L’ULTIMA ZAIBATSU
La lamaseria era stata edificata centinaia d’anni prima su alte montagne e solo picchi innevati si scorgevano fuori dalle sue alte muraglie. All’interno la temperatura era conservata primaverile e dai suoi orti, frutti e verdure continuativamente giungevano sempre a maturazione. Ratz era cresciuto tra queste mura, come maestri aveva avuto i migliori lama e maestri zen e aveva giocato e studiato con gli altri ragazzi ospitati nella lamaseria. Nell’aula dei Buddha aveva trovato il suo luogo per la meditazione profonda, a lui qui riusciva meglio circondato dalle cinquecento statue di Buddha, tutte uguali alte quanto un uomo, ma di materiali diversi: legno, pietra, marmo, terracotta, ologramma, metallo, ecc. Le statue erano poste erette ai lati di una grande aula quadrata pavimentata in lucido legno. Ratz s’accostava ad una delle statue, sceglieva quella giusta per quel giorno, poi le si accovacciava accanto assumendo la posizione del loto e qui trascorreva molte ore delle sue giornate. Aveva anche un suo piccolo giardino zen ove a tratti apparivano ologrammi di cespugli rotolanti che veloci attraversavano il giardino, ma era solo nell’aula dei grandi Buddha che lui si trovava veramente a suo agio. La lamaseria era molto antica ed in essa erano conservate tutte le memorie delle civiltà dell’uomo, grandi biblioteche erano zeppe di libri e ricordi solidi riversavano ogni conoscenza attraverso gli schermi o tramite reti simstim direttamente nelle menti dei richiedenti. Ratz era costantemente connesso con queste memorie attraverso la sua piastra neurale che aveva l’aspetto di un orecchino con un piccolo diamante, infilato nel lobo del suo orecchio sinistro. Lui era uno shahinai, era il tesoro degli shahinai: la sua razza era molto antica e composta di poche diecine d’individui scuri di pelle e molto brutti nell’aspetto, tra loro molte donne ma pochissimi uomini, con un’unica eccezione. Un maschio bianco con la pelle dai riflessi perla nasceva solo ogni cento anni, incredibilmente bello e intelligente, veniva chiamato il tesoro degli shahinai. Era infatti intelligentissimo e bellissimo, inoltre far l’amore con lui era un qualcosa d’indescrivibile. Tutti gli shahinai vivevano per cento anni con la cessione del loro tesoro, questa usanza era proseguita nei secoli, forse nei millenni, perché così era stabilito nei loro testi sacri conosciuti solamente dagli appartenenti alla loro razza. C’era scritto che quest’usanza avrebbe avuto termine al verificarsi di certe condizioni, e queste si verificarono, quali esse fossero non è dato di sapere, ma l’ultima generazione seppe che era giunto il momento d’interrompere la tradizione, tra l’altro l’intera tribù era divenuta proprietaria di una azienda agricola che produceva in colture idroponiche cibi geneticamente modificati. Azienda che in breve grazie a brevetti fortunati aveva raggiunto le dimensioni di una multinazionale, ed anche questo era stato previsto dalla loro arcana ed antica cultura, avevano così interrotto una leggenda che narrava che il loro tesoro era stato posseduto da Carlo Magno, da Tiberio, da almeno due papi ed anche dalla zarina Caterina. Avevano così gratuitamente ceduto il loro ultimo tesoro alla più famosa lamaseria sita in capo al mondo, nella quale vivevano monaci zen e lama, affinché loro gli fornissero la miglior conoscenza, così era scritto, così fu fatto.
