, sempre incomprensibili nei loro arabeschi dorati, ma li trovo incoraggianti perché sono certo mi stanno indicando la meta del viaggio. Non faccio in tempo a gioire che noto qualcosa di veramente insolito: il modulo sta procedendo in maniera costante anche se provo ad accelerare o a pigiare i freni, eppure la guida è sul manuale, non ho inserito guide automatiche. Premo allora il freno d’emergenza ma non succede niente. Comincio a spaventarmi, spengo allora il motore disinserendo la card d’accensione e tento d’aprire la portiera: il motore seguita a girare normalmente e la portiera è bloccata. Sono in balia del modulo che procede a velocità costante e sostenuta, ferma al lato della strada c’è ora la ragazza coi capelli rossi e gli occhiali scuri, mi saluta agitando le braccia, sembra però che voglia avvertirmi di qualcosa, ma non comprendo cosa voglia dirmi e la vedo velocemente scomparire dietro di me, per un attimo m’è sembrata completamente nuda con indosso solo un perizoma e con disegnati sulla pelle motivi tribali. Il sole intanto è al tramonto e il modulo prosegue fino a notte inoltrata lungo la strada, poi si arresta in una piazzola di sosta. Ho delle bevande energetiche nel cassetto, ne prendo una, bevo, esco dal modulo e la porta ora si apre. Orino e rientro, cerco di provare se il comunicatore sia in rete, ma nel modulo tutta la strumentazione ora è morta, tiro manualmente giù il sedile e mi addormento.Sogno il luogo destinato agli incontri di tutte le tribù, un tempo chiamato Uluru e ora Ayers Rock: è un dosso rossastro che si erge al centro del paese. Mi chiamo Jacopo e con Lucia e Valeria siamo impegnati nel walkabout, detto anche giringiro, un viaggio con destinazione sconosciuta compiuto nel non-tempo aborigeno. Non è che noi tre si sia degli aborigeni veri e propri, solo Lucia ha un po’ del loro sangue, ma siamo tutti e tre nati e vissuti in questo grande paese, a contatto anche con gli aborigeni. È la terra che ci trasmette le conoscenze e così ci siamo imbarcati nel giringiro ed ogni giorno sappiamo alla perfezione cosa fare, dove andare e il cibo non è un problema, anche se è rappresentato da bacche, radici ed animali, che in situazioni normali, mai e poi mai ci saremmo sognati di mangiare. Da quanto tempo siamo in viaggio? Non lo so il tempo non ha più una dimensione ben definita. Ci siamo liberati di tutto ciò che ci ricordava la civiltà: orologi, portafogli, abiti, occhiali da sole…li abbiamo gettati nel fuoco rituale la prima notte di viaggio. Giriamo attorno ad Uluru e ci dirigiamo a nord, nel bel mezzo del deserto c’imbattiamo in una nave da crociera semiaffondata nel terreno e vistosamente piegata su un fianco. Stupefatti fissiamo il relitto: da quanto tempo si trova qui? Da qualche decennio, decidiamo dopo aver attentamente esaminato la nave. La rossa Lucia è la prima a salire a bordo, io e la bionda Valeria la raggiungiamo subito. Siamo saliti dal lato più inclinato utilizzando gomene di dubbia sicurezza che pendevano dalla fiancata. Siamo sul ponte, Lucia raccoglie da terra un paio di forbici arrugginite, le guarda e le fa guardare a noi come se dovessero ricordarci qualcosa. Mi concentro ma vedo solo un’autovia e le due ragazze ai bordi della strada, Lucia ha i capelli rossi svolazzanti al sole e porta occhiali neri, Valeria indossa un paio di pantaloncini di jeans.
- Dobbiamo festeggiare.
- Cosa stai dicendo?
- La nave, le forbici, Uluru.
- Oggi è l’anniversario.
- L’anniversario di che cosa? E poi perché festeggiare?
- Se è un compleanno, mi rifiuto. Non vedo perché si debba far festa per un anno in più, uno in meno da vivere.
- No, sono queste forbici, l’ha usate "nostra signora dei dolori" lo sento, sento le grida delle sue vittime. Noi le abbiamo trovate, le forbici non faranno più del male: festeggiamo.
- Sarà forse meglio scendere da questa nave, se nostra signora è nei paraggi io vorrei essere altrove.
Così senza aggiungere altro scendiamo dall’incongrua nave piazzata da chissà quali forze demenziali nel bel mezzo del deserto, ed in fila indiana ci avviamo di nuovo in direzione nord con Lucia che ha ancora le forbici arrugginite in mano ed apre il cammino davanti a me, più indietro c’è Valeria. Poco distante un albero di modeste dimensioni si eleva tra le pietre ed i radi ciuffi d’erba, Lucia s’avvicina all’albero e con un secco colpo pianta le forbici nel tronco, poi prosegue assieme a noi. Quando cala la notte accendiamo un minuscolo fuoco e ci cibiamo con alcuni piccoli rettili catturati. Il cibo è composto anche da bianche radici: mangiamo in silenzio davanti al fuoco, quando dense nubi nere, veloci tolgono la visuale d’ogni stella. Scocca una folgore che centra in pieno le forbici piantate nel tronco, le forbici si dissolvono nel fuoco del fulmine e l’albero è incenerito: ho avuto adesso questa visione, nell’attimo in cui è scoppiata la folgore, penso che le mie due compagne abbiano avuto la stessa visione. Le nubi intanto con la stessa velocità con la quale sono giunte, si diradano e spariscono senza far cadere una sola goccia di pioggia. Al mattino ripartiamo per il nostro giringiro, il walkabout, mentre il non-tempo aborigeno continua ad avvolgerci. Cerco di ricordare la trama del sogno che la notte mi ha fornito, ancora auto, moduli di trasporto, nastri d’asfalto…Passeggiamo coperti solo dai nostri perizomi, con gli zaini sulle spalle, sono in fondo alla fila, davanti a me Lucia, poco più avanti la bionda Valeria. Il non-tempo ci avvolge con le sue allucinazioni ed i suoi insegnamenti.