vittorio baccelli

arte postale - seconda parte

 

 

 

    

piermario ciani

 

 

Si farebbe un torto alla mail art se la considerassimo come un fenomeno sui generis della sociologia della comunicazione, affermando che il suo scopo si realizza principalmente nella circolazione delle opere e non altresì nella produzione di lavori esteticamente validi. Il fatto è che la mail art è un contenitore aperto che accoglie i contributi di tutti, uno strumento democratico a cui hanno accesso artisti riconosciuti e non. La mail art è certamente fratellanza, ma anche impegno artistico ed all’occhio avveduto non sfugge il valore del contributo. D’altro canto il giudizio può esser fuorviato dalla molteplicità delle opere, dalla loro eterogeneità per orientamento e campi stilistici, oltre che dalla mancanza di conoscenza dei contesti che le hanno originate, per cui possono esprimere artisticamente posizioni di rottura, di dissenso, d’impegno di lotta, ma anche di gioco, d’ironia o di leggerezza od una miscela dei vari aspetti.

La mail art facilita così un approccio all’arte in quanto pure pratica educativa: non interessa tanto la conoscenza dell’artista e della corrente cui appartiene, ma piuttosto la sua posizione intellettuale, la costruzione di nuovi pensieri, comportamenti, sperimentazioni e consapevolezza di cui l’arte è catalizzatrice.

Rudy Fuks, direttore dello Stedelik Museum di Amsterdam sosteneva sulle colonne d’un noto giornale….in Italia si fanno solo mostre e sullo sfondo non c’è niente, e così manca un pubblico di massa veramente informato. Molti italiani pensano che l’arte sia solo italiana, solo classica: sono rimasti al rinascimento….

Ciò che si fa rilevare da più parti, è che da noi non esiste nelle strutture museali alcuna strategia informativa ed educativa che non sia la semplice esposizione delle opere, mentre in altre nazioni gli aspetti didattici sono considerati elementi essenziali d’ogni attività espositiva.

All’arte postale va riconosciuto il merito d’aver aperto ogni frontiera ben trentacinque anni fa, quando un trasgressivo ed estroverso artista americano, Ray Johnson, pensò di dare alla mail art un indirizzo autonomo estraendola dal movimento FLUXUS di cui era allora solo uno dei tanti aspetti.

Non bisogna comunque tralasciare le radici della mail art, sulle quali tornerò più volte, che risalgono ai tempi del futurismo, del dadaismo ed oltre: Marinetti, Duchamps, Picabia ed altri ne sanno qualcosa.

Torniamo al 1962, Ray Johnson dopo aver inviato per posta i suoi lavori in tutto il mondo (da ricordare gli "add to and returns") fondò la NEW YORK CORRISPONDANCE SCHOLL OF ART, ove accoglieva gli elaborati dei corrispondenti coi quali comunicava attraverso il medium postale.

Di conseguenza buste, timbri, francobolli, adesivi, ecc. divennero parte integrante di questo tipo di comunicazione. Ci fu un’immediata risposta a questa fantastica ed originale iniziativa e si formò presto una vera e propria rete artistica internazionale ove ogni corrispondente sviluppava un proprio linguaggio coi mezzi propri offerti dalla posta (timbri, francobolli, cartoline, adesivi, collage, ecc): nasceva così la moderna mail art, quella che ancor oggi gira attraverso le casette postali, per tutto il mondo.

Il primo quesito che si pone chi affronta questa forma espressiva riguarda dunque l’atto di nascita della mail art, le versioni possono essere molteplici, ma concordano nell’indicare in Filippo Tommaso Marinetti il precursore, ed in Ray Johnson il padre della mail art moderna. Altre posizioni antesignane sono quelle del poeta e critico francese Edouard Jaguer e delle mostre del movimento PHASES (Baj, Ernest, Jorn, ecc.) organizzate per corrispondenza negli anni ‘50 in varie parti del mondo. Altri fanno il nome di Duchamps per una sua azione postale – in realtà un po’ tutte le avanguardie artistiche d’inizio secolo percorsero questa tendenza - futurismo e DADA in particolare, eredi dell’art nuveau che precedentemente aveva rivalutato l’uso della cartolina, ma essenzialmente usata come supporto utile a riprodurre ed a diffondere pitture e stili grafici preesistenti.