Ratz è nella sala della meditazione d’ingresso collegato con banche dati e musica techno, osserva sorridente l’ologramma di Santa Klaus, il santo più venerato nel mondo. L’ologramma è denso e moderatamente senziente, Ratz si siede accanto a lui che porta la sacca coi doni ed ha il sorriso stampato sempre sulle labbra e questo perché su questo punto il programma non è modificabile, così Santa quando parla con Ratz, anche se è triste, seguita a sorridere. Dall’altro lato del salone della meditazione d’ingresso vi è l’olo di Padre Pio, anch’esso a definizione densa ed a grandezza naturale, ma scarsamente senziente. Padre lascia il proprio posto e s’unisce a Ratz e Santa che stanno parlando del matrimonio celebrato proprio in questa aula la settimana scorsa. Ratz parla coi due olo, ascolta musica, elabora dati quando il segnale di allerta lo raggiunge, spegne allora il canale audio e visualizza il Lama che lo sta chiamando nella sua stanza. Ratz saluta Santa e Padre e s’avvia lungo i loggiati che portano alla stanza del Lama. Attraversa porticati a lui noti con ologrammi e circuiti stampati appesi alle pareti assieme ad immagini sacre e mandala. Servomacchine gli scivolano trai piedi spostandosi veloci al suo passaggio per tornare poi alle loro occupazioni, e-mail volanti gli ruotano attorno al corpo, lui le scaccia con fastidio. Sa già che il suo apprendimento, qui nella lamaseria è in fase terminale, è davanti alla porta del Lama che si apre lentamente al suo avvicinarsi: il Lama è seduto nella posizione del loto, sospeso sul pavimento di qualche centimetro, sotto di lui un folto tappeto con un complicatissimo mandala disegnato, molti cuscini sono casualmente sparsi per la cella e la luce entra da una feritoia stretta e lunga che attraversa verticalmente quasi per intero una delle pareti. Sospeso in aria un pentacolo lievemente azzurrato e tridimensionale, ruota lentamente su se stesso, in un angolo un mucchio di cellulari in rete che ammiccano coi loro led multicolori. Ratz entra, il Lama gli volta le spalle sempre seduto e librato nella posizione del loto, si siede dietro di lui, chiude gli occhi mentre avverte la termoschiuma celata nel tappeto aderire alle sue gambe. Flussi d’informazione all’istante lo raggiungono, parlano della sua razza, della rottura delle tradizioni che con lui è stata effettuata come previsto dalle antiche scritture, dell’amore e degli insegnamenti che i monaci gli hanno impartito, delle amicizie strette con gli altri novizi e studenti. Confermano che il suo ciclo qui è terminato, nuovi apprendimenti adesso lo attendono. Ratz mentalmente prende congedo dal Lama e da tutti, poi s’avvia verso la stanza dei viaggi, inchinandosi tre volte all’uscita davanti al Lama che seguita a volgergli le spalle. Nuovamente attraversa corridoi e aule, sale ripide scale e giunge all’interno dell’unica torre della lamaseria, scende un’umida scala a chiocciola che lo porta, sotto la torre, fin nelle viscere della montagna: sa che la stanza del viaggio si trova in fondo a questa scala di pietra scavata nella roccia, l’ha mentalmente visualizzata più volte, ma fisicamente non è mai sceso fin lì. Lentamente scorre il tempo mentre lui seguita a scendere con ritmo piano ma costante, la scala è in penombra, una fioca luce proviene da una sottile striscia luminosa che è sita nel bel mezzo della volta. Giunge fino al termine delle scale, davanti a lui una parete di roccia. La tocca e la parete scivola di lato lasciando vedere una piccola stanza rotonda con un cilindro di pietra nel mezzo alto circa mezzo metro. Ratz intuisce che quello è una panca e si siede, la parete scivola nuovamente di lato e l’apertura si chiude, la luminosità è debole come quella della scala ma Ratz non capisce da dove provenga. Chiude gli occhi ed avverte una leggera vibrazione che pervade ogni cosa compreso il suo corpo. Quando decide di riaprire gli occhi nulla è mutato, cerca allora di collegarsi in rete con qualche memoria, ma si sente completamente isolato, tagliato fuori, una sensazione d’isolamento per lui nuova. Medita, dalla meditazione al sonno il passaggio è senza scosse, e da questo al sogno la strada sembra obbligata. Nel bel mezzo d’un sogno angosciante, ma già dimenticato, si trova seduto su una roccia e davanti a lui c’è un antico tempio greco. Solo allora si accorge che questo non è più un sogno: lui è all’aperto seduto su una roccia davanti al tempio. Il sole è alto e illumina un uliveto che si perde a vista d’occhio tutto attorno al tempio che ha un vasto colonnato in marmo bianco e lucente sotto i raggi del sole, sopra di esso un timpano triangolare, le colonne poggiano su una grande scalinata