Dopo l’inaspettato invito per il tè, Francois voleva
in tutti i modi tornare a rivedere Tilde, le era rimasta in mente, non riusciva
a togliere la sua visione dai suoi occhi. L’occasione fu il ritrovamento da lei
indicato e pochi giorni dopo con una bolla di quelle che se ne stavano sospese
in aria, arrivò alla cupola argentea circondata dai fiori e per lui la barriera
energetica non era in funzione.
Tilde era in piedi sul prato e sembrava che lo
stesse aspettando, e forse era proprio così. Lui scese dal mezzo e la salutò
abbracciandola affettuosamente, lei ricambiò con un bacio. Più baci furono
scambiati e:
-
Sono
venuto a nome di tutti per ringraziarvi.
-
Avete
trovato ciò che più vi serviva, no?
-
Sì
e proprio grazie a voi.
-
Dovevamo
ricambiare.
-
Per
le farfalle?
-
Anche
per quelle.
-
Lo
sai che ti desidero.
-
Ci
ho pensato su anch’io e la risposta è affermativa a quello che stai per
chiedermi.
-
Sono
contento di sentirtelo dire.
E si rotolarono nell’erba amandosi per oltre un’ora,
la guaina che ricopriva Tilde non fu d’impedimento ma anzi sembrava far proprio
parte del suo corpo.
-
Andiamo
in casa?
E lui ancora nudo la seguì e si distese su un divano
mentre lei le portava in bicchiere colmo d’un liquido ambrato.
-
Cos’è?
-
-
Dovresti chiamarla ambrosia.
-
E’
buono, ma Flavia dove l’hai lasciata?
-
Se
vuoi la chiamo, puoi avere anche lei.
-
O
capito, basta chiedere, ma no, sono a posto così, almeno per ora restiamo soli,
ho da chiederti alcune cose.
-
La
bambina?
-
Ci
hai già fatto sapere da dove veniva, ma volevo chiederti, tutto quello che ci
circonda qui, è reale?
-
Tutto
ciò che esiste è reale.
-
Ma
io credo che la realtà non esista, ma sia una creazione della mente, anzi forse
è un gioco che crea con le intenzioni di più menti.
-
Un
gioco, ora che mi ricordo stavo giocando, ma comunque tutto ciò che si forma è
reale.
-
Tutto
è reale perché è illusione.
-
O
tutto è illusione perché è reale.
La discussione era arrivata ad un punto morto ed almeno
per Francois, spingerla ora oltre significava raccattare un mal di testa, così
ricominciarono ad accarezzarsi e finirono nuovamente abbracciati assieme per
terra, questa volta non su l’erba ma su un folto tappeto e fecero l’amore fino
a notte inoltrata.
-
Buona
quell’ambrosia ed ha anche un certo effetto…. Ma dovrei tornare alla Base.
-
Rezia
t’aspetta? Cosa dirà? E’ forse gelosa?
-
Gelosa
non è, ma mi sta aspettando, adesso la chiamo.
Uscì e prese dal modulo il cellulare, ormai
l’avevano tutti e miracolosamente funzionavano, e la chiamò dicendo che sarebbe
rimasto a dormire dalle dee. Lei gli augurò la buona notte.
Al mattino Francois si risvegliò in un grande letto
assieme a Flavia e a Tilde, anche Flavia era ovviamente nuda e quando s’accorse
che s’era svegliato iniziò ad accarezzarlo e poi gli si mise sopra facendosi
penetrare.
Quando Flavia scese da lui e dal letto chiedendo “Un
caffè! Di corsa un caffè!” s’accorse che fuori non c’era più il prato coi
fiori, la cupola non era più nell’Opificio ma su una spiaggia tropicale, palme
alle spalle e mare davanti.
Rimase stupito a guardare l’esterno, poi si trasferì
in cucina e lì trovò sì il caffè, ma anche un’altra ragazza, anch’essa dalla
pelle rilucente.
-
Ciao!
Io sono Barbi.
-
Francois.
-
Lo
so, sarai stanco, ecco un bicchiere d’ambrosia.
-
Veramente
mi ci andrebbe un caffè.
-
Prima
l’ambrosia, intento ti preparo il caffè.
-
OK!
Ma Flavia dov’è?
-
S’è
bevuta l’ultima tazza di caffè che era pronta ed è uscita.
-
Si
Barbi, ma chi sei?
-
Ero
il giocattolo di Flavia, ora sono Barbi, una senziente e quasi sua figlia. Come
Tilde era la creatura di Flavia.
-
Forse
ho quasi capito, ma qua fuori, cos’è successo? Dov’è l’Opificio?
-
Ora
siamo in un isola del Pacifico, ma se vuoi tornare all’opificio basta pensarlo,
e se lo vuoi diverso basta pensarlo diversamente, Computer ci da una mano. E
ciò che veramente vuoi sarà.
-
Per
ora lasciamo stare tutto com’è, voglio fare colazione, dopo tornerò alla Base e
se mi va penserò diverso, va bene?
-
Lei
sorrise e senza rispondere gli allungò una tazza di caffè, poi con una mano
prese un bricchetto di latte e con l’altra gli afferrò decisamente il membro
stringendolo:
-
Macchiato?
QUINTO
ANNIVERSARIO E L’AGAPE
Erano ormai trascorsi cinque anni da quando Francois
e Carlos avevano iniziato quasi per gioco a bonificare l’Opificio aiutati prima
dai soli amici, poi dagli studenti ed infine da numerosi altri coloni che dal
Villaggio s’erano trasferiti da loro. Le bonifiche erano proseguite senza sosta
mentre i ritrovamenti avevano reso ricca la comunità e l'Università l’aveva
portata ad essere tecnologicamente avanzata. Finalmente si erano scossi di
dosso quel torpore che rendeva gli abitanti del luogo timorosi verso l’Opificio
e verso ogni tipo di tecnologia avanzata.
Alla Base molti bambini erano nati ed assieme a
Tabitha stavano crescendo. I coloni avevano dovuto affrontare tutta una serie
di pericoli: le trappole esplosive e quelle con l’insidioso filo
monomolecolare, animali e piante degenerate, sostanze radioattive e tossiche,
ecc.
Ma tutto sommato la prudenza aveva evitato molti
lutti, di feriti ce n’erano stati parecchi, ma di morti solo cinque.
Si stavano preparando i festeggiamenti ed in casa di
Francois s’era riunito il nucleo, diciamo storico, dei coloni. Nella vasta sala
riunioni della nuova casa di Francois e Rezia c’erano infatti Carlos, Felicita,
Patrizina, Salvatore, Karin ed anche il Professore, sempre più giovanile, e
Federica che s’erano portati dietro Tabitha che adesso aveva quattro anni ed
era una bella e normalissima bambina.
Erano state invitate anche Flavia e Tilde che erano
giunte portandosi anche Barbi, che da tre anni buoni più non s’era vista
all'Opificio.
L’incontro avrebbe dovuto essere di lavoro,
preparare le festività per il quinto anniversario, ma aveva invece preso un
andazzo tra il fricchettone ed il salottiero.
Poco male, tanto nessuno sapeva quanto sarebbe
durato, e gli impegni erano stati tutti annullati, ci sarebbe stato dunque,
anche il tempo per l’organizzazione spicciola della festa.
Vini e liquori, anche pregiati, erano posati sui
tavoli ed assaggi di tabacco, maria, coca, funghi allucinogeni e telepatici ed
oppio, tutti di coltivazione locale, venivano offerti senza parsimonia. In
cucina poi c’era tutta una serie di vassoi colmi di stuzzichini, arrosti e
panini imbottiti di ogni tipo che avrebbero potuto rifocillare un intero
esercito d’affamati, per non parlare delle torte che erano posta su un tavolo
in veranda.
Le dee avevano portato alcune bottiglie della loro
ambrosia, e Francois sorrideva poiché ben conosceva l’effetto afrodisiaco ed
energetico di quell’intruglio ambrato.
Tra bicchieri, pipette canne, cibo e coca la
riunione proseguiva con gli ospiti sempre più semiassopiti sui cuscini, sui
divani e per terra sui tappeti.
Gli abiti cominciarono a sparire, anche per non contraddire
le dee che loro sempre nude erano, ed alcune coppie cominciarono a formarsi in
maniera più o meno casuale.
Francois si ritrovò con Barbi che non possedeva da
tempo, Rezia con Carlos, il Professore con Patrizina e Federica, Karin con
Tilde, ma poi subentrarono nuove figurazioni con scambi e Francois si ritrovò
con Flavia mentre Tabitha con gli altri bambini, se ne stava giocando in
giardino ove erano stati preparati giocattoli, dolci e beveraggi tutti per
loro: tra l’altro il gruppetto di sette bambini si stava completamente
disinteressando dei movimenti degli adulti.
Forse l’ambrosia, forse le droghe, fatto sta che ad
un certo punto della festa la conversazione ebbe inizio, ma più sul piano
telepatico che su quello orale.
Ma tutti erano in sintonia anche se stavano facendo
l’amore o sonnecchiavano o assimilavano droghe.
Il pensiero era collettivo e nacque un’urgenza:
bisognava trovare un nome per la Base. Base infatti non era un nome, era solo
la designazione d’un posto, ma la designazione d’un posto è già un nome,
turbinio di altri nomi di varia estrazione, d’antiche città, di fiumi, di
dimenticate divinità, poi si fece sempre più chiaro un nome e si delineò
nettamente anche con le lettere TEORO e Teoro fu, la base ora aveva un vero
nome: Teoro.
Se abbiamo dato un nome alla base dobbiamo darne uno
anche al Villaggio, Villaggio non è un nome e si riformò in aria e nelle loro
menti collettivamente unite la solita confusione di nomi, di simboli e di
lettere, poi un nome prese forma e si sovrappose agli altri in maniera netta e
distinta FARVEL. Era adesso battezzato anche il villaggio: era la città di
Farvel.
L’ex Opificio, ora un nome per i territori desolati:
stesso caos, stessa ridda di nomi, di simboli, di lettere e per un attimo
sembrò prevalere le dizione I TERRITORI, ma poi le lettere si scomposero e
nettamente si riformò OPIFICIO e tutti seppero che questo sarebbe rimasto il
suo nome.
Il Professore introdusse il problema delle lune,
qualcuno pensò che non era all’ordine del giorno, poiché c’era da organizzare i
festeggiamenti, ma il problema fu affrontato ugualmente: nel cielo del loro
mondo c’erano due lune che si rincorrevano attorno alla Terra, eppure tutta la
documentazione parlava di una sola luna, ed anche le costellazioni erano
lievemente diverse da quelle indicate nei banchi memoria e sui libri della
biblioteca, perché?
Si sentì chiaro l’intervento delle dee: ci sono
molte Terre, la vostra d’origine aveva una sola Luna, questa Terra ne ha due,
diamo un nome a quella più piccola.
Tutti accettarono ciò che era stato detto e la
solita ridda di immagini e vocaboli si mise in moto per battezzare la luna più
piccola, finchè si formò la parola AUGUSTA ed il nome fu dato.
Praticamente queste furono le decisioni importanti
prese collettivamente e molti altri pensieri si levarono in aria e chi voleva
partecipava al gruppo di discussione che più lo interessava:
Il Professore parlava delle sue più recenti scoperte
cartografiche, delle mappe della loro Terra che lui stava realizzando e che
solo in parte collimavano con le mappe esistenti, ed ora sapeva anche il
perché.