Sul piano globale di ricostruzione futurista dell’universo non poteva mancare l’attenzione per strumenti di comunicazione tanto diffusi come lettere e cartoline o come i velocissimi telegrammi, dei quali MARINETTI faceva largo uso. Da ricordare anche Balla coi suoi numerosi pezzi unici dipinti a mano, in alcuni casi modificando normali cartoline postali – Depero con una sterminata produzione di vivaci cartoline autopubblicitarie, innovative nella composizione grafica – Cangiullo con le cartoline-modulo predisposte per aiutare a compilare messaggi sintetici facendo a meno della normale sintassi- Umberto Luigi Ronco con le sue aeropitture su buste, Vittorio Corona con singolari lettere di stoffa illustrata.

Anche gli scambi epistolari interni trai membri del movimento con carte intestate dalle grafiche arditamente innovative, ricche d’intenzioni e di momenti di gioco disseminati tra saluti e comunicazioni, testimonianza di come i futuristi, seppure ad uso per lo più privato, abbiano costantemente utilizzato il dinamico mezzo postale con modalità creative ben al di sopra della semplice riproduzione divulgativa o promozionale di quadri, grafiche o fotoritratti in cartolina.

I lavori postali lasciati dai dadaisti, anche se meno numerosi, eserciteranno un’influenza rilevante sull’intera storia della mail art, sia per l’evidente carica provocatoria e antistituzionale, che per la propensione alla formazione di gruppo, dimostrata in varie circostanze a partire da FATAGAGA, lavori collettivi che ricordano i CADAVRES EXQUIS dei surrealisti e del celebre L’OEIL CACODYLATE (1921) di Picabia con interventi estemporanei di vari autori.

Vi sono poi numerosi collage e fotomontaggi formato cartolina (Hannah Hoch, George Grosz, Kurt Scwitters) e le correzioni in senso onirico-surreale (Max Ernest) e satirico politico (Grosz) di cartoline illustrate che ebbero diffusione commerciale.

C’è poi un esempio di consapevole azione postale, una serie di quattro cartoline spedite da Marcel Duchamps nel 1916 ai suoi vicini di casa e poi unite assieme col titolo RENDEZ-VUOS DU DIMANCHE 6 FEVRIER 1916, contenenti sul lato non affrancato, note criptiche sul GRANDE VETRO che proseguono da una cartolina all’altra. Evidentemente la spedizione di questo testo, che Duchamps avrebbe molto più semplicemente potuto consegnare a mano, intende caricare l’evento d’ulteriori connotazioni simboliche e psicologiche (la sorpresa del destinatario) facendone un interessante precursore delle future pratiche mailartistiche.

La cartolina illustrata, popolare e kitsh esercita un grosso fascino anche nei surrealisti: Paul Eluard riproduce numerosi esemplari di inizio secolo sulla sua rivista MINOTAURE, trovando molte ed interessanti tracce di presurrealismo nei volti arcimboldeschi composti da donnine nude o nelle scene di sogno di amanti lontani, immagini queste, allora molto popolari.

Salvador Dali è invece attratto dalla loro capacità d’evocare visioni esotiche simboleggianti desideri repressi e celati, ma la posta dai surrealisti, non viene mai presa realmente in considerazione come parte integrante di un nuovo mezzo espressivo e come veicolo di creazioni artistiche autonome.

Per trovare un clima favorevole all’arte postale dobbiamo saltare fino agli anni ‘50 ove s’avverte da parte dei ricercatori artistici, la smaterializzazione dell’oggetto d’arte e quindi s’avviano sperimentazioni su processi effimeri e concettuali di comunicazione creativa. Processi questi che porteranno a nuove forme e correnti artistiche le cui influenze si ripercuotono anche sulla sperimentazione artistica contemporanea.

                                                                                          

 

intervista a vittore baroni