e tutto è dello stesso materiale. Ratz si guarda attorno stringendo gli occhi per difendersi dall’abbagliante riflesso del sole sul marmo, gli olivi sono ben curati, l’erba è tagliata e vicino al tempio cespugli di rose sono in fiore. S’avvicina, ma si rende conto ben presto che il tempio è più distante di quanto credesse, e man mano che avanza capisce quanto sia immensa questa costruzione che copre tutta la cima del colle ove lui si trova. Finalmente giunge agli alti gradini di marmo ed inizia a salire, si ritrova sotto il porticato: il pavimento è anch’esso di marmo, ma intarsiato con pietre di vari colori che danno vita a trofei di fiori e frutta che s’intrecciano nelle loro geometrie frattali. La sua mente si sofferma, ma solo per un attimo, su alcune somiglianze tra gli intrecci geometrici del mosaico ed alcuni particolari dei mandala nella lamaseria. Un lunghissimo tavolo di marmo è colmo di frutti maturi e di coppe piene di liquido color ambrosia. Ratz mangia frutta a sazietà e beve un nettare squisito. S’aggira per l’immenso porticato e la sua attenzione è colta da una stanza in penombra, entra. Al suo interno un cammello lo osserva con grandi occhi, un telaio di legno sta funzionando da solo, sembra molto antico, è posto nel mezzo del salone. Il cammello lo squadra mentre lui gira attorno al telaio. Solo allora Ratz si rende conto di quanto il telaio sia enorme e dal lato ove dovrebbe uscire la tela scorge una luminosità lattiginosa che gli impedisce di mettere a fuoco la vista. Accarezza il cammello e la sua lana è morbida, il suo corpo profumato. Si accorge d’esser nuovamente collegato, ma non è la solita rete da sempre conosciuta, è qualcosa di profondamente diverso: un paesaggio desertico con dune in movimento rappresentano la porta d’ingresso, si forma poi una bellissima donna vestita con veli di seta che ondeggiano a un lieve vento. Lei racconta la sua storia, molto, molto tempo fa, fu scelta dagli dei e addestrata a tessere la tela di un mondo, questa è la sua occupazione e nel trascorrere del tempo è divenuta essa stessa una dea. Lei è Gimel, la tessitrice della realtà e le sue sembianze sono: una giovane donna, una vecchia, un cammello. Ratz riapre gli occhi mentre l’immagine del deserto svanisce, il cammello non c’è più, al suo posto una vecchia coperta di stracci guida ora il telaio, ma l’immagine si scompone ad alla vecchia si sovrappone una bellissima giovane totalmente nuda, è la stessa che ha visto poco prima in rete. Lui è turbato, ma certo che la vecchia, la giovane ed il cammello sono visioni della stessa identità, sono Gimel la tessitrice della realtà. Abbandona la stanza del telaio non prima di cogliere uno sguardo malizioso negli occhi di Gimel, e si ritrova in una sala colma d’oggetti. Apparecchiature elettroniche d’ogni forma e dimensione, cataste di cellulari, gioielli d’ogni fattura, armi d’ogni tipo sono mescolati ad altri oggetti, alcuni misteriosi, altri d’uso comune come vestiti, montagne di capi d’abbigliamento d’ogni epoca e fattura. Solo in questo momento Ratz si rende conto d’esser nudo, dal mucchio estrae una tunica di fattura romana con finiture in oro e la indossa, con una cinta d’oro si cinge la vita, trova poi un paio di calzari in cuoio con finiture in oro, sono della sua misura, li indossa. C’è uno zainetto di pelle nera col logo di Gucci su un lato, lo riempie di cose che ritiene possano essergli d’una qualche utilità: tre pacchetti di sigarette di marca ignota ed illeggibile disegnata in oro su un pacchetto azzurro, un accendino Dupont d’argento, due bustine di fiammiferi minerva con la pubblicità di un bar dell’avamposto lunare, un orologio Rolex e questo se lo mette al polso anche se è incerto sull’ora. C’è poi un cellulare sottilissimo che sembra di madreperla, vede che è in rete ed il display è un ologramma, chissà in quale rete, si chiede mentre lo mette nello zaino e poi pensa "chissà chi mi chiamerà qui!" Trova una piccola bussola, un portamonete di pelle nera con dentro dischetti di un metallo azzurrato con l’effige d’una scilla, una penna biro in oro infilata in un minuscolo taccuino foderato in pelle, un coltellino multiuso svizzero con manico rosso e croce bianca, un paio d’occhiali a specchio modello Ray Ban, un pacchetto di fazzoletti di carta, infila tutto quanto nello zainetto, poi se lo mette in spalla. Vi sono fucili e pistole d’ogni tipo, ne sceglie una a raggi di foggia strana, sembra di cristallo, la impugna e spara un raggio che lascia un sottile foro ne marmo, la poggia accanto alla cintura d’oro ed a questa aderisce. Sceglie poi un anello ed una catena d’oro con un medaglione con sopra smaltato un