Carlos enunciava i dettagli della festa dai balli al
banchetto collettivo, dai fuochi d’artificio alle rappresentazioni.
Federica parlava degli animali mutanti che aveva
studiato e del loro comportamento.
Karin illustrava le modifiche al settore urbanistico
e viario della zona bonificata ed alle nuove attività produttive impiantate,
piscina, coltivazioni idroponiche…..
Alcune farfalle mutanti erano entrate in casa e coi
loro svolazzi sembrava volessero anch’esse partecipare all’agape, intanto le
dee e Francois sembrava volessero sperimentare tutte le posizioni amorose
possibili, ogni tanto facendosi anche aiutare da qualche altro o altra ospite,
ma stavano anche approfondendo la comprensione reciproca sull’arte del Tutto,
del Gioco e su quella del Mutare sognando.
E Francois in quello stesso momento a centinaia di
chilometri dalla sua casa, nel cuore dell’Opificio, distrusse un animale
mutante che uccideva qualsiasi forma di vita incontrasse e non per cibarsene,
ma per diletto. Lo distrusse, semplicemente componendo i suoi atomi e
liquefacendolo in un nulla.
Quella sera tutti quelli che non abitavano a Teoro
seppero che erano cittadini della città di Farvel ed anche seppero che nel
cielo la notte rilucevano Luna e Augusta.
Un gruppo aveva pensato anche le altre città della
Terra e seppero il nome di cinque di esse che come Farvel avevano scelto una via non tecnologica di vita.
Pieni di droghe tutti s’assopirono mentre correva il
terzo giorno dell’agape mentre le nuove conoscenze e le modifiche si
rassodavano materializzandosi.
Così la città di Farvel si ritrovò un lungo litorale
con bagni attrezzati ed un porto con una banchina per l’attracco delle navi che
si spingeva lontano nel mare per quasi un chilometro.
La città di Farvel vide pure giungere al suo nuovo
porto per la prima volta un veliero che proveniva da un’altra città carico di
merci pronte per lo scambio.
All’interno dell’Opificio una tribù di mutanti vide
letteralmente sciogliersi il drago che costantemente li insidiava e che spesso
aveva ucciso per diletto alcuni di loro.
ZONA STAZIONE
Generazioni muoiono, altre nascono,
sin dai tempi degli antichi.
Essi hanno eretto città che ora non esistono più
Che cosa è avvenuto di loro?
(Harris)
Rezia ancora abitava con Francois ed avevano avuto un maschietto, ma non si erano mai sposati, erano infatti rarissimi gli sposalizi a Teoro, e pur vivendo assieme, come lì era consuetudine, conducevano esistenze molto individuali.
Rezia se ne stava ultimamente spesso assieme a due
giovani , Hainosi e Sunanda che da poco si erano uniti agli altri coloni e che
oltre a lavorare in una delle fattorie, riuscivano trovare un po’ di tempo per
frequentare l’università.
Rezia dalle nuove cartografie aveva individuato una
zona che era stata segnalata come pericolosa ed era stata interdetta, era la
zona ove era stato avvistata, anni addietro una strana e spettrale stazione
ferroviaria con tanto di treni transitanti.
Così chiese a Francois ed a Carlos, poiché loro più
volte avevano visitato il posto, ma loro erano sempre stati evasivi nelle loro
risposte: la stazione ferroviaria non s’era più vista o forse non c’era proprio
più ed al suo posto si scorgevano cose ed ambientazioni sempre diverse ed
inquietanti: animali feroci anche d’epoche preistoriche, laghetti mefitici
ribollenti d’animali abominevoli, grandi sfere d’acciaio che rotolavano ad alta
velocità e si scontavano con schiocchi assordanti per poi schizzar via ancor
più velocemente, gas mefitici che con soffioni uscivano dal terreno, foreste in
fiamme che bruciavano continuativamente, autostrade a venti corsie con auto
velocissime sfreccianti che uscivano da una galleria per rientrare in un’altra
al lato opposto della depressione, ed altre piacevolezze similari sempre
diverse.
Si era arrivati alla conclusione che in quella
vallata la realtà non fosse una cosa così densa e compatta come nel resto del
mondo, ma al contrario, qui fosse estremamente variabile e generasse continui
fantasmi. Rezia disse a Francois:
-
Vorrei
fare un’esplorazione nella zona ex ferroviaria che è stata interdetta, ti
ricordi quella che per caso scoprimmo assieme.
-
Da
sola? Stai attenta potrebbe essere pericoloso.
-
Non
sarò sola, ma non sarà mica la zona pericolosa e da evitare indicata dalle dee?
-
No,
quella è a centinaia di chilometri da lì e non ci siamo ancora andati . Ma una
delle prossime spedizioni sarà proprio diretta in quel posto ed anch’io ci
vorrò essere.
-
Perché,
io no? Comunque all’ex ferrovia verrebbero con me Hainosi e Sunanda, anche il
professore ha detto che sono in gamba. Lui non vuol venire, dice che comincia a
sentirsi stanco.
-
Ho
molto da fare, se no verrei, comunque state molto attenti e qualsiasi cosa vi
appaia in quel posto, non fidatevi e stateci alla larga, fate fotografie,
riprendete tutto, scannerizzatelo, ma non interferite fisicamente con quel
luogo.
-
Non
sono mica alla mia prima ricerca, e poi lo sai, là ci sono già stata.
-
Lo
so bene, altrimenti t’avrei ordinato di non farne di niente.
-
E
da quando in qua, dai ordini?
-
Naturalmente
io do sempre dei consigli, ma vedo che tutti mi ascoltano.
-
Per
forza, ti considerano un “anziano”!
Disse Rezia ridendo e calcando l’accento su
“anziano” ed aggiunse che una gita con due giovanissimi forse sarebbe servita a
disintossicarla da un ambiente che stava divenendo troppo senile, ed anche lui
rise, sapeva che stava scherzando.
Così Rezia, Hainosi e Sunanda partirono il giorno
dopo con una bolla, di quelle che svolazzavano come la nuvoletta di Goku nei
cartoni degli antichi.
Infatti all’Università erano riusciti a comprendere il funzionamento del motore ad antigravità delle bolle ed avevano modificato solo alcune delle bolle che però rimanevano strettamente di proprietà dell’Università. Ed ora una di queste la stavano utilizzando Rezia e gli altri due.
Arrivarono alla depressione e si fermarono al suo
limitare, intorno vi erano solo prati ed alcuni alberi recentemente piantati,
le costruzioni diroccate e le ciminiere che si levavano in quei luoghi erano
state polverizzate da tempo con gli smaterializzatori e si riconosceva la loro
passata esistenza dalle dune, oggi ricoperte di verde, che si susseguivano
l’una all’altra.
La valle era in una leggera depressione, ora circondata da alcuni sottili fili luminescenti energetici che impedivano il passaggio.
Le zone interdette e considerate pericolose erano
state tutte bloccate in questo modo, ma loro dalla carta sapevano dov’era
l’ingresso ed avevano la chiave per disattivarlo. Dietro le linee energetiche
si scorgeva solo nebbia, una nebbia molto strana che s’innalzava sempre più
fino al centro della depressione, mostrando così una struttura lattiginosa
fatta a cono.
Le linee forza erano in un punto non più bianche, ma
rosse per circa cinque metri: era la porta.
Hainosi tirò fuori dallo zaino un oggetto di
plastica con alcuni bottoni, assomigliava ad un piccolo telecomando di quelli
usati per la TRI-TV e digitò alcuni pulsanti… le linee da rosse divennero
verdi, i tre entrarono lasciando il portale disattivato. La nebbia era molto
fitta ed entrando in essa non si scorgeva più nulla. Cominciarono allora a
togliere gli strumenti dagli zaini, ma ogni scannerizzazione risultò
impossibile, come se la nebbia fosse un corpo solido non penetrabile. S’erano
quasi arresi quando si resero conto che man mano il sole saliva allo zenit, la
nebbia si faceva meno densa e sempre più trasparente: allora si sedettero ed
attesero.
Apparve la sagoma di una torre a base quadrata posta
nel bel mezzo della valle, ai lati niente gallerie, niente treni, nessun
animale feroce o degenerato.
Quando la nebbia si dissolse del tutto videro
distintamente un prato verde perfettamente rasato con milioni di piccoli fiori
colorati e poi farfalle, le bellissime farfalle mutanti che danzavano su di
esso, ed anche alcuni cespugli rotolanti che senza un filo di vento rotolavano
lentamente in direzioni apparentemente casuali su questo set che era verde e
non desolato, sì che sembravano proprio fuori luogo, ma c’erano.
-
E’
una meraviglia.
-
Non
possiamo andare oltre c’è stato vietato.
-
Ma
sembra tutto tranquillo.
-
Però
è una zona mutevole.
-
Tutto
potrebbe essere un’illusione.
-
Veramente
gli strumenti indicano che tutto quanto è reale: il prato, i fiori, le
farfalle, i cespugli ed anche quella torre nera la nel mezzo. E’ fatta di
pietra.
-
Va
bene, registriamo tutto, arriviamo fino alla torre, poi si ritorna indietro.
A passo di scampagnata riprendendo tutto con le
telecamere come gli antichi turisti giapponesi, giunsero alla torre. Era di
pietra, immensa e nera, nera più della pece, senza aperture, se non molto in
alto. Era fredda ed inquietante anche al tatto.
Su un lato era tracciata una croce, forse con un
coccio di mattone. Anche il silenzio era inquietante, girarono attorno alla
torre nera poi tornarono sui loro passi, raccolsero la strumentazione, richiusero
il portale energetico e risalirono sulla bolla. La notte stava iniziando e le
farfalle erano scomparse, in cielo le due lune brillavano di luce rossastra,
Luna, la più grande era solo una sottile falce, Augusta, la più piccola era
demone.
87° PIANO
Francois era ancora con Flavia, si incontravano
spesso e le stava chiedendo cose per lui importanti, voleva sapere da dove
venissero e che cosa nella realtà fossero. Tra l’altro sia Flavia che Tilde o
Barbi, rispondevano sempre con sincerità alle sue domande, non è però che
aggiungevano molto a quello che lui chiedeva.
-
Insomma
io non ho ancora capito chi siete, sembrereste umane perché a tutte e tre vi
piace far l’amore con me, ed ogni tanto anche con qualche altro, ma lo siete
veramente?
-
In
parte.
-
Cosa
significa?
-
Che
siamo state programmate come umane.
-
Flavia
comincia dal principio e spiegami.
-
Va
bene, esistono delle intelligenze non corporee che però hanno appendici solide
ed operanti. Mi spiegherò meglio usando i termini di alcuni scrittori: c’è un tecno-nucleo
potentissimo costituito da intelligenze artificiali, intelligenze meccaniche
evolute e divinità ancestrali. Il tecno-nucleo è potentissimo e domina su tutte
le realtà conosciute, è un’entità unica, ma ha anche individualità distinte.
Noi siamo l’emanazione fisica di una stessa unità del tecno-nucleo, ma anche
noi siamo individualmente senzienti.
-
Ma
siete sempre in contatto con la vostra unità?
-
Si
anche se, se vogliamo possiamo isolarci.
-
Il
tecno-nucleo è unito?
