Mail art. 7
Marshall Mc Luhan, noto sociologo aveva ragione quando affermava che chiunque può diventare un editore usando mezzi come il giornale, la radio, il telefono, la telescrivente. Un’intuizione profetica certamente, ma fino ad un certo punto: perché non ponendo limiti ai mezzi di comunicazione, nemmeno il gran teorico dei mass-media, in quegli anni aveva preso in considerazione la fotocopiatrice. Neppure lui aveva previsto, cioè che con quel tipico marchingegno da ufficio ci si potesse anche divertire, anzi di più, far dell’arte. Ci avevano già provato Andy Warhol e tutta la pop art, l’ha riconfermato il pittore e designer Bruno Munari, un divulgatore della creatività firmata ranx xerox, il foglio riprodotto diviene, perché no? una creazione originale.
ryosuke cohen (giappone)
In nome di una perversione culturale che trasforma ogni strumento operativo in una appendice dell’immaginazione seguendo il vecchio adagio "qualunque mezzo può esser usato per produrre immagini e per comunicare", anche la macchina più burocratica e sofisticata dopo il PC, può generare se adeguatamente stimolata, fantasie, deformazioni e realtà artificiose. Esistono oggi delle vere e proprie fotocopie d’autore, esiste una copy art fiorente ormai da anni e riconosciuta come tale, esistono diversi "trattamenti" per cui fotografie, cartoline, scritti o fumetti vengono stravolti e rivisitati con risultati efficaci e sorprendenti. Possiamo dire che è nato e si è consolidato un nuovo mezzo d’espressione artistica. Sono diecine d’anni che ormai la fotocopiatrice è entrata a far parte dell’uso quotidiano, eppure la storia tecnologica della riproduzione su carta non fotografica è abbastanza recente: anche se Eco la fa risalire addirittura alla preistoria con le prime impronte di mani colorate sulle rocce.
claudio parentela (italia)
È del 1938 la messa a punto da parte di Chester Carlson del sistema elettrofotografico di duplicazione. Dieci anni dopo lo stesso Carlson e la Haloid Corporation presentavano alla Società Ottica d’America quella che avevano chiamato XEROGRAFIA: un procedimento che consentiva, a secco, senza l’intervento di acidi o soluzioni chimiche, di duplicare velocemente ed a basso costo ogni sorta di documentazione. Da allora il sistema non ha subito sostanziali modifiche: un passaggio di luce sul foglio da riprodurre, lo legge e lo ricompone sotto forma di cariche elettriche su un cilindro di selenio. La presenza di elettroni, corrispondenti alle aree oscure del foglio originale, attira un inchiostro in polvere, il toner, che viene steso e fissato a caldo sul foglio che è di carta comune. Le tappe della duplicazione fotostatica passarono quindi dalle prime macchine a manovella degli anni ’50 a quelle automatiche, sempre in bianco e nero degli anni ’60.
clemente padin (Uruguay)--->
Nel 1968 viene presentata la prima fotocopiatrice a colori, 3M, dopodiché si assiste ad un continuo susseguirsi di innovazioni tecnologiche fino ad arrivare alle ultimissime macchine multiple fax-stampante-fotocopia che integrano con il PC tutte le loro funzioni.
Ma dopo tutte queste divagazioni sulle origini anche creative della fotocopia, torniamo ancora una volta a Ray Johnson, che delle fotocopie fece uso, del quale fortunosamente esistono oltre ad ispirati saggi redatti da fedeli amici-critici, William S. Wilson su tutti, alcuni cataloghi in cui sono state radunate corpose raccolte private di lettere, che riescono a darci un’idea precisa della poetica globale dell’Artista.
ray johnson (usa)
Ad esempio la "Corrispondence an exhibition of the letteres of R.J." al North Carolina Museum of Art di Raleigh nel 1976, oppure cataloghi di mostre postali, quali "Works by R.J." al Nassau County Museum di Roslyn Harbor nel 1984 a cura di David Bourbon che documenta la qualità eccelsa di collage realizzati con tecniche e supporti poveri quali pezzetti di cartone dipinti e poi scartavetrati, sempre connessi al riciclo di temi e materiali di lavori circolati per posta.
bruno munari (italia)
Solo una ventina di mostre personali in quasi cinquant’anni d’attività, più un paio di retrospettive in musei pubblici, non sono forse grande cosa. Ma non ci è dato di sapere se sia stata una forma depressiva indotta dal mancato riconoscimento della propria statura artistica, che ha indotto Ray Johnson a togliersi la vita in un’ultima (triste) performance che ha profondamente impressionato quanti lo conoscevano e lo stimavano: la data del 13.1.1995 in cui l’artista si è gettato vestito di tutto punto dal ponte di Sag Harbor a Long Island (forse scelta non casuale "to sag"= cedere, andare alla deriva)
vittorio baccelli (italia)
allontanandosi nuotando sul dorso, come riferito da alcuni bambini impotenti testimoni del fatto, e lasciandosi poi affogare nell’acqua gelida. Il gesto assume anche un altro involontario valore simbolico, marcando in qualche modo la fine del periodo "aureo" dell’arte per corrispondenza.
7. vittorio baccelli
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