pentacolo: lascia tutto il resto ed esce. Cerca di sfruttare questa nuova rete nella quale ora è inserito, al momento avrebbe bisogno d’un bagno, e dopo aver mentalmente più volte formulato la richiesta ha chiaro il cammino che deve fare per raggiungere il luogo prescelto, visualizza anche la piantina delle stanze del tempio, anche se accanto a questa scorrono parole che al suo orecchio suonano strane: stilobate, crepidoma, euthynteria, metopa, triglifo, trabeazione, acroterio, pronao, ecc. Arriva intanto al bagno, è enorme, vi è addirittura una cascata che si getta in una vera e propria piscina, poi tazze piene d’acqua tiepida e profumata, infine alcuni anello d’oro sono infilati in tondi tappi d’onice, basta sollevarli, e… Ratz s’aggira nel tempio ormai da vari giorni, per letto vi sono delle lastre che sembrano anch’esse di marmo, ma sono di una sostanza morbida, come la termoschiuma e si trovano in alcune delle stanze che formano questo enorme tempio. Si reca più volte all’esterno e trova pastori e contadini che parlano uno strano dialetto simile al greco antico. Con le memorie impiantate subito riconosce le radici di base del linguaggio ed elabora l’intera parlata. È pure ospite a cena in casa di pastori e l’agnello arrosto ed il vino è quanto di più buono abbia mai assaggiato dopo così tanta frutta. I pastori e i contadini non computano il trascorrere degli anni, anche perché la stagione non varia, non sanno niente del mondo esterno, se non vaghe storie di sapore mitologico, s’avvicinano al tempio con rispetto e timore, solo quando sono chiamati o quando devono portare qualcosa. Per loro il tempio è il luogo sacro ove abita la divinità che li protegge, una divinità che è femminile, una e trina. Ratz è perplesso, ma se questo deve essere il suo nuovo apprendimento, lo accetta, tra l’altro c’è molta serenità in questo posto. I pastori ed i contadini dicono che lui è un eroe, un semidio, è stato scelto dalla divinità per stare con lei. Alcune pastorelle sono niente male, pensa Ratz, mi credono pure un semidio, tutto sommato questa può essere una vacanza felice e anche meno noiosa della permanenza nella lamaseria. Il senso del tempo è alquanto confuso ed anche il Rolex sembra andare per conto suo, Ratz ha proprio perso la cognizione del trascorrere dei giorni. Fa vari giri attorno alla collina e trova altre colline identiche, un fiume, un lago ed anche un villaggio; nel senso opposto giunge fino al mare ove una spiaggia deserta sembra proseguire all’infinito. In uno di questi viaggi oltre le colline un temporale d’intensità mai vista lo coglie. L’acqua cade a scrosci ed il versante della collina ove lui si trova sembra divenuto un torrente. Animali anch’essi braccati dall’acqua si trovano a ridosso di Ratz e lui scorge delle grandi ombre nere ringhianti, con occhi fosforescenti e lunghi ed affilati denti bianchi. Il terrore lo prende e parte in una corsa cieca nel diluvio che impedisce di vedere in ogni direzione, mentre avverte le belve che terrorizzate dai fulmini lo rincorrono per dilaniarlo, quasi fosse lui la causa di tale trambusto. Ratz sbatte contro una costruzione in pietra, riavutosi dallo stupore, a tentoni segue il muro perimetrale finchè non trova una porta. È di legno e s’apre, entra, la porta ha un grosso chiavistello di metallo, lui sbarra la porta poi s’appoggia ad essa e solo allora si guarda attorno mentre fuori sente il raschiare di zampe feroci contro il muro e la porta. È un’unica stanza con un tavolo, delle pelli sono stese in terra, un grande camino conserva tutt’ora delle braci, alcune lampade ad olio sospese al soffitto illuminano vagamente la stanza. Alle pareti sono affissi trofei d’animali mai visti, uno di questi ha sembianze umanoidi. Ratz è troppo sfinito per pensare ad altro che a riposarsi, sposta le pelli vicino al camino e s’addormenta di botto. Sogna di trovarsi in una strana stanza rovesciata, lui è in piedi su quello che risulta essere un soffitto di legno fatto ad archi, coi travi che si uniscono tutti nel mezzo. Un chiodo d’oro molto grande tiene uniti i travi, lui s’avvicina e senza sforzo sfila il chiodo. Istantaneamente tutti i travi si sfilano dal loro posto e la stanza sembra raddrizzarsi mentre il soffitto cambia completamente forma ed ora è a cassettoni. Lui è sdraiato sul pavimento in terra battuta e vede il soffitto sprezzarsi e venir giù a quadrati. Mentre tutto gli sta precipitando addosso all’improvviso si risveglia e con stupore si rende conto d’essere non tra le colline ma in una delle mille stanze del tempio, sdraiata accanto a lui una bellissima donna bionda vestita solo d’una sottile tunica di seta verde, lo sta accarezzando.