-
Abbastanza,
ci sono differenze e diversità ed alcune entità non ne fanno parte, se ne
stanno da sole nelle loro speculazioni: chi medita continuativamente, chi si
diverte a fare il dio da qualche parte, chi fa l’immortale tra gli esseri
senzienti, chi viaggia senza fine per scoprire i limiti degli universi.
-
Va
bene così per oggi ho appresa a sufficienza, ma torneremo sull’argomento.
-
Dimenticavo:
Barbi e Tilde ci stanno aspettando.
-
Dove?
-
In
un luogo unico.
-
Ci
andiamo?
-
Ho
da sbrigare alcune cose, dammi cinque minuti di tempo, poi partiamo.
Flavia si alzò dal grande
divano ove avevano fatto l’amore e dicendogli “andiamo qui” lasciò cadere
addosso a Francois un pieghevole di carta patinata con foto a colori. Lui lo
prese e cominciò a leggere:
“World Trade Center, ubicato tra Church,
Vesey, West e Liberty Street, venne edificato a partire dal 1966 su di un’area
dismessa di 6,5 ettari in riva al fiume Hudson (North River) e fu inaugurato
ufficialmente il 4 aprile del 1973. Questo complesso edilizio, che appartiene
alla Port Authority of New York and New Jersey, nacque al fine di attirare le
compagnie internazionali nel settore meridionale di Manhattan (Downtown), cui
all’epoca veniva preferita la parte centrale dell’isola (Midtown). Gli inizi
furono difficoltosi e, per evitare un disastro finanziario, lo Stato di New
York si vide costretto ad affittare la maggior parte degli stabili. Oggi però
il World Trade è un centro d’affari molto attivo in cui hanno sede 500 società
internazionali, tra cui organizzazioni commerciali, banche, agenzie assicurative,
ditte immobiliari, imprese di spedizioni e istituti scientifici, e dove
lavorano ca. 50.000 persone. L’area è inoltre un significativo polo di
attrazione turistico,
meta quotidiana di oltre 80.000 visitatori.Questo centro del
commercio internazionale, progettato dagli architetti Minoru Yamasaki ed Emory
Roth, comprende diversi edifici disposti attorno a una piazza centrale, la
Austin J. Tonbin Plaza, ornata da una fontana e da imponenti sculture moderne
come il Globe in bronzo del tedesco Fritz Koenig (1968-71), l’Ideogram in
acciaio di James Rosati (1967-73) e una statua astratta in granito del
giapponese Masayuki Nagare (1967-72). Motivo dominante del complesso sono le
Twin Towers (chiamate One WTC e Two WTC), i due grattacieli più alti di New
York (420 m, 110 piani, oltre 100 ascensori ciascuno) e, dopo le Sears Towers
di Chicago, di tutto il mondo. Eretti nel 1973, si innalzano su di una pianta
quadrata il cui lato misura 63 m e poggiano su fondamenta che penetrano per 21
m. di profondità nella roccia di lavagna; le facciate (con ca. 43.000 finestre
larghe appena 55 cm) sono in fasce d’alluminio e avvolgono uno scheletro composto
da spesse colonne d’acciaio.Per edificare le Twin Towers, che all’altezza dei
primi 21 piani si stagliano su speroni goticizzanti di 12 m. furono necessarie
quasi 180.000 t d’acciaio e 4.800 km di cavi elettrici. Il 107° piano del Two
WTC, raggiungibile in ascensore in soli 58 secondi, ospita una mostra sulla
storia del commercio e dispone di un observation deck coperto da cui si può
ammirare un suggestivo panorama dell’intera New York. Salendo, sempre in
ascensore, al 110° piano si raggiunge il tetto del grattacielo; qui è ubicata
la Rooftop Promenade, una piattaforma panoramica all’aperto, non accessibile
però nelle giornate di forte vento, da cui si può godere la vista “più alta” di
tutta New York. Analoga opportunità offre il ristorante Windows on the World
(Finestre sul mondo), sito al 107° piano dell’One WTC. L’atrio di questo
grattacielo è inoltre decorato da un rilievo ligneo di Louise Nevelson (Sky
Gate, 1977-78). Il piano sotterraneo delle Twin Towers, dotato di una stazione
della metropolitana e di una galleria commerciale con 70 negozi, fu bersaglio,
nel 1993, di un attentato dinamitardo degli integralisti islamici che provocò
sei morti e ingenti danni all’edificio. In memoria delle vittime
dell’attentato, rivolto contro gli uffici del governo federale siti nel
complesso, venne eretto un monumento nella piazza centrale. Attorno alla piazza
sono ubicati anche il Southeast Plaza Building, che ospita al 9° piano la Borsa
delle materie prime e l’edificio in cui ha sede la Borsa delle merci, e il
Northeast Plaza Building. Sul lato rivolto al fiume le Twin Towers sono
affiancate dallo United States Customs Building, edificio di otto piani in cui
si trova la sede della dogana. A sud si eleva quindi il Vista International
Hotel, costruito nel 1971 su progetto di Skidmore, Owings e Merrill.”
Aveva appena terminato la lettura che
Flavia arrivò chiedendogli se era pronto, e senza attendere la sua risposta
salì sul divano addosso a lui e quando lui dopo un attimo si guardò intorno
s’accorse che non erano più nella cupola ma in una grande stanza con finestre
lunghe e strette che davano su un meraviglioso panorama da una grande altezza.
-
Siamo su una delle torri gemelle, vero?
-
Si, il depliant era chiaro?
-
Chiarissimo.
Dall’altra stanza arrivarono Tilde e
Barbi, sempre sorridenti e cominciò un chiacchiericcio tra loro tre. Francois
si chiedeva, meno male che sono emanazione della stessa entità, se fossero
totalmente distinte forse non si cheterebbero mai.
-
Certi che siamo alti quassù.
-
Siamo all’87° piano.
-
E’ vostra questa enorme mansarda?
-
No l’abbiamo affittata solo per oggi, tanto tra
non molto ce ne andremo.
-
Perché?
-
Lo vedrai da te.
-
Piazziamoci alle finestre.
-
No c’è tempo ancora per uno champagne.
-
E’ Krug, era nel frigo.
-
Un affitto di lusso.
Bevvero lo champagne ghiacciato al punto
giusto e spezzarono i calici gettandoli in terra dopo aver bevuto. Francois
guardò il locale ove si trovavano, sembrava fatto di tre salotti, uno più
elegante dell’altro.
-
Queste sono le finestre giuste.
-
Forza piazzatevi e state a guardare, poi ce ne
andremo.
-
Di gia?
-
Non credo sia produttivo rimanere più a lungo
del necessario.
-
Voi avete sempre furia.
-
Non è vero, abbiamo furia quando è necessario:
vogliamo giocare a STORIA e vogliamo documentarci, poi col computer vivremo
STORIA su questo tema.
-
Ma quale tema?
-
Manca meno d’un minuto, osserva.
Erano tutti davanti alle lunghe e strette
finestre ad aspettare chissà cosa…. Ed improvvisamente Francois vide sbucare
dal nulla un enorme aereo che velocemente s’avvicinava all’edificio e sempre
più s’ingigantiva fino a coprire l’intera finestra, a toccarla………
E con le altre tre si ritrovò nella
cupola sdraiati tutti sul divano che ancora una volta li aveva seguiti. Non si
era ancora ripreso dallo stupore? Spavento ? incredulità? Non lo sapeva neppure
lui, comunque non si era ancora ripreso che Tilde disse ora giochiamo a Tutto,
col computer creiamo la STORIA.
-
Ma quale storia? Dissi io, per oggi non abbiamo
visto abbastanza?
-
Senti qui:
feu approcher de la gran
cité neve
istant grand flamme
esparse sautera quand
on voudra des normans
faire preuve
- E che cosa sarebbe?
-
La
previsione di cosa sarebbe successo, e per renderti meglio l’idea ecco una
poesia scritta da un autore del ventunesimo secolo, che ha utilizzato solo
versi tratte dalle Centurie e dai Presagi di questo indovino che si chiamava
Nostradamus. Ascolta:
Fuoco color oro visto dal cielo
sulla terra, lanciato da una
nave aerea creerà stupore
spettacolo di morte
grande strage umana
la città a quarantacinque gradi
distrutta dal fuoco.
Nel mese di settembre
non lontano dall’anno duemila
nella nuova città degli inglesi
i dardi dal cielo compiranno
la loro duplice devastazione
santi simulacri bruciati in ardente torcia
parla la Morte: grande esecuzione.
Di fuoco volante la macchinazione
nella città di dio ci sarà un
incredibile tuono ed i due fratelli
saranno separati dal caos,
un terremoto di fuoco dal centro del mondo
causerà lo scuotimento delle due torri
nella nuova città, giochi d’ecatombe.
Chi era entrato uscirà solo per la tomba
due carri di fuoco volanti
bruceranno nel cielo, segno di strage
dal gran nemico dell’umano genere.
-
Ma
che casino successe?
-
Soprattutto
cosa poteva esserci dietro.
-
E
questa la STORIA?
-
E
questo il Tutto.
Alcune droghe girarono nella stanza mentre anche la
cupola si liquefaceva e le loro menti si unirono e poi si unirono ad una ancora
più grande e molto possente, e quando le identità di tutti furono dissolte la
storia ebbe inizio.
Il signore malvagio cammina inquieto nella sua casa: la Casa dei Morti. Gli occhi lampeggiano sinistri illuminando anche i suoi tirati lineamenti canini del volto, le lunghe orecchie vibrano e l’immensa aula rimbomba di questa vibrazione.
Il dio è adirato, l’uomo quella anormale creatura
dei pianeti Terra sta compiendo un atto sciocco e sacrilego degno della sua
immane superbia. “A tua immagine e somiglianza l’hai voluto” gli sussurra la
voce interiore dello scarso buonsenso ma lui superiore a tutto volutamente
l’ignora.
Il dio malvagio, signore della Casa dei Morti ogni
volta che osserva l’uomo, s’inquieta, questi stupidi esseri autonomamente
evolutisi dalla sua creazione sono ormai sfuggiti ad ogni controllo: molti
adorano altri dei come se non fosse stato lui a crearli, mescolano le razze che
lui aveva voluto divise. Adesso sui vari piani stanno costruendo due torri per
innalzarsi fino a lui. Il dio malvagio dal volto canino è adirato quanto non
mai e nelle sue immense aule scaglia ogni ricordo nelle pareti, infrangendolo.
Gli angeli neri, i suoi oppressi si sono da tempo
rifugiati nei labirintici sotterranei dell’enorme eremo, solo il suo servo
fedele, tremante lo segue ai suoi ordini. Ed il signore s’aggira ululando nella
sua Casa dei Morti.
Che qualcosa non vada ci se ne accorge pure
all’altra estremità dei luoghi creati, all’altro lato dei Mondi di Mezzo, ove
ad una distanza non calcolabile da mente umana sorge la Casa della Vita abitata
dal suo signore fin troppo affaccendato normalmente in questioni banali, ma per
lui, e forse per l’intero esistente, essenziali, quali il bello, l’estetica, la
danza, la poetica, i profumi, gli orgasmi……
Tutto questo ed altro ancora fa parte dei suoi studi
e delle sue attività quotidiane.
Ma il dio signore della Casa della Vita si è accorto
che una leggera onda nera sta attraversando l’infinito, una vibrazione
infernale lanciata dal suo eterno antagonista, lo stupido e malvagio cane che
dimora nella Casa dei Morti all’altro estremo dei creati, oltre i Mondi di
Mezzo.