- Io sono Vav.
- Abiti qui?
- Da sempre.
- Chi mi ha portato nel tempio? Ero tra le colline.
- Lo spazio qui non è come lo conosci.
- Come il tempo?
- Si.
- Allora non mi sono mai mosso di qui?
- Chi può dirlo?
- Dunque abiti qui con Gimel.
- Gimel, Vav, siamo la stessa entità, eppure siamo diverse.
- Le sorprese non mancano, e se volessi tornare?
- Dove? Alla lamaseria?
- Sì.
- Non puoi, sei il tesoro degli shahinai, l’ultimo tesoro e sei qui per apprendere, forse.
- Cosa significa che sei Gimel e Vav?
- Ciò che ho detto, ma sono Vav, il chiodo che tiene unite le travi e fornisce riposo ai viaggiatori smarriti.
Ratz a quel punto non sa più cosa rispondere, ed è anche confuso, così confuso come non è mai stato neppure durante le allucinazioni indotte nella lamaseria. Ma Vav è bella, è attraente, è desiderabile, ed è da troppo tempo che lui, creato per amare, non fa all’amore, ha valutato che qui le occasioni non mancano ed ora è giunto il momento di cogliere questo fiore, considerando anche che fino a poco prima era impaurito dalla violenza delle acque, era sicuro d’essersi perso, ed anche era certo che quegli animali l’avrebbero aggredito. Ma aveva l’arma, la pistola a raggi, ma se l’è ricordato solo adesso. Dolcemente avvicina Vav a se, le sfila la leggera tunica di seta, lui si toglie la sua e su di un tappeto la penetra, poi la bacia dolcemente ed infine dopo un bel po’ di tempo s’addormenta sopra di lei. Al risveglio si ritrova nella costruzione tra le colline, la pioggia è cessata e fuori c’è il sole, esce e non avverte la presenza d’animali feroci, si mette in cammino e torna al tempio. Una donna che non ha mai visto l’attende sugli scalini, anch’essa indossa solo una sottile tunica, bianca stavolta, lei è una donna matura rossa di capelli e bellissima.
- E tu chi sei?
- Sono Dalet, ma sono anche Gimel e Vav.
- Una triade, voi formate una triade.
- Sì nostro eroe, l’hai finalmente capito!
- Veramente non è che avrei capito molto.
- Sono Dalet, la porta, ma anche la foglia umida che vede, protegge e provvede.
- Bene, puoi provvedere a farmi tornare da dove sono venuto?
- Troveresti tutto molto cambiato, è molto tempo che sei qui.
- Così tanto da ritrovare tutto mutato? Tu vuoi prendermi in giro.
- Il tempo qui scorre diversamente dalla realtà ordinaria dalla quale provieni, ti è già stato detto, alle volte siamo molto avanti rispetto ad essa, talvolta invece indietreggiamo, ma alcune volte siamo trasversali alla tua realtà.
- Trasversali? Che vuoi dire?
- Non importa, tanto il tuo luogo ora è qui.
- Veramente qui mi sarei divertito abbastanza, vorrei andarmene.
- Come?
- Anche a piedi.
- Hai già provato altre volte, non sei mai andato oltre il villaggio.
- Questa volta proseguirò oltre.
- Non puoi, la nostra realtà è circolare, anche se tu seguissi la spiaggia, ti ritroveresti sempre al punto di partenza. Sono altre le vie per uscire.
- E quali sono?
- Noi non le conosciamo, siamo sempre state nel tempio. Ma quando sarà il tuo tempo potrai solo allora andartene, ed anche ritornare, se vorrai. Con noi starai bene, anche Gimel, se vuole può essere una bellissima femmina e tutte e tre siamo disponibili nei tuoi confronti. Puoi anche usare a tuo piacimento le ragazze del villaggio e dei pastori, loro non aspettano altro.
- Qui dunque non mi mancherà proprio nulla.
- C’è dell’altro: bevi l’ambrosia e con essa diverrai immortale, consulta le memorie qui conservate e troverai tutta la conoscenza degli universi, cosa può desiderare di più un umano?
- Forse hai ragione, ma non sono convinto, devo riflettere soprattutto su quello che mi hai ora detto.
- Hai tutto il tempo che vuoi per pensare, me se resterai qui hai l’eternità davanti a te. Il tempo è infinito, una sola vita non è sufficiente per esplorarlo, perché non inizi a cercare nelle biblioteche, perché non scendi nelle scure stanze del sottosuolo ove sono conservati i banchi di memorie, perché non ti rechi all’osservatorio?
Mormorando un "per ora va bene così" Ratz esce dalla stanza e sotto il grande porticato cerca un cesto di frutta e inizia ad assaggiare chicchi d’uva. Torna nella stanza di Gimel e lei è un cammello, sta camminando lentamente lungo le pareti. Il telaio è nel mezzo, brunito in un legno che sembra metallo. Ratz s’avvicina, ora è davanti al telaio che per i suoi sensi sembra immenso, ancor più grande del tempio se questo fosse possibile. Ma lui non se lo chiede ed accetta le dimensioni quali ai suoi sensi appaiono, lo osserva e segue il lavoro che la macchina impercettibilmente e silenziosamente compie, nota che la nebbia che gli impediva la visione, ora è scomparsa. Miliardi si sottili fili colorati partono da piani di spolette di cristallo, confluiscono ove la trama si miscela con l’ordito ed escono in un telo grandissimo ed infinitamente sottile fatto di luci e di colori. Si sofferma estasiato accanto al telo ed intuisce lo scorrere delle storie, delle vite, poi si rifiuta di proseguire oltre nella scansione. Il telo alla sua uscita dal telaio è sospinto verso una apertura rettangolare, lui passa da questa apertura assieme al telo e si ritrova in un tunnel che scende verso il basso, verso il centro della collina. Le due pareti del tunnel sono completamente ricoperte da cilindri di stoffa arrotolata: da quanto tempo sta lavorando questo telaio? Un dito sfiora uno dei cilindri ed istantaneamente a lui sono trasferite intere storie di coppie di sposi francesi del terzo secolo. Ratz è ancora una volta turbato, torna allora nella stanza del telaio ed attentamente osserva il telo. Sceglie il punto con accuratezza e poggia un dito in quel settore mentre il cammello imperturbabile lo osserva, ora fermo in un angolo dell’aula. E’ nella sala di meditazione d’ingresso e Santa lo saluta ed è felice che sia tornato. Si guarda attorno, ha ancora la pistola al fianco e la tunica e lo zainetto: estrae l’occorrente e s’accende una sigaretta.
"Sono solo di passaggio" sussurra Ratz e fa un cenno a Padre che ancora non l’ha riconosciuto. Attraversa la sala e prosegue per le altre stanze della lamaseria, molti monaci, studenti e bonzi lo riconoscono e lo salutano con cenni della testa, lui risponde, poi ripensa al telaio e nuovamente con la sigaretta in bocca ancora accesa si ritrova accanto Gimel, Vav e Dalet nelle loro forme migliori, vestite con tuniche trasparenti. Il pavimento dell’aula nella quale si trovano adesso sembra di termoschiuma e si modifica al movimento dei loro corpi, godimento assicurato, pensa Ratz ed il paragone con la seriosa lamaseria lo fa sorridere. Sprofonda nel piacere anche se è cosciente che quelle tre "giovani" hanno forse gli anni della Terra, o poco meno, e sprofonda pure nella termoschiuma, sempre più giù e sente attivarsi la piastra neurale, un leggero solletico misto a fastidio al lobo dell’orecchio sinistro. Senza trascurare le materiali occupazioni attiva i ricettori e gli impianti ed è pronto al trasferimento dati. L’interfaccia è disturbata e lentamente si avvede di far parte d’un capo, di un alto dirigente d’una zaibatsu che è intento alla consolle d’un potente mainframe; Ratz è interdetto, è dentro l’uomo, sente il suo corpo, i suoi organi interni, le protesi impiantate, i movimenti, alcuni pensieri, ma non può interagire con lui, è solo uno spettatore, un