Nella Casa dei Morti, nelle sue stanze tetre,
l’abominio dalla testa di cane, che è il suo abitante e signore scruta malevolo
l’ultima costruzione degli uomini.
Nella Mesopotamia sulle rive dell’Eufrate, gli
abitanti di Babilonia, la città fondata dal re Sargon di Accad, attraversando
il portale che li mena avanti nelle Terre di Mezzo, hanno consentito ai
cittadini di Sennaar di progettare due costruzioni, due torri gemelle che
s’innalzano fino a toccare i cieli. Per erigerle hanno lavorato genti
provenienti da ogni parte dei mondi e le due costruzioni si stagliano nel cielo
in molte delle Terre di Mezzo, cambiano le forme ed i luoghi, ma l’unico
progetto sta andando avanti. Vogliono coi loro fragili manufatti sfidare la sua
supremazia e snidarlo dalla Casa dei Morti. Progetto impossibile e assurdo, ma
soprattutto blasfemo nella sua ideazione.
In uno dei Mondi di Mezzo una delle torri già tocca
il cielo che in questo mondo è di luminosa roccia e gli uomini già hanno
iniziato a perforare la volta del loro mondo, chiamando schiere di minatori.
Perché meravigliarsi? Altri hanno descritto mondi in cui “il mare è sospeso
sulla volta, mondi costruiti in modo che avvicinandosi da qualsivoglia
direzione, si ha l’impressione che manchi completamente di terre emerse. Ma se
qualcuno discendesse al disotto del mare che lo circonda, emergerebbe dalla
parte inferiore delle acque ed entrerebbe nell’atmosfera del pianeta, scendendo
ancora giungerebbe fino alla terra ferma. Attraversandola arriverebbe ad altre
distese d’acqua; acque che lambiscono delle terre che si trovano sotto il mare
sospeso nel cielo. L’oceano scorre a centinaia di metri d’altezza. Pesci
luminosi vi nuotano dando l’idea di costellazioni in movimento: e sulla terra
al di sotto ogni cosa risplende.
Si è detto che un mondo come questo, con un mare
come cielo, non potrebbe esistere. Evidentemente chi ha fatto questa
affermazione si è sbagliato: ammettendo l’infinito, il resto è automatico.”
Dunque anche altri hanno parlato di mondi cavi, sotto la crosta uniforme pulsa un mondo luminoso, vivo e vitale. Si è detto che anche un mondo come questo, con la roccia come cielo, non potrebbe esistere. Evidentemente anche chi ha fatto questa affermazione si è sbagliato: ammettendo l’infinito, il resto come è già stato detto, è automatico.
Il cane, signore della Casa dei Morti è pervaso
dall’ira anche se sa che le due torri gemelle di Babele presto saranno da lui
distrutte: le osserva attentamente per godere ancor di più nel loro crollo che
si estende nello spazio e nei tempi.
Giunsero da tutti i mondi per edificarle, in qualche
luogo non sono ancora terminate, ma già nei piani ultimati sono abitate da
esseri dalle molteplici lingue, e da questi comunicano con le loro realtà,
ognuna nel suo tempo e nel suo pianeta, e da qui dirigono e comandano, mentre
dagli apici s’aspira a raggiungerlo. Le distanze per questi abitanti dell’aria
più non sussistono, le loro voci si spargono ovunque, ed anche il tempo è stato
frantumato sin dall’inizio dell’opera: ora esistono contemporaneamente in vari
mondi ed in vari tempi. I costruttori di Babele furono sicuramente geniali.
E il cane, signore della Casa dei Morti, osserva
quale dio malvagio il branco di babilonesi superbi ed infedeli che ostentano la
loro opulenza, si sentono piccoli dei loro stessi o adorano gli altri dei non
lui che gli fu creatore. Adorano pure, massima infamia! l’abitante della Casa
della Vita, il suo eterno oppositore ed antagonista, che vigila all’altra
estremità dei Mondi di Mezzo che esistono solo grazie a questo equilibrio.
Due enormi carri di fuoco sono allestiti nella Casa
dei Morti dal servitore del cane, sono guidati da fedeli già morti e
all’interno dei carri da altri esseri rianimati a caso prelevati nelle cripte
della Casa e da alcuni demoni inferiori a garanzia che la distruzione avvenga
totale.
E ad un cenno del cane il suo servo lancia i due carri che partono attraversando il vuoto e s’immergono negli spazi dei Mondi di Mezzo: si dividono quanti sono i mondi da colpire, individuano i due obiettivi e prima uno, poi l’altro si schiantano contro le torri brulicanti di vita.
Il signore della Casa dei Morti osserva la
riproduzione olografica multipla del suo attacco infernale: attraverso i vari
piani temporali i due carri mutano forma, per un attimo sono come siluri per
meglio penetrare l’atmosfera d’acqua, ed ancor più affusolati per perforare
quella di roccia. I carri si mutano anche in grandi uccelli meccanici carichi
di distruzione e di morte e leggiadri volteggiano attorno alle torri mentre musiche
d’organi accompagnano il ballo di morte nelle aule della Casa dei
Morti ed il cane danza in preda ad un’ossessione
parossistica di vittoria e prepara le aule che accoglieranno i nuovi arrivati
nella sua casa e li congeleranno per l’eternità sotto i suoi appartamenti. Guarda e riguarda più volte le scene
multiple che si sovrappongono ai lampi di paura e di dolore e d’incredulità
degli stupidi mortali.
Gli occupanti delle torri, nei vari mondi e nelle
varie epoche, che non si capiscono con le loro svariate lingue, si rovesciano
fuori dei loro abitacoli o attendono seduti la morte. Imboccano le rampe delle
scale o precipitano nei vani divenuti abissi degli ascensori, bruciano mentre
il fuoco liquido invade le due torri. Solo alcuni riescono a fuggire dalle
trappole, molti muoiono bloccati nei piani più alti poi tutti vengono raggiunti
dal crollo delle torri che una ad una collassano e molti non riescono più ad
imboccare le giuste uscite. Ed il cane riguarda le sequenze all’indietro e le
fiamme e l’impatto sia dei carri di fuoco che degli uccelli di metallo e poi le
fiamme ed ancora il collasso della prima e poi della seconda torre e gli uomini
che gridano dalle strette finestre intrappolati nella loro amara sorte o che
volano come angeli caduti spiaccicandosi sull’asfalto delle strade ormai simili
a campi da battaglia e la musica ossessiva e le sequenze ritmate armoniche
perfette, la nuvola di fumo, la polvere… orgasmi multipli colgono il cane,
maledetto, infernale, signore della Casa della Morte.
Poi si sdraia soddisfatto, dopo tanto tempo si sente
appagato, è supino sul proprio letto felice d’aver compiuto un atto per lui
giusto nei confronti dei superbi babilonesi e mentalmente rivede i corpi mentre
esplodono o bruciano o volano nel vuoto o sono calpestati fino alla loro fine o
schiacciati dalle macerie.
Dall’altro lato degli universi, oltre i Mondi di
Mezzo, il dio che abita la Casa della Vita osserva con occhio ben diverso le
stesse scene che si stanno svolgendo sulle Terre di Mezzo nei vari luoghi e tempi.
I due carri infuocati che portano morte
e dolore e distruzione. Tutta l’intera Casa della Vita è turbata da
questo atto di pura malvagità compiuto dall’antagonista, dal cane. Il Signore
che l’abita si rivolge a Tifone perché s’adoperi a ristabilire i bilanciamenti:
i Mondi di Mezzo esistono solo se le due case stanno in equilibrio. Tifone
comprende ed orgoglioso del proprio incarico vola verso i Mondi di Mezzo,
questa volta il cane che abita la Casa di Morte s’è spinto troppo innanzi.
Il cane intanto si rivolge al suo fido servitore, un
essere che un tempo fu un uomo, ma ora che da migliaia d’anni fedelmente lo
serve non sa più neppure lui se è un demone o qualcosa d’altro. Si rivolge al
servo, l’unico che non s’era rifugiato nelle segrete della Casa, e gli chiede
di portare davanti a lui le schiere dei babilonesi uccisi.
Il servo fa un cenno con la testa e scende nelle
aule dei morti, col suo magico bastone richiama al movimento coloro che sono
appena giunti immoti e gli intima di seguirlo: “l’uomo li guida: Guida i
morti che ha richiamato al movimento, e loro lo seguono. Lo seguono lungo
corridoi, gallerie e saloni, su per ampie scale diritte, e giù per strette
scale a chiocciola, giungendo infine nella grande Sala dei Morti, ove il
signore giudica. Siede su un trono di pietra nera levigata; alla sua destra ed
alla sua sinistra, in due bracieri di metallo ardono alte fiamme. Su ognuno dei
duecento pilastri che circondano la grande sala, brilla una torcia, il fumo
denso s’avvolge a spirale verso l’alto soffitto e diviene parte della grigia
nube spiraliforme che lo ricopre.”
Immobile e finalmente soddisfatto il cane guarda
colui che fu un uomo giungere nella sala seguito da diecine di migliaia di
umani silenziosi. I suoi occhi lo fissano approvanti, rossi come rubini,
abbassa poi il nero muso su cui spiccano le zanne abbaglianti. La vita, se
questa è vita, continua a scorrere nell’oscurità della Casa dei Morti, il cane
è ignaro che Tifone, il vendicatore, s’avvicina sempre più alla sua dimora.
Francois, Tilde, Flavia e Barbi si ritrovarono al
rientro dalla Storia, istantaneamente nel bel mezzo della strada, con tanto di
divano, a Manhattan pochi minuti dopo il crollo della prima torre. Sembrava uno
scenario di guerra dopo un violento bombardamento. Detriti, macerie, cadaveri,
una nube soffocante di pulviscolo copriva tutto col suo manto grigio. Nessuno
sembrò badare a quel divano in mezzo alla strada con sopra alcuni esseri umani,
il colore era grigio uniforme. Persone attonite s’aggiravano nel grigio
scenario quasi indistinguibili dagli oggetti che rotolavano, cadevano,
bruciavano.
I nostri quattro viaggiatori trasfigurati anch’essi
in statue di sale si presero per mano, formarono un circolo e subito dopo
flipparono al sicuro nella cupola d’argento, mentre una donna in fiamme cadeva
sull’asfalto a pochi metri da loro.
-
Cazzo
che casino.
-
Fu
un atto di guerra
-
Pazzesco,
non avevo mai visto niente di simile
-
Quanti
morti è costato?
-
Diecimila,
ventimila forse, chi può dirlo?
-
E
chi fece una strage del genere?
-
Dei
pazzi islamici, dei fondamentalisti che volevano istaurare sulla Terra il regno
d’Allah col terrore.
-
Non
pensiamoci più. Ma questa è Storia? abbiamo fatto un viaggio nel tempo, oppure
era il Gioco?
-
Fa
differenza?
-
Non
lo so più.
-
Francois
perché non resti con noi?
-
Possiamo
fare una gita.
-
Un
po’ più tranquilla dell’ultima però, meno violenta.
-
Sì
possiamo recarci in uno di quei mondi tutti pace, amore e tranquillità.
-
Perché
no?
-
Ma
ci sono?
-
………………
-
Avrei
un’idea.
-
Dilla.
-
Andiamo
nel mondo degli Archivisti?
-
Gli
Archivisti?