testimone, la comunicazione è a senso unico. "Sei giunto finalmente!" dice il dirigente e solo dopo un po’ Ratz comprende che sta dicendo a lui, non al computer o ad altre persone, sta parlando in giapponese ma lui riesce a comprenderlo benissimo. Il dirigente spegne ogni luce sullo schermo e sulla consolle, poi fa un cenno a degli insetti, sono dei nano-calabroni da difesa, e questi se ne spariscono in un foro del pavimento. Dal soffitto scende una campana argentata ed il dirigente è adesso isolato dal mondo esterno. Ratz è intrappolato in lui, lontano anni luce da ciò che stava un attimo prima facendo nel tempio, è solo nel dirigente, ogni altro contatto è reciso."Grandi eventi stanno per verificarsi, aspettavamo solo che tu fossi pronto. Chi l’avrebbe mai detto che il tesoro degli shahinai, un uomo da sempre votato alla bellezza e all’amore, potesse essere il testimone ed il catalizzatore per un così importante evento". Ratz cerca disperatamente di dire "ma che cazzo volete da me" ma ogni canale di trasmissione è a lui precluso. L’altro prosegue "In noi è concentrata tutta la saggezza e la conoscenza non solo dell’umanità, ma anche delle divinità superstiti e delle IA. Religioni, magie, nanotecnologia, realtà reali e virtuali, scienze d’ogni tipo sono oggi comandate dalla nostra unione. Un matrimonio alchemico, qualcuno oserebbe definirlo. Guarda adesso: la mutazione ha inizio!"
Miliardi di miliardi di interruttori scattano e vi è il suono d’infinite sirene mentre un lampo pulsante che muta colore ad ogni istante sembra compenetrarsi in ogni cosa, tutto ciò accelera esponenzialmente finchè permangono solo colori che mai gli universi avevano visto. Uomini ed altri senzienti si fondono con senzienti creati dalle nanotecnologia, spirali di DNA danzano in set composti e decodificati dallo svolgersi di configurazioni frattali che si rincorrono nell’autosomiglianza su piastre fenoliche dismesse che conservano archeologiche topologie di metropoli scomparse. Tutto si miscela a valanghe di dati che vorticosamente girano su se stessi avvolgendo nella loro danza tribale, interi sistemi planetari. Nove e buchi neri s’inseriscono in questo vortice universale e matasse di fibre ottiche di scarto accumulate da millenni assieme a materiali radioattivi in disuso ammonticchiati in aule sotterranee di parcheggio, e tutto si miscela coi microchip, con le reti neurali, plasma, realtà virtuali improbabili e perciò scartate, reti simstim ed entità biologiche viventi per formare un nuovo assetto, un nuovo ordine. Tutto attorno a Ratz in una frazione di nanosecondo, muta e si decompone mentre il tempo s’accartoccia su se stesso, le luci pulsano a ritmi non visti, le cellule mutanti s’assemblano in nuove nanomacchine frementi di vita. Tutto è mutato, ma tutto sembra riformarsi, ridiviene come prima, indistinguibile ma qualitativamente diverso. Ratz comprende solo in parte ciò che in una frazione d’istante è accaduto, neppure è cosciente del ruolo da lui svolto, ma comprende che è successo qualcosa d’immensamente grande, di fondamentale per l’uomo, per gli alieni, per le macchine, per gli dei, per gli universi. Si ritrova con una nuova sigaretta accesa in mano nella stanza della meditazione d’ingresso, accanto a lui Padre, Santa ed il Lama.
- Cosa è accaduto quando il tempo ha iniziato a vacillare? – Il Lama sorride, ed è Padre a parlare con la stessa voce del dirigente della zaibatsu:
- Alfred Van Vogt disse un giorno ad un giornalista che lo stava intervistando:"Voglio confidarle un segreto, i miei finali sono superiori alla comprensibilità umana".
Ratz allora capisce, almeno in parte, sorride e con lui sorridono Padre, Santa ed il Lama. Con loro sorridono miliardi di miliardi di miliardi di esseri senzienti, siano essi biologici, IA, nanomacchine, dei, semidei o diavolerie impossibili da descrivere, mentre un nuovo colore, mai visto prima è ora presente nella tela che Gimel ha appena tessuto ed accanto a lei Vav e Dalet osservano con approvazione.