-
Sono
quelli enigmatici che scendono sui pianeti e numerano e catalogano ogni
manufatto, e poi se ne vanno.
-
E
lasciano tutti perplessi.
-
Quelli
che hanno numerato anche i manufatti nell’Opificio?
-
Proprio
loro e girano l’universo per catalogare tutto.
-
E
perché?
-
Chi
lo sa, lo hanno sempre fatto e non comunicano mai. Fanno le loro cose senza
danneggiare niente e via… verso altri mondi.
-
E
da dove provengono?
-
Hanno
insediamenti sparsi ovunque, ma il loro mondo d’origine è facilmente
raggiungibile.
-
Ed
è un mondo molto bello, tutte sfumature tra il verde ed il rosa, tantissimi
piccoli animali volanti, tutti innocui. E loro, gli Archivisti, sono delle
colonne di vapore, alte non più d’un metro e vivono in colonne trasparenti di
cristallo che rilucono ed assumano sfumature color oro. Un panorama che è
n’autentica meraviglia, anche se loro ci ignorano completamente.
-
Fantastico!
M’avete convinto, quando ci andiamo?
-
Uno
di questi giorni, va bene?
-
Si
perché a me ci vuol qualche giorno per riprendermi dall’ultimo pic-nic. E poi
quando partiamo voglio munirmi di coloranti spray, voglio numerare le loro
colonne…
-
Sei
matto…
-
No,
parlo sul serio, chi di numerazione ferisce di numerazione perisce.
-
Di
fori…
-
Cambiando argomento, la Storia v’ha mangiato
il divano, non è rientrato con noi.
-
Per
forza c’era caduto sopra un blocco di cemento, il divano s’è completamente
sbriciolato, non ve ne siete accorti?
-
No.
-
No.
-
Prima
di venire dovrai indossare una metapelle.
-
Una
metapelle? Cos’è?
-
La
guaina che noi portiamo e che secondo te ci rende belle e seducenti.
-
La
vostra pelle lucida, la biomuta?
-
Sì,
per la tua pelle l’atmosfera di quel pianeta è tossica, con la muta non avrai
problemi. Quando si torna potrai levartela, se non ti piace, oppure tenerla per
sempre come facciamo noi.
-
Ci
penserò su.
-
Pensaci,
ma intanto preparati ad indossare una muta.
-
Va
bene domani?
-
Naturalmente.
-
Ora
devo tornare a Teoro.
-
La
famigliola t’aspetta?
-
……………………..
-
A
domani, allora.
L’indomani Francois giunse con la sua bolla alla
cupola e Tilde lo stava aspettando tra le aiole di rose e le farfalle mutanti.
-
Sei
pronto ad applicarti la muta?
-
Sono
venuto apposta.
Entrò nella cupola e si spogliò completamente, poi
Tilde gli fece infilare i piedi in un nastro circolare che era poggiato sul
pavimento. Il nastro sembrò alzarsi nell’aria, ma invece si trasformò in un
cilindro trasparente che rinchiudeva Francois. Il cilindro si riempì di gas,
lui perse conoscenza mente biochip di varia natura iniziarono il loro lavorio
sulla cute. Quando ogni attività nel cilindro fu terminata, i gas si dissolsero
e la colonna collassò su se stessa fino a ridivenire un sottile nastro
circolare.
Tilde prese il nastro da terra e lo avvolse più
volte su se stesso, poi lo chiuse in una minuscola scatola metallica. Francois
intanto azzardò i suoi primi passi ed alquanto frastornato si pose davanti ad
uno specchio tentando di mettere a fuoco la vista per ammirare la sua nuova
pelle lucente.
-
Se
vuoi te la tolgo, ma ti consiglierei di tenerla sempre come facciamo noi, è
molto protettiva.
-
In
effetti è bellissima, direi che mi dona.
Fece per rivestirsi ma si accorse che gli abiti gli
arrecavano fastidio, allora se li tolse di nuovo e cominciò a passeggiare in su
ed in giù per la stanza.
-
Ora
capisco perché voi ragazze andate sempre a giro così.
-
Così
come?
-
Nude!
-
Non
siamo mai nude, la muta ci ricopre e ci protegge.
-
Mi
sa che comincerò anch’io ad andare in giro così, sembro un dio, chissà a Teoro
cosa ne penseranno.
-
La
cosa t’importa?
-
Neanche
un po’.
Disse Francois ed afferrando Tilde mormorò “L’ho
creata io, Teoro” e con lei avvinghiata si rotolò sul morbido pavimento. Fece
sesso con la muta su un nuovo divano, pensando fanno presto queste qui a far
compere, e si accorse che il sesso così era ancor più soddisfacente e fu sicuro
che quella bella pelle non se la sarebbe più tolta.
Quando ritornò quella sera a Teoro con gli abiti in
una borsa e con la pelle lucida come quella delle dee ci furono molti
pettegolezzi ed un po’ d’ilarità. Rezia gli chiese se avesse intenzione di
trasferirsi definitivamente nella cupola, ma lui disse di no, spiegò che la
muta era un regalo necessario poiché dovevano recarsi in un posto ove la muta
sarebbe stata indispensabile per la sopravvivenza. La rassicurò che niente era
cambiato e che sarebbe rimasto a Teoro con lei e il bambino.
LA NEBBIA NERA
Giunse intanto notizia che un’oscurità impenetrabile
aveva avvolto un avamposto a circa duecento chilometri da quella che fu la base
iniziale e Francois partì con una squadra speciale d’investigazione e di pronto
intervento organizzata in tutta fretta dall’Università. Giunsero veloci con le
bolle nel luogo indicato e si trovarono immersi in una nebbia che oscurava ogni
cosa. Due coloni erano morti per soffocamento e questo lo appresero solo al
loro arrivo. La squadra s’accinse pertanto ad analizzare il fenomeno con tutte
le cautele che il caso richiedeva, scandagliando il terreno trovarono la causa
scatenante di tutto questo. Un antico serbatoio pieno di chissà diavolo cosa,
era esploso e dal sottosuolo, ove si trovava aveva prodotto delle esalazioni di
vapori tossici. Queste esalazioni mescolandosi con l’atmosfera avevano generato
la nube tossica che aveva causato l’oscuramento della luce e la morte dei due
coloni.
L’utilità della nuova muta di Francois fu subito
messa alla prova, il gas tossico non aveva alcun effetto su di lui, poté così
penetrare nelle aule del sottosuolo, individuare la cisterna che aveva causato
il disastro ed isolarla di nuovo con apposita schiuma sigillante. Pian piano i
vapori che assorbivano la luce si dissolsero e tutta l’area tornò normale.
-
Sarà
meglio che una squadra dell’Università controlli meglio quella cisterna, per
svuotarla del tutto e neutralizzare il suo contenuto. Ora avete il serbatoio
sigillato, i campioni e tutto il resto. Il compito è vostro.
La squadra tornò indietro e Francois sempre più
accrebbe la sua fama di gran saggio del luogo e di conoscitore d’ogni segreto
dell’Opificio. Ma quest’ultima affermazione era vera fino ad un certo punto.
Francois provò più volte a rimettersi gli abiti, ma
con essi si sentiva sempre più a disagio ed anche un po’ ridicolo, infine si
rassegnò: la muta scintillante era proprio incompatibile coi capi di vestiario.
Avrebbe potuto farsela togliere, ma questo non l’avrebbe mai fatto, ne era più
che sicuro: la muta dava una resistenza ed una sensazione di sicurezza e di
protezione alla quale non avrebbe sicuramente voluto rinunciare. E poi, chissà?
Adesso erano in quattro nell’Opificio con le mute, poteva darsi che prima o poi
la cosa divenisse normale e che tutti l’indossassero, tra l’altro il Professore
s’era fatto spiegare per filo e per segno come gli era stata applicata, aveva
anche prelevato un microscopico frammento della sua muta per analizzarla. Era
riuscito a capire il motore ad antigravità, sicuramente sarebbe entrato anche
nel segreto delle mute.
-
E’
scoppiata una confusione pazzesca nel settore 98.
-
E
quando scoppia del casino chiamano sempre noi.
-
Si
rivolgono all’Università perché non rispettano le norme di sicurezza, mai!
Vanno avanti ad esplorare come se qui fosse tutto normale, invece non hanno
ancora capito che di normale non c’è niente.
-
Ma
insomma cos’è successo?
-
Hanno
trovato un magazzino con una catasta di cose strane e si sono messi a
curiosare.
-
Morti?
Feriti?
-
No
ma sono schizzati tutti di cervello e non ci si capisce più niente.
-
Ma
cos’hanno comunicato.
-
Che
hanno trovato una catasta di “odradek”
-
E
che cazzo sono?
-
No
lo so, ma ne parlavano come se li conoscessero bene.
-
Hai
avvisato il Professore?
-
No,
è in giro con Federica e Tabitha ed ha il cellulare spento, credo che siano
andati a quell’altro villaggio, quello che via mare s’è messo in contatto con
noi.
-
E
Francois?
-
E’
partito con una delle dee per il pianeta degli Archivisti.
-
Archivisti?
-
Sì,
quelli che hanno numerato tutte le ciminiere.
-
Non
ne so nulla, qui ci perdiamo sempre delle puntate.
-
Dobbiamo
arrangiarci, guardiamo sui banchi memoria cosa cazzo sono gli “odradek”
* Secondo Emrich la parola
odradek sarebbe legata allo slavo odraditi che significa “sconsigliare,
dissuadere”. L’elemento tedesco consiste nel fatto che la radice slava “rad”
deriva dal tedesco “rat” che significa “consiglio”; perciò Odradek sarebbe un
essere che sconsiglia qualsiasi tentativo d’interpretazione. Backenkohler ha
proposto l’interpretazione di un “ piccolo essere aldilà dell’ordine” che non
si lascerebbe catturare nella parola scritta:rad = ordine, regola / radek = riga, filo; il
prefisso od = lontano da. Secondo Kafka in “Gli affari del padre di
famiglia” è definito come un rocchetto di filo piatto a forma stellare, al
centro della stella esce un bacchettina trasversale alla quale se ne unisce
un’altra ad angolo retto:con l’aiuto di quest’altra da una parte e di una delle
sezioni della stella dall’altra, tutto il congegno riesce a reggersi in piedi
ed a muoversi, come su due gambe. E’ estremamente veloce e sfuggente e se ne
rinvengono in solai, per le scale, nei corridoi e negli ingressi. Talvolta
interrogato risponde, ma solo a domande molto semplici.*
-
Ma
che cazzo ci sta dicendo il computer?
-
Ci
sta dicendo quello che ha nei suoi banchi memoria.
-
Ma
è tutta una follia.
-
Sai
che tipo d’oggetti hanno trovato?
-
No,
non me l’hai ancora detto.
-
Dei
rotoli di filo d’ottone, ammonticchiati, i rotoli poi ad una ulteriore analisi
erano fatti a stella ed avevano dei fili che spuntavano dritti, poi hanno
cominciato a camminare ed infine a schizzar via da tutte le parti. Gli studenti
che hanno fatto la scoperta sono rimasti soli nel magazzino, alcuni un po’
contusi perché urtati dai rotoli metallici, ed hanno cominciato ad accusare
disturbi mentali, tipo allucinazioni, distonie temporali, ecc.
Ed ora sono tutti lì accatastati e tremanti che aspettano che
qualcuno li vada a
prendere.
-
Ed
il nome, odradek chi l’ha tirato fuori?
-
Loro
hanno detto che gli odradek l’hanno assaliti.
-
Mandiamo
un gruppo di psicologi.
-
Non
sarebbe male controllare anche il posto.
-
Lo
faremo, ma gli odradek ormai sono tutti scappati, chissà forse erano lì chiusi,
magari perché qualcuno li aveva stoccati: ora se è vero quello che dice il PC
ce li ritroveremo in casa.
-
O
forse erano un gioco per ragazzi.
-
Perché
no? Scommetto che hanno pure il marchio di fabbrica: AZULH®!
Al ritorno dal loro viaggio con Tabitha, il
Professore e Federica si recarono alla cupola con la loro bolla volante e
trovarono Barbi intenta a potare alcune rose. Entrati nella cupola le chiesero
se anche loro due potevano avere una muta.
-
Non
è riuscita a riprodurla Professore?
-
No,
sono appena arrivato a capire come funziona, la tecnologia che ho a
disposizione non mi permette di realizzarla.
-
Se
volete io posso applicarvela, lei Professore avrà tutto il tempo per studiarla
e forse un giorno riuscirà anche a duplicarla.
-
Ci
credo poco, sono abbastanza in su con gli anni.
-
Ma
con la tuta questi problemi spariscono.
-
Lo
immaginavo, un motivo in più per averla.
Così Barbi li fece spogliare e da una scatoletta
metallica estrasse due nastri circolari, li posò in terra e disse loro di
mettersi nei circoli. Dai due nastri s’innalzarono colonne trasparenti e loro
restarono all’interno delle colonne che si riempirono di gas che divennero
sempre più fluidi facendo loro perdere la conoscenza. Quando i gas si
dissolsero e le colonne collassarono fino a ridivenire due nastri, entrambi avevano
la pelle lucente.
Barbi mise al collo del professore una sottile
catena d’oro che terminava con una medaglia nella quale era incastonata una
pietra preziosa.
-
Vi
sono dei biochip nella pietra, pian piano ti metteranno in contatto col
tecno-nucleo, tanto sei tu lo scienziato del gruppo, è giusto che tu abbia il
collegamento come noi lo abbiamo.
Il Professore ringraziò ed assieme a Federica tornò
alla bolla. Si erano rivestiti entrambi, ma dopo poco si resero conto che
avrebbero dovuto andarsene in giro come le dee e Francois.
- Diventerà un moda! Esclamò ridendo Federica,
mentre si toglieva gli abiti.
Intanto Tilde, Barbi e Flavia s’erano radunate
all’interno della cupola e stavano sorseggiando un bevanda simile al tè.
Flavia raccontò della sua gita con Francois sul
pianeta degli Archivisti e le altre la subissarono di mille domande.
-
Secondo
me è giunta l’ora di lasciare questo posto.
-
Penso
anch’io che il Gioco e le Storie siano terminate.
-
Tutte
nella mia isola allora?
-
No,
è più banale che qui?
-
Se
volete tornare all’uno nel tecno-nucleo, vi avverto che io non vengo. Mi piace
l’individualità.
-
Ma
che ti viene in mente? Non ci pensiamo nemmeno.
-
Il
nucleo poi è anche troppo freddo.
-
Qui
abbiamo conosciuto il sesso.
-
Il
sesso è uguale dappertutto.
-
Possiamo
allora cambiare sesso ed andare su una Terra ad alta tecnologia.
-
L’alta
tecnologia porte sempre a dei casini.
-
Immaginiamo
un mondo diverso, completamente diverso da quelli che abbiamo visto fino ad
oggi, ed anche differente da quelli conosciuti nei banchi memoria, e
trasferiamoci lì.
-
Fate
pure, ma io resto qui.
-
Flavia,
ma che dici?
-
Questa
è una discarica.
-
Non
sarà mica per via di Francois? Possiamo portarlo con noi, oppure sai quanti
Francois puoi crearti con l’arte del sogno?
-
Il
fatto è che questo mondo mi piace, non l’abbiamo programmato noi, l’abbiamo
trovato così, è pieno di novità, di misteri. Possiamo modificarlo. È
divertente. E poi è vero, mi piace
anche Francois, ma voi partite pure, tanto saremo sempre in stretto contatto.
E Tilde e Barbi sognarono assieme un nuovo mondo, un
mondo agricolo pieno di forme di vita senzienti, animali e vegetali. Entità che
andavano di comune accordo ed in simbiosi e quando tutto fu delineato, una
cupola argentea si materializzò su una superficie morbida, ma solida: era un
enorme fungo pensante, grande come una città, ed era ben lieto di ospitare la
cupola argentea sulla sua possente cappella. Chiamarono anche lo Stalliere che
era rimasto da solo ad accudire i cavalli nelle stalle della villa-fattoria.
La vita è un dono ed un obbligo ma contiene anche un
altro significato che deve per sempre rimanere elusivo. (Brian W. Aldis)
Il Professore e Federica erano rientrati dal
Villaggio al di la del mare, Leonelle era il suo nome e gli abitanti parlavano
tutti un francese molto simile a quello che era conservato nelle memorie della
biblioteca di Farvel.
Il Professore organizzò una riunione all’Università,
nell’Aula Magna per spiegare a tutti cosa aveva scoperto a Leonelle. Francois,
Carlos, Karin e molti trai nuovi studenti ed insegnanti erano giunti per
ascoltare questa interessante relazione, l’aula era colma di gente e molti
erano in piedi.
Il Professore ringraziò tutti gli intervenuti e si
rammaricò che quando teneva normali lezioni e conferenze il pubblico non fosse
altrettanto numeroso. Poi aiutandosi con immagini olografiche che si formavano
a fianco della cattedra, iniziò una dettagliata relazione.
Dapprima mostrò Leonelle vista dal mare, col suo
grande porto, poi la città che aveva scelto una via non tecnologica, un po’
come la Farvel d’un decennio prima. Si dilungò sulle grandi fattorie che
sorgevano attorno alla città e producevano grandissime quantità di prodotti.
Oltre le fattorie c’era il Muro, e lui si dilungò su questo. Gli abitanti di
Leonelle avevano infatti eretto il Muro in pietre e mattoni per separare la
zona da loro abitata e le fattorie dall’ex Opificio che si trovava alle loro
spalle, subito dopo le fattorie. Le Mura erano state innalzate per proteggere
gli abitanti soprattutto da due specie animali che lì abitavano ed erano
estremamente pericolose.
Gli ippogrifi: ed il professore li mostrò a
grandezza naturale col proiettore olografico, esclamazioni di “meravigliosi” e
“che belli” s’alzarono dal pubblico che osservava con curiosità questi grandi
animali, all’incirca il doppio d’un cavallo, muniti d’ali, di becco e
completamente piumati, con zampe poderose, quelle davanti simili a quelle
d’un’aquila e quelle dietro alle zampe di leone. Le piume di varie sfumature
dal rosso al marrone erano grandi nella parte anteriore e sulle ali e
rimpiccolivano sempre più fino a sembrare una folta peluria nella parte
posteriore dell’animale.
-
Bellissimi,
vero? disse il Professore, ma quelli selvatici sono eccessivamente paurosi e
quando hanno paura divengono estremamente aggressivi e pericolosi. Inoltre
girano in quella parte dell’Opificio in branchi di venti, cinquanta esemplari.
Gli abitanti di Leonelle ne hanno d’addomesticati, e quelli nati in cattività
sono gentili ed intelligenti, assai di più dei cavalli anche se il loro
comportamento è molto simile. Inoltre possono essere cavalcati e noi possiamo
volare sopra di essi. Sono animali fantastici!
L’altro animale per cui
hanno eretto il Muro è la Sfinge: una piramide grigia che può essere alta fino
a tre metri, che si muove sul terreno con estrema facilità dato che è formata
quasi esclusivamente di possenti fasce muscolari, compie balzi fino a quattro
metri, è onnivora, feroce, uccide anche per diletto, non solo per fame. Uccide
e mangia di tutto, basta che sia vivo: uomini, animali, piante……Non è
addomesticabile, non è quantificabile la sua intelligenza, sembra solo un
macchinario per la distruzione. E questo forse l’animale più feroce che sia
apparso sulla terra. Questa piramide è composta di fasce muscolari che
s’intrecciano lungo tutto il suo corpo, con orifizi che s’aprono
improvvisamente in ogni parte del suo corpo, nelle parti più impensate, e che
fungono da bocca, da ano o da organo riproduttivo. La cosa strana è che questo
mangiatutto ed assassino d’ogni forma vivente, uomo compreso, ignora
completamente gli ippogrifi.
E mentre tutti osservavano attentamente due Piramidi
olografiche che stavano brucando erba da un prato, il Professore continuò la
sua relazione spiegando che s’era accordato con le Autorità di Leonelle e
l’Università avrebbe dislocato un’unità di studio fissa per l’approfondimento
della conoscenza di queste due specie animali. L’avamposto sarebbe stato
ospitato in un fabbricato che si trovava oltre le Mura e che era stato reso
sicuro dagli animali e dagli altri pericoli dell’Opificio.
Durante la conferenza, quella sera stessa fu
costituita all’Università la sezione distaccata per lo studio degli ippogrifi e
delle sfingi e molti, soprattutto studenti si resero disponibili per quel
dipartimento. Intervenne Carlos e spiegò che la presenza dell’Università era
solo il primo passo, sì per lo studio delle due nuove specie animali, ma anche
per un cambio di mentalità degli abitanti di Leonelle, ricordate il passaggio
da Villaggio a Farvel? E anche un inizio di bonifica dell’Opificio aggredendolo
su un nuovo fronte. L’Università poi era sicura che a Leonelle molti giovani
sarebbero arrivati allo studio. Neppure andava trascurato l’aspetto
dell’amicizia tra le due città, tre considerando anche Teoro ed il futuro
imbocco, anche a Leonelle della via tecnologica. Inoltre a breve sarebbe stato
inaugurato un traghetto quotidiano che avrebbe collegato i due porti, di
Leonelle di Farvel. Il traghetto era già in fase di progettazione ed avrebbe
avuto un motore ad antigravità, avrebbe effettuato la traversata, volando a
qualche metro sopra il livello del mare con estrema sicurezza e velocità, solo
all’arrivo ed alla partenza sarebbe planato sul mare.
Supertecno era il nome che era stato dato al dipartimento
universitario che studiava le più avanzate scoperte scientifiche. Ed è a loro
che i bonificatori dell’Opificio avevano consegnato una cassa di plastica
rinvenuta durante gli scavi, contenente centododici paia d’occhiali marchiati
AZULH®. Occhiali esteticamente molto brutti a vedersi, con montature
bitorzolute e spesse lenti che non lasciavano intravedere niente al di fuori
d’alcune ombre in movimento. Ma dopo qualche minuto che erano stati indossati
cominciava a formarsi la visione, ma non era per niente una visione normale.
Per esempio se uno guardava all’esterno poteva vedere prima una nebbia
verdastra, poi le sagome del terreno, successivamente s’innalzavano delle linee
forza che assumevano poi le forme delle silouette delle costruzioni che in quel
luogo si erano susseguite ed ombre e movimenti così repentini che si
distingueva solo un tremolio di colori. Ma alla Supertecno avevano appurato che
con particolari esercizi mentali l’immagine degli occhiali poteva essere
fissata e si riusciva a bloccare lo scorrimento della scansione, così che
l’immagine scorreva a velocità normale avanti o indietro nel tempo a partire da
un punto zero.
Fu ritenuta una scoperta di grandissima importanza,
perché forse era plausibile inquadrare il passato ed il futuro d’ogni luogo.
Quando la scoperta fu illustrata al Professore, lui rimase abbastanza perplesso
e sollevò numerosi dubbi. Dubbi
che in seguito a studi più approfonditi si dimostrarono fondati.
Le visioni che gli occhiali davano erano quelle dei
passati e dei futuri probabili, perciò inutili per una scienza che ricercava
certezze. Invece che strumenti scientifici erano probabilmente dei giochi ad
alta tecnologia, forse erano come gli odradek: magia o tecnologia avanzata?
Quelli del Supertecno ebbero più fortuna con le
piramidi e gli ippogrifi, scoprirono infatti che erano stati costruiti con
l’ingegneria genetica e la cosa che suscitò non poche perplessità fu che
entrambi le specie avevano numerosi parti del codice genetico umano. Erano cioè
nostri lontani parenti, dei cugini di primo o secondo grado, se vogliamo.
Intanto anche per le strade di Farvel e di Teoro, ed
anche in aria, si cominciarono a vedere i primi ippogrifi domestici importati
da Leonelle. Se qualcuno invece avesse voluto vedere dal vivo le sfingi,
avrebbe dovuto prendere il traghetto quotidiano e recarsi alla facoltà
distaccata di Leonelle ove numerose sfingi se ne stavano in un recinto accudite
e sorvegliate dai guardiani.
“Non si sa mai! esclamò Ron guardando il libricino con apprensione “fra i libri confiscati dal Ministero… mi ha detto papà…ce n’era uno che ti bruciava gli occhi. E quelli che leggevano SONETTI D’UNO STREGONE dopo parlavano in versi per tutta la vita. Una vecchia strega che viveva a Bath aveva un libro che non si riusciva mai a smettere di leggere! Eri costretto ad andare in giro con il naso incollato alle pagine, cercando di fare tutto con una mano sola” (J.Rowling)
- E questo che pacco è? chi l’ha portato?
Domande senza risposta dato che Francois era solo nel suo studio e le aveva mormorate vedendo un involto che era stato lasciato in bella mostra sulla sua scrivania. Era foderato con carta marrone, quella tipica da pacchi, ed era fermato con dello scotch, appiccicato c’era anche un biglietto piegato. Francois lo staccò, l’aprì e lo lesse: era su carta intestata del dipartimento Supertecno e c’era scritto “ Caro Francois, sapendo di fare cosa gradita ti alleghiamo il presente libro. E’ stato recuperato nell’area 722/b dell’Opificio, un’area che sicuramente era adibita non ad attività produttive, ma o a centro residenziale o commerciale o di studio per umani e I.A. Quest’area, infatti, dopo la bonifica è destinata a divenire residenziale poiché è già praticamente predisposta per questo, basta solo ripulirla da tutto il ciarpame semidecomposto che c’è dentro. In una stanza colma d’apparecchiature informatiche totalmente fuori uso, abbiamo rinvenuto questo bel libro rilegato in pelle. Chi l’ha sfogliato per primo l’ha visto pieno di numeri e d’operazioni, così l’ha inviato alla facoltà di matematica dell’Università. I matematici l’hanno osservato a fondo e l’hanno visto sì zeppo di numeri, ma di quei numeri, che sembrano disegni, usati dagli Archivisti, così l’hanno mandato ad Archeologia Spaziale. Quelli d’Archeologia hanno pensato ad un errore perché il libro era rigurgitante di disegni tecnici, così l’hanno inviato ad Ingegneria, i quali, senza neppure aprirlo l’hanno mandato a noi. Quando noi l’abbiamo aperto il libro aveva tutte le pagine occupate da storie della Walt Disney. Lì per lì abbiamo pensato ad uno scherzo, ma poi accorgendoci che il libro non aveva né un inizio, né una fine, abbiamo prestato più attenzione all’oggetto e n’abbiamo ricostruito la storia dal momento del suo ritrovamento. Ne abbiamo parlato anche col Professore, il quale ci ha detto di mandartelo così ti saresti pure divertito. Se riuscirai a tirarne fuori qualcosa di concreto il Professore ti chiede d’avvertirlo subito. Buon divertimento. I tecnici del Supertecno.”
Francois lesse sempre più incuriosito il biglietto, poi scartò il pacchetto ed osservò attentamente il volume che conteneva: era molto bello e ben conservato, sembrava nuovo, rilegato in pelle marrone con qualche riflesso sul rosso, con pagine color paglierino. Cominciò a sfogliarlo ed all’interno lui trovò solo poesie: poesie scritte in italiano, in francese, in inglese, in tedesco, ed in molte altre lingue che lui non conosceva. Ce n’erano in alfabeto cinese o giapponese, non conosceva la differenza tra gli ideogrammi, sicuramente in arabo con tutti quelli svolazzi ed in hindi, o forse era sanscrito, poi in cirillico….
Cercò d’aprire la prima pagina per leggere l’intestazione del libro visto che sulla copertina non c’era scritto nulla, ma per quanto sfogliasse non riusciva mai ad arrivare al primo foglio: quando sembrava giunto a quello, ce n’era sempre un’altro, e poi un’altro ancora che si frapponeva all’inizio.
Il volume avrà avuto all’incirca cinquecento pagine, volle allora controllare l’ultima, ma neppure era possibile arrivare a quella, sempre nuove pagine si frapponevano alla fine del libro. Francois pensò a Borges che gli sembrava di ricordare avesse descritto qualcosa del genere in uno dei suoi libri e si ripropose di verificare la cosa. Intanto questo volume era un vero rompicapo, le pagine si autoreplicavano ed i contenuti variavano ogni volta che veniva aperto. Decise che ci avrebbe pensato su, per ora lo mise nella sua libreria accanto ad altri volumi che erano rilegati e della stessa dimensione. Ma prima di riporlo volle guardare attentamente la copertina in pelle, munito di un forte ingranditore si rese conto che si trattava di vera pelle conciata,ed in un angolo apparve una minuscola scritta stampigliata che non era visibile ad occhio nudo: AZULH®.
Quando alcuni giorni dopo lo riprese in mano per sfogliarlo, il libro era divenuto un testo d’arte, zeppo di riproduzioni a colori e disegni di dipinti famosi e sconosciuti, uno diverso dall’altro ed infiniti nella mancanza d’un inizio e d’una fine. Neppure erano cronologicamente sistemati, poiché gli stili si mescolavano casualmente senza alcuna logica apparente.
Altre volte lui aprì il volume, ed ogni volta presentava contenuti diversi: addirittura in una altra circostanza era zeppo di pentacoli magici e di strane iscrizioni fatte di simboli astrologici, alchemici e di rune. Questa volta Francois s’incuriosì e tantissimi fogli furono da lui fotocopiati. E proprio mentre fotocopiava l’ennesimo pentacolo con sotto le spiegazioni in quell’alfabeto arcano, Francois ebbe come un’intuizione, prese un lapis e scrisse su uno dei fogli tutta la storia del ritrovamento del volume, poi annotò anche sue impressioni su altri fogli, e mentre stava facendo questo mormorò tra sé e sé “il libro di sabbia” ed in quel momento, almeno per lui, il mistero fu in parte risolto.
Il tomo poi tornò, quasi dimenticato, nella libreria in casa di Francois, accanto ad altri volumi rilegati e delle stesse dimensioni. Fu sfogliato in altre poche occasioni ed in una di queste Francois si rese conto d’avere in mano una specie di dizionario, anche se i vocaboli erano poco consueti: baroons, baroops, baroopuro, ecc. Ma erano in ordine alfabetico, corse allora ad azulh e trovò il termine e sotto in grafia piccola una spiegazione (?) che subito fotocopiò: Azulh, demone serpente dell’antica tradizione caldea. Blrva feroce deputata all’involuzione dell’uomo mistico e dolorante.
L’ARCO IN PIETRA
Tutto è pieno di segni, ed è sapiente chi da una cosa
ne conosce un’altra. (Plotino)
Va ancora più avanti, passato il portale in pietra, come gli era stato suggerito da una bellissima stronza che ricorda appena. Ma sono libero? Si domanda angosciato, libero da quella fottutissima Hurruh o come cazzo la chiamano quegli alieni dei suoi abitanti. Un posto ove te n’accorgi subito che tutto è fasullo e sciroccato. Ma come c’è arrivato? Non se lo ricorda proprio e poi tutti parlano italiano e francese, lui con quelle lingue un po’ s’arrangia, ma solo non di più di un po’. E quando gli aveva fatto capire che parlava inglese, allora, di colpo sembrava che tutti l’avessero imparato. Ma era l’inglese delle elementari ad esser buoni, dire dell’asilo forse è più giusto.
E cerchi casa? Ecco la casa. La vuoi più ariosa? Eccola. Cerchi un telefono? E’ qui. Cerchi un bar? Dietro l’angolo. Vuoi scopare? Ecco da scopare. Una partita di calcio? Domani la giocano. Un cinema? E’ lì davanti. Un maneggio? C’è gia. Una piscina? Accanto al maneggio. E così via tutto quello che cerchi lo trovi e se non c’è te lo procurano per il giorno dopo. Ma è tutto falso, sembra d’essere in un set di un film, e poi quegli strani bambini che dà l'impressione che con gli occhi ti trapanino il cervello. E gli automezzi, a che servono? Con strade (una strada) che si snoda ad anello. Vuoi andartene? Ma perché qui non ti trovi bene? Cosa ti manca? Chiedilo e lo procuriamo.
Si sta bene un cazzo! siete tutti sbiellati, anzi è il posto ad essere sbiellato e come la mettiamo con quelle costellazioni tutte sballate, ci sono pure due lune in questo posto di merda, ma cosa significa tutto questo e come ho fatto a capitare qui? Io tutto casa ed ufficio, moglie ed i miei due figli, la mia realtà dov’è sparita? Voglio tornarci, questo per me è un incubo, dorato quanto vi pare, ma è un incubo: forse sono morto e questo è il mio inferno?
A furia di sentire i miei lamenti la bellissima m’ha detto di seguire il sentiero per una diecina d’ore, poi sarei arrivato all’arco, un portale di pietra antica, impossibile non scorgerlo “passaci sotto e tornerai da dove sei venuto…forse”, sì piano piano mi sono accorto aveva aggiunto la parola “forse” e m’aveva indicato un viottolo che partiva da un’aiola del giardino della casa che mi avevano dato e proseguiva lungo i campi verdi collinari che si trovavano intorno a questo cazzo di città: Hurruh! che follia di nome. Ma io questo viottolo, non l’ho mai visto, e poi guarda come si distingue bene dal resto. Sono sicuro che non c’è mai stato, l’hanno fatto proprio ora, apposta per me, ma quanto disturbo, non mi sopportavano più con le mie domande e con la mia voglia d’andarmene, l’hanno costruito in fretta per levarmi dai coglioni. O forse questo è il purgatorio ed ho scontato la mia pena, o forse ho avuto un incidente che non ricordo e sto uscendo dal coma. Ho imboccato il sentiero, senza voltarmi indietro, senza neppure ringraziare la bellissima e avanti, avanti, fino a che non è giunta la notte con le sue costellazioni tutte sballate e le due lune, una normale e l’altra più piccola……ho proseguito ancora e quando cominciavo a pensare che m’avesse preso per il culo ho visto in lontananza l’arco mentre albeggiava.
Un arco imponente ed il piccolo sentiero ci passa sotto. Comincio a correre e finisco sotto l’imponente arcata, la tocco: enormi blocchi di nera pietra fredda, bellissima ed anche molto antica. Una leggera vibrazione, quasi inavvertibile, permea la costruzione. Ci passo sotto e proseguo oltre. Mi giro ed al momento mi sembra che tutto resti uguale, ma fatti alcuni metri mi ritrovo in un’enorme fabbrica abbandonata, l’arco è ancora al suo posto ed anche il viottolo, ma ovunque ci sono gli scheletri di questo opificio ripudiato, con ciminiere, alcune cadute, capannoni in rovina, tubi arrugginiti, cisterne, fili metallici ovunque che spuntavano in grovigli dal terreno.
Sono felice, sono tornato sicuramente sulla mia terra, quest’opificio abbandonato non sarà grande all’infinito. Seguo il sentiero, mi sa che uscirne sia pericoloso e m’inoltro in questo panorama di distruzione industriale da incubo.
Cammino, cammino ma non ho niente da bere, e bere l’acqua di qui è sicuramente un suicidio. Non ho cibo: i cespugli offrono dei frutti rossi, delle bacche dall’aspetto invitante, hanno un buon profumo, ne assaggio una, anche il sapore è buono, ma non ho il coraggio di mangiarne. Ne raccolgo alcune e me le infilo in una tasca, se non dovessi trovare altro correrò il rischio, ma solo come ultima spiaggia..
Giunge all’improvviso la notte, le ore delle due realtà devono per forza essere sfalsate: prendo dei rami secchi, ne faccio una catasta e li accendo.
Ho usato ogni precauzione, non sono mai uscito dal sentiero ed un sesto senso m’avverte che fuori da esso non si campa a lungo. Ho acceso il fuoco anche perché ho sentito degli strani rumori sicuramente d’animali e sono certo che se saranno pericolosi, il fuoco mi proteggerà, fortunatamente avevo con me un accendino. Ho anche un pacchetto in tasca di sigarette, l’unico ricordo che ho di Hurruh, sono veramente buone, secondo me il tabacco è miscelato con l’hashish, il pacchetto è stranissimo di color azzurro con arabeschi in oro.
Purtroppo ci sono solo tre sigarette. Ne accendo una e l’assaporo, meglio non rischiare coi frutti, mi sdraio accanto al fuoco e mi addormento. Al risveglio è ancora notte fonda, metto altri arbusti sul fuoco che si stava spegnendo, mi risdraio e gli occhi vanno al cielo stellato. Cazzo! ci risono le due lune. L’angoscia mi prende, sono sempre ad Hurruh? devo tornare indietro sui miei passi?
L’angoscia mi attanaglia ed inspiegabilmente da quella passo ad un sonno colmo d’incubi. Mi sveglio all’improvviso che è già giorno inoltrato, cerco di rifasarmi dagli incubi avuti, ricordo le due lune, era pure quello un incubo o la realtà? Non so dare una risposta al mio interrogativo, sono tutto intorpidito ed intirizzito, ho sete e le labbra sembrano essersi incollate insieme, ho fame e questa mi da crampi allo stomaco.
Mi alzo in piedi ed il sole è cocente, mi gira la testa, ho fame, ho sete, sono a pezzi, mi giungono nausee improvvise: bisogna che mangi qualcosa, prendo la manciata di frutti ed uno ad uno li divoro. Il sapore è buono, ma il giramento di testa non passa ed ora arrivano pure le nausee, c’è pure un ronzio di fondo, ma forse è solo nelle mie orecchie. Ricomincio a muovermi e dopo aver fatto alcuni passi in avanti mi fermo: ma non dovevo tornare indietro?
Sono in totale confusione ed avverto qualcosa di molto grosso che sta volando proprio sopra di me, sento il battito ritmato delle ali, non ho la forza d’alzare la testa, forse è un’allucinazione? Decido di proseguire malgrado il malessere, ma forse non sono io ad aver deciso ma è il corpo che sta lentamente andando avanti da se, sto morendo?
Il sole è sempre più cocente, il ronzio nella mia testa aumenta d’intensità, m’accorgo d’essermi liberato vescica ed intestino mentre camminavo. Ancora qualche altro passo, se mi torna la sete mangerò ancora qualche frutto, vado avanti…
Un cespuglio rotolante mi sorpassa sul viottolo. Penso d’avere le allucinazioni, forse la fame e la stanchezza, o forse mi sono avvelenato coi frutti, qui non c’è un filo di vento, come possono rotolare i cespugli…….e poi i cespugli rotolanti non stanno nei prati verdi. Gli occhi mi stanno giocando strani scherzi, per un attimo m’è sembrato d’aver visto un’auto che volava, poi la vista m’è divenuta color oro e la realtà si è immersa in questo colore ed il terreno sotto di me è color oro ed anche i fili d’erba.
E vede lentamente il sentiero sul quale sta camminando farsi sempre più grande, ed è ora come un’autostrada a quattro corsie ed intanto pure l’erba s’avvicina.
“No, sono io che sto planando sopra essa che è sempre più grande, una foresta dorata con mille rami che s’intrecciano e s’incrociano con filamenti sottili e larghi….”
Nella caduta conati di vomito lo sorprendono e nei suoi occhi c’è un lampo e poi giunge il nero, un nero assoluto mentre la sua faccia s’arresta tra l’erba ed il suo vomito.
LO STRANIERO
- E quello da dove viene?
- L’hanno raccolto più di la che di qua all’interno dell’opificio, nell’area 728/k ben distante dalla zona bonificata.
- Che ci faceva e chi l’ha trovato?
- Cosa ci faceva dovrebbe dircelo lui, in quanto a chi l’ha trovato, l’ha visto un ragazzino della scuola di volo, stava passando per caso, un po’ fuori rotta per la verità, quando gli è sembrato di vedere una persona. Ha guardato attentamente col cannocchiale ed ha visto un uomo che avanzava a stento e che era sicuramente in difficoltà, allora ha subito comunicato l’avvistamento al centro di soccorso dandogli le coordinate esatte.
- Il ragazzo allora sapeva benissimo dove si trovava e sapeva anche che lì non avrebbe dovuto esserci, con che mezzo era?
- Cavalcava un ippogrifo.
- Scommetto che ha detto che si era smarrito.
- Sì, ma ovviamente non ci ha creduto nessuno perché aveva dato le coordinate esatte.
- Va bene che ha salvato una vita, ma questi ragazzi vanno tenuti un po’ a freno, non si vogliono render conto della pericolosità dell’Opificio, lo sai quanti morti ci sono stati in incidenti dall’inizio della bonifica?
- No.
- Più di settanta e tutti per non aver rispettato le norme di sicurezza, inoltre c’è da mettere in conto anche una diecina di dispersi ed oltre cinquecento feriti.
- Cazzo!
- Ed il pericolo può esistere anche nel cielo, magari qualche dimenticato strumento di difesa può improvvisamente attivarsi e poi ci sono zone radioattive altre con realtà mutevoli. Le carte dei luoghi non ancora bonificati, sono approssimative.
- Ma il ragazzo non era su un mezzo meccanico, era su un ippogrifo, anche i mezzi di difesa l’avrebbero scambiato per un innocuo uccellaccio.
- Non è vero, aveva strumentazione sofisticata, il binocolo sicuramente era uno di quelli elettronici che scannerizzano la visione, poi aveva un comunicatore o un cellulare se no come faceva ad avvertire. Aveva dunque strumentazione sofisticata attiva, pertanto poteva benissimo esser localizzato.
- Hai ragione, ma lo sai come sono questi ragazzi, sono nati qui, per loro le scoperte sono un gioco.
- Cambiamo argomento, ma che tipo è il ricoverato?
- Prima cosa non è detto che se la cavi, è in prognosi riservata, l’hanno portato completamente disidratato, con ustioni solari e punture delle formiche rosse mutanti.
- Quelle carnivore?
- Sì quando è caduto in terra, le nostre amichette rosse si preparavano allo spuntino, fortunatamente l’hanno appena assaggiato, perché è giunta l’elibolla di soccorso. Le formiche mutanti hanno un veleno che addormenta il loro futuro cibo, ovviamente glielo avevano già inoculato e solo quello può essere mortale nelle precarie condizioni in cui si trovava l’uomo. Ma non è finita qui, il nostro aveva pure mangiato le bacche rosa.
- In quelle condizioni un purgante era proprio quello che gli ci voleva.
- Sono purgative le bacche, ma anche nutrienti e cariche d’acqua: forse invece sono proprio quelle che l’hanno salvato.
- Ma da dove veniva, non è uno dei dispersi nell’Opificio, vero?
- Qui sta il problema e non solo da dove veniva, ma anche da quando.
- Cosa vuoi dire?
- Cominciamo dalle scarpe, marca NIKE, molto consumate, anzi con le suole quasi finite. I pantaloni e la t-shirt portano l’etichetta DIESEL e c’è scritto in piccolo made in Hong Kong, la giacca a vento ha una scritta sul dietro EMPORIO ARMANI 1989, tutto doveva essere, quand’era nuovo, di color avana. Aveva poi al polso un orologio col la scritta sul quadrante CALVIN KLEIN, c’è poi un sottile braccialetto in oro senza alcuna iscrizione, e poi viene il bello.
- Come sarebbe a dire viene il bello, per come l’hai descritto fino ad adesso è un normale abbigliamento ricopiato dal XX e XXI secolo, le stanno producendo anche ora quelle marche, ed abbiamo in memoria tutta la loro produzione. E poi la giacca con la scritta ARMANI, è sicuramente dei nostri.
- Così sembrerebbe, ma le poche parole che ha detto, l’ha dette in inglese.
- Davvero?
- Ma ti dicevo che ora veniva il bello, se mi ci fai arrivare ti dico che aveva in tasca un portafogli TIMBERLAND di pelle nera con dentro cinque carte di credito.
- Carte di credito? Ma quelle noi non le usiamo, sarà un collezionista.
- American Express, VISA e Master Card, e vuoi sapere le date di scadenza?
- Dille.
- Due nel 2002 e le altre nel 2003.
- Te l’ho detto, un collezionista.
- Sì, ma c’erano anche dei dollari con varie date di stampa, dal 1992 al 2001. C’erano poi dei biglietti di una linea di autobus americana, due ricevute del bingo scritte in inglese, un buono sconto per un negozio di barbiere e dei biglietti da visita. Tutti gli indirizzi sono di Nuova York ed i nomi sulle carte di credito sono diversi ma tutti inglesi, sia i nomi che i cognomi.
- Ho capito, voi qui all’ospedale salvategli la vita e rimettetelo in sesto. Quando starà bene avvertitemi che ci pensiamo noi a tempestarlo di domande. Un’altra cosa, qualcuno ha controllato il posto ove è stato trovato?
- Si era su un sentiero che sparisce del tutto a cento metri da lui, sia in avanti che indietro. Dalla parte da cui lui veniva c’è un grande arco in pietra ed il sentiero ci passa sotto, poi fa una curva e scompare.
- L’unica è aspettare che si sia rimesso, poi ci racconterà la sua storia. Avvertitemi.
- Tranquillo.